Una data rigida, quella del 30 giugno, entro cui presentare le domande di Ape sociale e anticipo pensionistico per i lavoratori precoci che hanno maturato i requisiti nel 2017, il criterio dei sei anni di lavoro continuativo nelle attività gravose (che rischia di escludere interi settori come l’edilizia) e l’impossibilità di rientrare fra i lavoratori precoci o nell’Ape sociale per i disoccupati per scadenza del contratto a termine. Sono questi alcuni dei punti critici sui quali il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli ha manifestato le sue perplessità al termine del confronto che si è svolto lunedì 20 tra governo e sindacati e nel corso del quale si è affrontata anche la questione dei decreti attuativi, da approvare con una certa urgenza. Un incontro definito “utile”, anche se le risposte sono state su molti punti “del tutto insufficienti”.
IN ATTESA DEI DECRETI ATTUATIVI – Le domande per accedere all’anticipo e all’Ape social, così come stabilito nella legge di Bilancio, potranno essere presentate a partire dal primo maggio. Il governo ha annunciato non solo il termine di giugno per il 2017, ma anche che, per il 2018, la data limite di presentazione sarà nel mese di marzo. Solo che i decreti attuativi tardano ad arrivare. Un provvedimento riguarda l’Ape, ossia l’anticipo pensionistico, un altro la Rendita integrativa temporanea anticipata e un terzo la cosiddetta “quota 41”, ossia l’uscita a qualsiasi età anagrafica, ma con 41 anni di contributi, che i lavoratori precoci vorrebbero vedere riconosciuta a tutti. “Con un lavoro paziente – ha spiegato il segretario confederale della Cisl Maurizio Petriccioli – il tavolo ha definito le procedure per l’accesso all’Ape agevolata e all’Ape volontaria, ma il governo con i decreti attuativi deve sciogliere le riserve su una serie di questioni da noi poste sui benefici per i lavori precoci e sui requisiti di accesso all’Ape Agevolata per i lavoratori che svolgono attività gravose”. Ed è proprio dopo l’approvazione dei decreti attuativi che la Cgil rimanda ogni altra valutazione: “Visto che alcune risposte sono state del tutto interlocutorie, saremo in condizione di esprimere un giudizio compiuto solo a decreti approvati, cosa da fare al più presto per permettere l’avvio della sperimentazione dal 1 maggio prossimo”. Altre questioni ancora aperte saranno affrontate nella fase due, che si aprirà il 23 marzo.
APE VOLONTARIA E APE SOCIAL: LE RICHIESTE DEI SINDACATI – Per chiedere l’Ape volontaria bisognerà avere almeno 63 anni di età e 20 di contributi e aver maturato un importo di pensione (al netto della rata di ammortamento per il rimborso del prestito richiesto) pari o superiore a 1,4 volte il trattamento minimo. L’Ape sociale, invece, può essere chiesta da soggetti in condizioni di disagio (disoccupati che abbiano esaurito la disoccupazione da almeno tre mesi, invalidi civili con almeno il 74% di invalidità, dipendenti che svolgono da almeno 6 anni in via continuativa un lavoro gravoso). Sarà necessario avere almeno 63 anni di età e 30 anni di anzianità contributiva (36 anni in caso di attività difficoltose o rischiose). L’indennità, corrisposta per 12 mesi l’anno, è pari all’importo della rata mensile di pensione calcolata al momento dell’accesso alla prestazione, ma non può superare l’importo massimo mensile di 1.500 euro e non è soggetta a rivalutazione. Ma quali sono i punti critici? Oltre alla questione della data limite per la presentazione delle domande, i sindacati chiedono criteri meno restrittivi, ad esempio, anche sulla continuità dei contributi versati per l’Ape per i lavori gravosi. Tradotto: invece degli ultimi sei anni continuativi (su 36 complessivi) impegnati in questi lavori, la richiesta è quella di non valutare gli eventuali periodi di disoccupazione intervenuti in quell’arco di tempo, come accade spesso per i lavoratori edili.
CALCOLI ALLA MANO – E se per quanto riguarda l’Ape sociale, che non comporta costi per il lavoratore, il governo prevede l’uscita di 35mila persone, non varrà certo lo stesso discorso per l’Ape volontaria a causa degli alti costi per il lavoratore. Nel corso del tavolo tecnico con i sindacati, il governo ha confermato il calcolo sulla rata di restituzione del prestito annunciato nei mesi scorsi (pari al 4,5-4,7% per ogni anno di anticipo) ma su una media di importo dell’85% della pensione (per tre anni di anticipo) e solo per 12 mesi (mentre la rata sulla pensione si paga su 13 mesi e per 20 anni). A fronte di un anticipo complessivo per tre anni di circa 39.300 euro se ne restituirebbero in 20 anni oltre 54.000 (208 euro netti di rata al mese su una pensione di 1.286 euro, ma per 13 mesi). Il decreto, quindi, dovrebbe prevedere un tetto di importo per la richiesta di prestito dell’85% nel caso di un anticipo di tre anni rispetto alla pensione di vecchiaia, del 90% nel caso di anticipo di due anni e del 95% nel caso di anticipo di un anno.
LE QUESTIONI APERTE – Ghiselli ha sottolineato la necessità di sciogliere il nodo della flessibilità in uscita “su cui si dovrà tenere conto delle diverse situazioni dei lavoratori e dei familiari, gli aspetti previdenziali riguardanti le donne e la rivalutazione delle pensioni in essere”. E mentre la Cgil annuncia che la vertenza delle pensioni continua “e avrà come riferimento la piattaforma che il sindacato ha discusso con i lavoratori e approvato unitariamente”, il segretario confederale della Cisl ha sottolineato: “Dobbiamo evitare che un’interpretazione troppo restrittiva della legge di Bilancio finisca per limitare la portata innovativa dell’intesa del 28 settembre sulla previdenza”. Il segretario della Uil Domenico Proietti, invece, spinge per il varo di provvedimenti “in tempi utili e che rendono esigibile per i cittadini le importanti innovazioni introdotte in particolare per i lavoratori precoci, il cumulo contributivo gratuito, i lavori usuranti e l’ape sociale”.