Sotto la stella dell'ultragarantismo i berlusconiani - da Alfano e l'Udc fino ai tosiani - ritrovano l'unità dopo almeno 10 anni. Ma a essere determinanti sono i voti di 19 democratici e l'assenza di altri 24: su 43, 32 sosterranno l'ex premier al congresso Pd, dall'ex ministro Giannini a Ichino, dagli ex montiani fino a Esposito e Latorre. E a essere conquistati dalla linea Pd-Fi sono anche gli ex grillini, come Battista, Orellana e perfino Bencini (che sarebbe Idv...)
L’incredibile è ben visibile agli occhi: c’è la giornalista anti-camorra Rosaria Capacchione, c’è l’ex vicedirettore dell’Espresso e del Corriere della Sera
Nel migliore dei casi studiosi, giornalisti, vicepresidenti, ministri non sapevano cosa stavano votando. Nel peggiore, lo sapevano e si sono presi il diritto di celebrare in Senato un quarto grado di giudizio per l’ex direttore del Tg1, dopo che la Cassazione ha confermato la pena. Sapevano ma hanno ignorato, cioè, che la Camera e il Senato, nei casi di decadenza, non devono giudicare la fondatezza di una richiesta d’arresto – ossia il fumus persecutionis – e men che meno devono votare – come si è giustificata la Capacchione – a cosa sarebbe potuto succedere se il processo Minzolini si fosse celebrato dopo l’approvazione della riforma penale, avvenuta ieri. Più semplicemente devono applicare la legge Severino, che non fu approvata né da un clan di magistrati né da un consiglio di fabbrica grillo-bolscevico, ma dalla sterminata maggioranza, di cui il Pd era l’anima, che teneva in piedi il governo Monti. La legge, al suo ultimo giro, prese 256 voti al Senato e 480 alla Camera.
QUI LA TABELLA DELLA VOTAZIONE IN SENATO
Al Senato, dunque, la legge Severino da oggi non è più in vigore e sotto questa luminosa stella si ritrovano abbracciati tutti i berlusconiani in Parlamento, dall’Area Popolare che unisce il morente Nuovo Centrodestra e quel che resta dell’Udc fino alle tre senatrici finto-leghiste (Bisinella, Bellot, Munerato) che rappresentano Fare!, il partito che – a dispetto del fatto che non esiste – è guidato dal sindaco di Verona Flavio Tosi. A qualcuno lì a destra farà venire quasi le lacrime agli occhi: il centrodestra così unito non si vedeva da almeno 10 anni.
A favore dell’ordine del giorno presentato dall’ex sottosegretario Giacomo Caliendo hanno votato i 43 senatori di Forza Italia, tutti presenti per la grande occasione, circostanza che in Parlamento ha la stessa frequenza della cometa di Halley. Insieme agli azzurri hanno votato gli alfaniani. Tra loro c’erano 3 assenti: uno di loro era Ulisse Di Giacomo, proprio il sostituto dell’ex Cavaliere da quando questi è stato espulso dall’assemblea di Palazzo Madama, per ora unico. I verdiniani hanno votato sì in 14, ma tra chi mancava c’era proprio Denis Verdini, i fittiani invece compatti. Tra i leghisti sono presenti tutti coloro che pretendono legalità in tv,
Determinanti i 43 del Pd tra sì e assenti
Il sostegno determinante per mantenere Minzolini al Senato alla facciaccia della legge è quello dei senatori del Pd, sia presenti che assenti. In tutto 43 (19 più 24), un numero che sarebbe stato sufficiente – qualora avessero preferito rispettare la legge – per ribaltare la decisione del Senato: la differenza tra sì e no all’odg di Caliendo è stata di 23 (137 contro 114 tra no e astensioni). Di questi 43, 32 sosterranno la mozione di Renzi al prossimo congresso: 15 tra i sì e 17 tra coloro che non si sono nemmeno presentati alla seduta di Palazzo Madama.
I 19 che hanno votato sì sono Rosaria Capacchione, Emilia Grazia De Biasi, Rosa Maria Di Giorgi, Laura Fasiolo, Emma Fattorini, Nicoletta Favero, Elena Fiossore, Stefania Giannini, Pietro Ichino, Luigi Manconi, Alessandro Maran, Salvatore Margiotta, Claudio Moscardelli, Massimo Mucchetti, Francesco Scalia, Ugo Sposetti, Gianluca Susta, Giorgio Tonini, Mario Tronti. Tra i 15 renziani ecco Margiotta, diventato a un certo punto il caso simbolo del garantismo à la Renzi. La Camera nel 2008 lo salvò dall’arresto durante un’inchiesta per tangenti in Basilicata con un voto quasi bulgaro. Così il suo caso
Il senatore Moscardelli, invece, è una vecchia conoscenza della giunta per le immunità del Senato. Per lui è sempre tutto a posto, prende il nome della giunta (“per le immunità”) alla lettera. Per esempio aveva votato contro il via libera all’utilizzo delle
Gli assenti nel Pd sono stati invece 24, questo vuol dire che un senatore democratico su 5 non c’era. Solo 7 dei 24 erano assenti “giustificati”, cioè in missione. Tra questi 4 ministri: Valeria Fedeli, Marco Minniti, Roberta Pinotti e Anna Finocchiaro. Anche in questo caso la sorte ha voluto che tre su quattro assenti fossero renziani, nel senso di coloro che vogliono Renzi di nuovo segretario del Pd: da Laura Cantini a Roberto Ciociancich, da Stefano Esposito a Linda Lanzillotta, da Nicola Latorre a Francesca Puglisi, da Stefano Lepri a Giorgio Santini. Non c’è nemmeno Mauro Del Barba – area cattolica del partito – eppure su Twitter difende la scelta della “libertà di coscienza” lasciata dal Pd, come se si trattasse di una legge sulla bioetica, sull’adozione ai gay, la ricerca sulle staminali.
A riassumere la giornata dai toni farseschi ci pensano gli ex fuoriusciti del Movimento Cinque Stelle che hanno vissuto l’ebbrezza di passare dal ritmo grillino di una mozione di sfiducia al mese alla sagra pseudo-garantista del Senato. Tra chi vota sì al testo di Caliendo, comunque, ci sono Lorenzo Battista e Luis Alberto Orellana, ora nel gruppo delle Autonomie, Serenella Fucksia – iscritta al gruppo misto – e Fabiola Anitori, ora dentro Area Popolare di Alfano. Paola De Pin era presente ma non ha votato niente, mentre Cristina De Pietro (ora nel misto come verde) non si è proprio presentata. Il primato, tuttavia, è di Alessandra Bencini, che una volta uscita dai Cinquestelle ha rifondato l’Italia dei Valori. Per ricordare i valori di Di Pietro ha lasciato che il pregiudicato Minzolini rimanesse in Senato.