Di mollare la poltrona, loro, non ne vogliono proprio sapere. La tornata di elezioni nelle Federazioni sportive si è appena conclusa, con le solite polemiche sullo scarso rinnovamento. Ma tra troppe conferme e qualche sorpresa, c’è persino chi è stato rieletto e non avrebbe potuto esserlo: presidenti ‘abusivi’, che aggirano la legge pur di mantenere il potere. Il primo di loro, Luciano Buonfiglio, numero uno della canoa nonché vicepresidente del Coni, è andato a sbattere contro il muro del Collegio di Garanzia dello Sport: la sua nomina è virtualmente nulla per gravi vizi procedurali delle elezioni. Ma non è il solo a rischio: c’è un altro pesce grosso, Giorgio Scarso, capo della scherma e vicario di Malagò, o pesci più piccoli, come il leader del tiro a segno, Ernfried Obrist, oppure il presidente dell’Aeroclub, Giuseppe Leoni. Ciò che li accomuna è il desiderio di restare in sella per l’ennesimo mandato. E se lo statuto non lo permette, si può sempre modificarlo sottobanco o ignorarlo. Se i voti rischiano di non bastare, non occorre che ricontare le schede come più conviene. Se c’è una condanna penale e un profilo di incompatibilità, basta far finta di nulla.
CANOA: ELEZIONI DA RIFARE, RISCHIA BUONFIGLIO – Anche se Giovanni Malagò parla di “cambiamento importante” dopo la caduta di qualche dinosauro a inizio 2017 (Carlo Magri nella pallavolo, Francesco Purromuto nella pallamano, Romolo Rizzoli nelle bocce), il bilancio delle elezioni federali resta deludente: ci sono 15 nuovi presidenti su 44, ma solo in 7 casi si può parlare di vero rinnovamento. Anche perché qualcuno per ottenere l’agognata riconferma si è spinto anche oltre i limiti della legge. E adesso i nodi vengono al pettine: il Collegio di garanzia del Coni ha appena accolto i ricorsi contro la riconferma di Luciano Buonfiglio alla guida della FederCanoa (Fick). La sua rielezione era stata molto contestata dagli sfidanti, perché il presidente uscente aveva superato il quorum del 55% (necessario dopo il terzo mandato) solo escludendo dal conteggio le schede bianche e nulle, infilandosi in un buco della legge Melandri che non trova corrispondenza in nessun altro tipo di elezioni.
Antonio Rossi, ex olimpionico e oggi assessore allo sport della Giunta Maroni in Lombardia, si era subito appellato al tribunale federale, vedendosi respinto. In quella sede, però, è emerso un altro dettaglio: non soltanto le schede erano state conteggiate in maniera discutibile, ma non erano state né vidimate, né timbrate o firmate. Praticamente i delegati avevano votato su pezzi di carta bianca senza alcun valore giuridico. E il Collegio di garanzia non ha potuto fare altro che prenderne atto. I giudici, accogliendo il ricorso, non se la sono sentita di sancire nel dispositivo l’annullamento dell’assemblea elettiva. Dovrà essere la Corte federale a dichiararlo ufficialmente, ma a questo punto è un passaggio obbligato. Presto le elezioni della Fick dovranno essere rifatte. E chissà se Buonfiglio riuscirà ad essere riconfermato un’altra volta.
LA SCHERMA E LO STATUTO MODIFICATO “DI NASCOSTO” – Tra i primi ad essere rieletti c’era stato anche il presidente di una delle discipline leader nel nostro Paese: quella scherma, serbatoio di talenti e medaglie olimpiche, che nonostante il passaggio a vuoto dei Giochi di Rio 2016 aveva scelto di riconfermare la fiducia a Giorgio Scarso, anche braccio destro e vicario di Giovanni Malagò al Coni. L’assemblea della Fis a novembre era stata praticamente un plebiscito: 86% di voti per il presidente uscente, appena l’11% per lo sfidante Maurizio Seminara. Oggi però anche quelle elezioni rischino di essere invalidate: Scarso, infatti, non avrebbe potuto ricandidarsi. A sostenerlo è proprio lo statuto della FederScherma, che lo stesso Scarso aveva fatto riscrivere nel 2014. In quella revisione, però, i saggi inviati dal Coni avevano redatto male l’articolo 64 sulle elezioni, inserendo un limite di due mandati, in apparente contrasto con la normativa diffusa in tutte le Federazioni, che prevede un quorum maggiorato del 55% per la rielezione dopo 8 anni.
