Il 15 marzo 2017 l’Echa, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche, ha dichiarato che il glifosato  – il noto erbicida della Monsanto – non è cancerogeno e non provoca mutazioni genetiche, riconoscendo tuttavia che provoca seri “danni agli occhi” ed è “tossico con effetti duraturi sulla vita in ambienti acquatici”.

Conclusioni quindi abbastanza simili a quelle cui già l’Efsa nel novembre 2015 era pervenuta dichiarando che “improbabile” che il glifosato fosse cancerogeno. La decisione dell’Echa era nell’aria e non ha quindi destato troppa sorpresa, ma è comunque interessante analizzarla in dettaglio. Va ricordato che al momento della sua immissione sul mercato il glifosato era stato propagandato come una molecola assolutamente sicura, nociva solo per le “erbacce” che disseccava, immediatamente degradabile, che non comportava rischi di alcun tipo né per l’ambiente né per le persone. Già il fatto che ora se ne riconosca una tossicità duratura per l’ambiente acquatico la dice lunga sulle rassicurazioni a suo tempo fornite.

Del resto è innegabile che glifosato e il suo metabolita Ampa siano le sostanze più presenti nelle acque superficiali e profonde della Lombardia – l’unica regione che sistematicamente le ricerca. Le molecole tuttavia sono ampiamente presenti anche nelle acque di Toscana ed Emilia Romagna dove solo negli anni più recenti sono state ricercate. In Emilia Romagna su 20 campionamenti esaminati nel 2016 solo 3 rientrano nel limite di 0,1µg/l e le peggiori situazioni si sono riscontrate nel canale Fossatone a Cesenatico  con  1 ,2 µg/l di glifosato e a Ravenna dove l’Ampa raggiunge 6,1 µg/l.

Il recente parere formulato dall’Echa ancora una volta  ha considerato anche studi non pubblicati, non sottoposti a revisione e condotti dall’industria produttrice e – comunque come ha prontamente replicato la Iarc (Agenzia per la Ricerca sul Cancro) questo non inficia la classificazione di “cancerogeno probabile“(2A) del marzo 2016 dalla stessa Iarc.

Inoltre, come ammette la stessa Echa, il parere è basato “esclusivamente sulle proprietà dannose della sostanza. Non tiene conto della possibilità di esposizione alla sostanza e quindi non tratta dei rischi di esposizione”. Questa  affermazione è veramente paradossale perché non può essere considerato rassicurante il fatto che il glifosato non induca in modelli sperimentali il cancro o mutazioni genetiche, senza che sia stata valutata l’esposizione prolungata e “a piccole dose” quale quella cui sono sottoposti non solo gli agricoltori, ma anche i consumatori dal momento che il glifosato si ritrova ormai comunemente anche negli alimenti.

Di fatto sono proprio queste  esposizioni a rappresentare un rischio per la salute delle persone, specie delle frange più vulnerabili quali donne in gravidanza e bambini, che quindi non sono stati tenuti in alcun conto. Non va infine dimenticato che alcuni membri della commissione dell’Echa presentano potenziali conflitti di interesse avendo lavorato anche per l’industria chimica.

Comunque, a parte l’effetto cancerogeno, sono purtroppo molti altri i rischi per la salute umana correlati alla molecola: in particolare nella formulazione commerciale agisce anche come interferente endocrino e può influenzare l’apoptosi in cellule placentari umane. Secondo un altro recente lavoro il glifosato, rappresenta un fattore di rischio anche per la celiachia e numerose altre patologie attraverso modificazioni del microbioma intestinale (in particolare di  lactobacilli e bifidobatteri). Si indurrebbero così infiammazione, malassorbimento, allergie alimentari, intolleranza al glutine, diminuita sintesi di vitamine e acido folico.

Una vasta opposizione sociale è già da tempo in atto contro l’uso di questa sostanza: in Italia è presente da oltre un anno una coalizione di 45 grandi associazioni ambientalisti e anche in Europa l’8 febbraio scorso è sta avviata una Ice (Iniziativa Cittadini Europei) di valore giuridico con l’obiettivo di spingere la Ue a vietarla definitivamente. E’ necessario raggiungere 1.000.000 di firme nei prossimi mesi in tutta Europa e già oltre 400.000 sono state raccolte. Qui si può sottoscrivere, unitamente agli estremi di un  documento di identità.

Dietro questa molecola si muovono interessi enormi, specie ora che la Monsanto sta per confluire  nella tedesca Bayer e non va dimenticato che glifosato è strategico nella produzione di organismi geneticamente modificati (Ogm) quali mais, soia colza resi resistenti all’erbicida, che quindi può essere usato in dosi ancora più massicce.

La battaglia contro il glifosato è comunque ormai chiaramente diventata  il simbolo di una guerra più ampia contro l’agricoltura industriale. Fortunatamente sta  sempre più emergendo, anche nella comunità scientifica, la necessità di un nuovo concetto di agricoltura in grado di preservare la qualità dei suoli, la salubrità del cibo e quindi della salute umana.

Anche un altro recentissimo lavoro non solo rafforza questo concetto, evidenziando che la sostenibilità ambientale deve improrogabilmente entrare nel calcolo della sostenibilità delle produzioni agricole affinché questa possa essere considerata attuabile e realistica, ma mette anche in seria discussione la necessità, data per scontata dal mondo scientifico, di dover raddoppiare le quantità di cibo entro il 2050 per garantire alimenti a tutta la popolazione mondiale e da sempre invocata per giustificare l’agricoltura industriale.

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