Dopo le denunce degli studenti meridionali, anche dal resto d'Italia arrivano testimonianze di disservizi. A questi, poi, vanno aggiunti problemi seri con i fondi pubblici messi a disposizione per il progetto: sono insufficienti e così non tutti gli istituti riescono a garantire rimborsi spesa per i viaggi o per i costi medici degli stage dei ragazzi. Che, sempre più spesso, sono costretti a vivere esperienze controproducenti
Un’alternanza scuola-lavoro giusta, senza sfruttamento, senza spese per le famiglie, capace di offrire un’opportunità e non un senso di frustrazione: così dovrebbe essere, ma la realtà è ben diversa. E dopo la denuncia degli studenti pugliesi, ora anche al Nord vengono a galla storie di ragazzi messi a fare fotocopie per settimane in hotel o costretti a fare pulizie e cocktail al posto di imparare un mestiere. Studenti del ricco e produttivo Settentrione che si devono cercare da soli l’azienda dove svolgere l’esperienza prevista dalla Legge 107, la cosiddetta “Buona Scuola”, perché gli istituti non riescono a trovare per tutti un posto coerente al corso di studi di ognuno. Storie di presidi che devono provvedere ad acquistare scarpe anti-infortunistiche e caschetti protettivi oltre a pagare le visite mediche richieste dalle aziende e trovare qualche soldo per riconoscere agli insegnanti tutor il lavoro fatto in giro per il territorio a visitare realtà industriali o enti. E ora la Rete degli Studenti Medi, che raggruppa le associazioni delle scuole superiori attive in ogni città italiana, ha lanciato, sulla piattaforma www.alternanzagiusta.it, un questionario per monitorare l’alternanza scuola-lavoro e un numero verde, 800 194 952, a cui possono rivolgersi gli studenti.
Edoardo Roncon, al quarto anno di un istituto alberghiero di Pavia, referente degli Studenti medi della sua città e rappresentante d’istituto è tra coloro che hanno lavorato alla piattaforma perché ha compreso sulla sua pelle le difficoltà di questo percorso: “Sono stato in un hotel a Milano dove mi sarei dovuto occupare dell’accoglienza, delle chiamate in coerenza con il mio indirizzo di studi ma l’unica cosa che ho fatto per tre settimane sono state fotocopie. Lavoravo sei ore al giorno per cinque giorni la settimana come è previsto. Non mi hanno mai lasciato usare il sistema per l’accettazione degli ospiti, non ho potuto parlare l’inglese con i clienti. Se all’esame di Stato mi chiederanno cosa ho fatto durante lo stage, risponderò: le fotocopie”. Edoardo ha fatto presente alla scuola com’è andata la sua esperienza e l’hotel in questione è finito nella lista nera dell’istituto. Ma non basta. Roncon solleva un altro problema senza puntare il dito sui docenti: “Spesso tocca a noi cercare delle realtà perché la scuola non trova le aziende e si affida alle conoscenze dei ragazzi. Altre volte i professori ti offrono delle esperienze che non soddisfano le proprie esigenze formative e non ti resta che far da te”.
Lo sa bene Aleksandra del liceo artistico Volta di Pavia, che dopo un’esperienza negativa, lo scorso anno, a far disegni per i bambini all’interno di un museo ora sta cercando una possibilità che sia utile: “Ho parlato con il dirigente scolastico e il vice, con il tutor e i professori ma finora nulla. Mi hanno detto di provare a cercare qualcosa che mi piace ma non è facile. Loro fanno quello che possono, io pure: ci siamo trovati tra le mani una cosa che è difficile da organizzare”. Peggio è andata a Sabrina Congiu dell’alberghiero di Sannazaro de Burgondi, in provincia di Pavia: “Avrei dovuto occuparmi della reception in un hotel ma ho fatto tutt’altro: mi hanno messo a fare le pulizie, ho servito al ristorante, sono stata in sala bar. Tutte attività che non riguardano il mio indirizzo, accoglienza turistica. Lavoravo dalle 17 alle 23 con una breve pausa per cenare. Quando non c’era nulla da fare mi davano in mano la scopa: mi sono sentita una dipendente un po’ sfruttata. Quando sono tornata a scuola ho detto ai miei professori che non avevo imparato proprio nulla”. Sabrina denuncia anche i rapporti con la titolare dell’hotel: “Il tutor aziendale era una brava persona ma doveva seguire una ragazza in prova per lavoro e non aveva tempo per me. La proprietaria, invece, è arrivata al punto di prendermi a parole, se fossi stata una sua dipendente mi sarei licenziata”.
A fare i conti con le difficoltà di scuola alternanza-lavoro sono anche i dirigenti scolastici che al Nord trovano le stesse difficoltà di quelli del Sud ad individuare le realtà ma anche a gestire tutta la burocrazia legata a questa attività. Roberta Mozzi è a capo dell’istituto tecnico e del liceo Torriani di Cremona, uno dei più grandi della città. Quest’anno ha dovuto trovare una società, un ente o un’azienda per circa 450 studenti. Una fatica anche a Cremona: “Cerchiamo di indirizzarli in luoghi che siano pertinenti al loro indirizzo di studi: i meccanici nella loro filiera così come gli elettronici, ma per gli informatici abbiamo trovato difficoltà anche nel cremonese. Un’impresa non prende una classe intera ma ne accoglie due, tre. Non solo. Ogni scuola è alla ricerca di aziende perciò diventa una guerra tra istituti. Stiamo parlando di 200 ore in un anno moltiplicate per migliaia di studenti che vanno sempre nelle stesse aziende. Certo esistono anche esperienze positive: abbiamo un progetto pilota con l’Associazione piccoli industriali che ha messo a disposizione un’azienda che li guiderà per tutto il percorso formativo facendosi carico anche delle spese di viaggio dei ragazzi”.
I costi appunto. Al Torriani provano a rimborsare le spese di viaggio dei ragazzi ma non tutti lo fanno. Alla scuola, soprattutto se si tratta di un istituto tecnico che ha a che fare anche con mansioni a rischio, restano le spese per il medico competente perché sono poco le industrie che si assumono anche questo onere. “Le ditte meccaniche e chimiche – spiega la dirigente cremonese – oltre alla formazione sulla sicurezza base esigono ore di formazione per l’alto rischio che secondo la legge dovrebbe fare l’impresa, ma sono poche quelle che svolgono questo compito. Poi c’è l’assicurazione che spesso è a carico dei ragazzi. Infine, la scuola deve acquistare tutti i dispositivi per la sicurezza dal momento che non ci devono essere spese per le famiglie. Il fondo che ci è dato dal Miur dovrebbe andare in toto su questo capitolo ma dobbiamo anche riconoscere il lavoro degli insegnanti tutor che d’estate vanno a visitare le aziende con i propri mezzi senza ricevere alcun rimborso”. Non ultimo un lavoro per nulla riconosciuto: “Ogni ragazzo chiede un investimento di tempo dell’insegnante, della segreteria, del responsabile della sicurezza”. Tutto dovuto, secondo la Legge 107.