Dura lex, sed lex: il testo è confuso ma stando ad un’interpretazione stringente Scarso, alla guida degli schermidori dal 2005, avrebbe dovuto farsi da parte. Invece ha preferito cambiare all’ultimo momento lo statuto, eliminando quel passaggio incriminato e sciogliendo ogni dubbio sulle modalità di rielezione. Lo ha fatto di nascosto, però: invece di convocare un’assemblea straordinaria, come da prassi, ha modificato lo statuto e lo ha inviato direttamente al Coni, senza che venisse approvato da nessun organo, spacciandolo come semplice correzione di “refusi non sostanziali presenti nel precedente”. Così l’ha ratificato il Coni, nonostante venissero toccati ben 20 articoli su 72, con conseguenze tutt’altro che marginali. Ma il colpo di mano non è passato inosservato ed è finito al centro di un ricorso. Il Collegio di garanzia del Coni deve ancora pronunciarsi, ma intanto la Prefettura di Roma non ha registrato il nuovo regolamento, in attesa di verificare se la procedura sia stata corretta. Ad oggi resta in vigore il vecchio statuto del 2014, che mette in pericolo la rielezione di Scarso.
TERZO MANDATO PER IL TIRO A SEGNO. MA IL LIMITE ERA DUE – Scarso è in buona compagnia: non è il solo ad essersi trovato di fronte al problema del limite di mandati. Ernfried Obrist, capo dell’Unione Tiro a segno italiano (la disciplina del biolimpionico Niccolò Campriani), l’ha risolto in maniera diversa: ignorando completamente il comma 1 dell’art. 39 del suo statuto, secondo cui tutte le cariche dell’Uits “restano in carica per un quadriennio olimpico e possono essere confermate una sola volta per un solo ulteriore mandato”. Presidente dal 2008, Obrist a ottobre si è fatto rieleggere con l’85% dei voti per un terzo mandato che la carta federale non prevede. L’Uits, però, è una federazione un po’ particolare: per la parte sportiva ricade nell’alveo del Comitato olimpico, ma per l’utilizzo del porto armi è di competenza della Difesa: tocca al Ministero proporre la nomina del presidente sulla base dei risultati delle urne. Fino ad ora non l’ha fatto, anche per avere ricevuto due esposti sulla vicenda, e il tempo passa: interpellato a riguardo, il dicastero ha fatto sapere che “la questione è nota ed è all’esame per la verifica degli estremi di legittimità”. A quanto risulta a fonti del Fatto.it, però, gli uffici legislativi di via XX settembre sarebbero orientati a dare il via libera, dal momento che la revisione dello statuto del 2011 (in cui fu inserito il limite) azzererebbe il conto di due mandati: Obrist sarebbe solo al secondo in base a questo calcolo.
L’“AVIATORE” CONDANNATO E LA LEGGE SEVERINO – Un altro ministero è in imbarazzo anche maggiore: quello dei Trasporti di Graziano Delrio, a cui appartiene l’Aero Club, altra Federazione “sui generis”. Qui la questione è diversa: Giuseppe Leoni, già parlamentare della Lega Nord, è stato condannato a 3 anni per peculato. Sarebbe passibile di applicazione della Legge Severino, ma lui sostiene che quella norma non lo riguarda e a dimettersi “non ci pensa neanche”, come ribadito a gennaio al nostro giornale. Da allora sono passati due mesi, Leoni è saldo alla guidare dell’Aeci nel silenzio tombale di Delrio: anche in questa occasione il dicastero, contattato ripetutamente da Il Fatto.it, ha preferito non rispondere. Ma per tutti si avvicina la scadenza dell’11 maggio, giorno in cui i presidenti delle Federazioni sportive dovranno scegliere il numero uno del Coni per i prossimi quattro anni. Entro quella data ogni posizione equivoca andrà chiarita: non sia mai che qualche bega elettorale minore metta a repentaglio la riconferma di Giovanni Malagò.
Post scriptum: Dopo la pubblicazione dell’articolo, apprendiamo tramite l’agenzia specializzata Avionews che il presidente dell’Aero Club, Giuseppe Leoni, è stato sospeso per 18 mesi per applicazione del codice etico del Coni (senza neppure dover far ricorso alla Legge Severino) dall’Anac di Raffaele Cantone. La delibera è datata al 1° marzo su domanda proprio del Ministero dei Trasporti, che però per 10 giorni non ha risposto alla nostra semplice richiesta sulla situazione in corso all’Aeci. Forse non erano al corrente del giudizio dell’Anticorruzione da loro stessi richiesto, o più semplicemente non volevano che divenisse noto.
Aggiornato da Redazione Web il 17 marzo alle 13.06