La multinazionale svizzera ha iniziato all’alba i lavori per la costruzione del gasdotto nella Regione. Le ruspe hanno ripreso a lavorare nonostante la diffida dell'amministrazione locale. Tensione con un gruppo di manifestanti. Quindici primi cittadini hanno firmato una lettera per chiedere l'intervento del prefetto di Lecce Claudio Palomba
“Stanno bloccando la strada, tutti a San Basilio”. E’ il messaggio lanciato su Facebook e che alle sei del 20 marzo ha chiamato a raccolta gli attivisti salentini: all’alba, la multinazionale Tap ha iniziato i lavori di espianto di 211 ulivi per far spazio al gasdotto che dovrà portare gas dall’Azerbaijan in Puglia. È stato un risveglio movimentato per Melendugno, in provincia di Lecce: campagne presidiate dalle forze dell’ordine; persone sedute per terra per mettersi di traverso ai camion; auto a passo d’uomo per rallentare e bloccare l’avanzata dei mezzi; qualcuno, per la troppa tensione, si è sentito male.
Quello che sarebbe dovuto accadere già lo scorso anno, è accaduto ora. E’ con lo spostamento di quegli alberi che Tap avrebbe dovuto avviare il cantiere, la scorsa primavera. Poi, ha dovuto “accontentarsi” di installare una recinzione e ripetere i saggi archeologici, attività non sufficienti per mantenere in piedi l’autorizzazione unica ministeriale, secondo Comune e Regione Puglia. Da lì è nata la doppia inchiesta penale, poi archiviata, e sono ancora pendenti i ricorsi ai giudici amministrativi e alla Corte Costituzionale.
Le ruspe hanno ripreso a lavorare stamattina, dopo il freno della scorsa settimana, in seguito alla diffida del Comune di Melendugno, notificata nuovamente oggi ma ignorata. In contemporanea, quindici sindaci hanno lanciato l’appello al prefetto di Lecce Claudio Palomba, alle istituzioni e alla magistratura, chiedendo “il rispetto della legge e delle regole ed anche del buon senso e del principio di cautela, affinché venga fermato questo possibile grave danno per l’ambiente e il paesaggio salentino, a cui tutti noi teniamo in modo particolare”.
Quegli ulivi sono di certo diventati anche un simbolo, il nuovo braccio di ferro. Tap sta procedendo all’estirpazione sulla base di un atto dirigenziale del Servizio provinciale agricoltura, organo della Regione, che non ha ritenuto di revocarlo in autotutela, sebbene, a suo avviso, ci siano condizioni che “non consentirebbero l’inizio dei lavori di espianto”. Quali sono? A suo dire, la società non avrebbe ottemperato alla prescrizione relativa allo spostamento delle piante contenuta nel decreto di Valutazione di impatto ambientale, anche perché solo un mese fa ha presentato un nuovo progetto sulla parte finale del microtunnel, il tubo che si inabissa nel mare di San Foca per rispuntare nelle campagne in cui ora si stanno concentrando i lavori. È questo, secondo Bari, a mettere Tap in un vicolo cieco: l’espianto degli ulivi è possibile solo per consentire opere per cui tutte le prescrizioni siano state adempiute.
Il ministero dell’Ambiente, con nota di venerdì 17 marzo, gli ha dato torto: una volta ottenuto l’ok dal Servizio provinciale agricoltura, Tap non ha bisogno di aspettare altro (solo) per spostare gli alberi. Dunque, può andare avanti. Dunque, va. Tra le diffide, le proteste rumorose dei cittadini e il silenzio di buona parte della politica.