Ho passato tre ore ieri sera davanti alla televisione francese, TF1 a guardare il dibattito tra i cinque principali candidati alla presidenza. Non sono una gran commentatrice politica, non sono abbastanza esperta: sono più un’osservatrice di modi, linguaggio, stili politici, ma ho ormai un metodo infallibile per misurare il successo o l’insuccesso di un candidato: se piace a me, se lo trovo convincente, sicuramente perderà le elezioni.
Infatti così è andata anche ieri sera. Ero lievemente prevenuta nei confronti di Benoît Hamon, il candidato del Partito socialista che ha battuto Emmanuel Valls alle primarie, giudicandolo troppo idealista, troppo “di sinistra” in un senso poco pragmatico e vecchio stile. E invece nel dibattito (e già domenica nel suo comizio a Parigi) mi è sembrato il solo portatore di una visione non solo politico-economica, ma sociale, umana e culturale del futuro della Francia e dell’Europa. Benché abbia partecipato al disastroso quinquennio di Hollande in vari ruoli e infine con un’apparizione come ministro dell’Educazione, ed è l’unico candidato, insieme a Fillon, del “sistema”, ossia sostenuto da un partito tradizionale, Hamon ha saputo dare un’idea chiara di alternanza con il governo attuale.
Con le sue parole, Hamon ha saputo incarnare ansie e speranze di una generazione (la mia: Hamon è nato come me nel 1967) che vede andare l’Europa a pezzi e che vede perse tutte le sfide globali veramente importanti come quelle dell’ecologia, un dibattito ormai inghiottito tra credenti di diverse fedi (coloro che credono che il clima stia cambiando per colpa nostra e coloro che sono convinti che siano tutte frottole) e quella dell’immigrazione, del sacrosanto diritto umano della gente di spostarsi, di allontanarsi dalla fame, dalla guerra e dalla miseria come è sempre successo (pensiamo alle grandi emigrazioni dall’Italia nell’ultimo secolo) e come continuerà a succedere.
Hamon ha ribadito che il futuro dev’essere a misura d’uomo: i nostri figli devono poter ancora respirare dell’aria respirabile, essere liberi di credere alla religione che preferiscono o di non credere a niente, devono poter studiare cose che formino la loro personalità di cittadini, di attori sociali, di donne e uomini, e non solo cose che li formino per fare un mestiere che probabilmente tra dieci anni non esisterà più. Per superare le ansie, le paure di un mondo incerto, le crisi di identità, la paura di restare esclusi, di non avere talenti, di essere stati derubati di tutto dai grandi potenti, per superare le varie superstizioni collettive che quest’era mette in circolazione (fake news, teorie del complotto, scienza al servizio di nuove ideologie, tecnicisimi di tutti i generi che rendono impossibile al cittadino assumere una posizione morale e intuitiva perché “economicamente impraticabile” etc etc…) ci vuole una visione della società, di cosa significa stare insieme, di cosa ci tiene legati gli uni agli altri in un progetto comune.
Non mi convince la sua visione della società post-industriale come di una società senza lavoro, in cui c’è bisogno di un salario minimo universale per far sopravvivere masse umane senza più nulla da fare. Il lavoro non è la produzione di oggetti, ma la trasformazione creativa, tutta umana, di noi stessi, le miriadi di ponti che gli esseri umani hanno intessuto tra loro stessi e la natura, ossia tutto ciò che chiamiamo “cultura”. Il bisogno umano di trasformare l’ambiente intorno a sé non è un bisogno che si estinguerà anche in un mondo in cui il caffè sarà servito dai robots.
Ma mi ha convinta la sua visione, la sua capacità di dire chiaro che lo sviluppo economico ultra-liberale è guidato da una sostanziale mancanza di presa di coscienza, da una negazione dei bisogni delle persone e che, in ultimo, se proprio le persone sono infelici, perché continuiamo a fare tutto questo? Solo perché abbiamo creato una macchina da cui non sappiamo più scendere?
Ovviamente stamattina Hamon era l’ultimo nei sondaggi. Emmanuel Macron, il trentanovenne ex-ministro delle finanze di Hollande che si è presentato solo, il primo. Il suo “pragmatismo” gli ha fatto dire una frase di destra e una frase di sinistra. Implacabile contro il crimine, ha predicato la “tolleranza zero” in una società che vive ancora in stato di emergenza (e che negli ultimi cinque anni ha moltiplicato i giri di vite e le leggi punitive). Ha difeso i tagli alla sanità, la migliore di cui io abbia mai avuto l’esperienza, e il “caso per caso” nel riformare i tempi di lavoro. Vabbè.
Pragmatismo. La sinistra cosiddetta “illuminata” dice che bisogna votare Macron perché solo lui può resistere a Marine Le Pen nel caso di un ballottaggio sinistra/estrema destra. Ci avevano detto così anche della Hillary Clinton, che bisognava votarla invece di Bernie Sanders perché avrebbe resistito meglio a Trump. Ecco qua.
Macron mi è parso terribilmente inesperto, con un programma vuoto fatto solo di immagini e parole, anche se sicuramente la sua sinistra non sarebbe alla fine radicalmente differente da quella del Partito socialista. Ma penso che la cosa più probabile a questo punto sia un duello, dopo il 23 aprile, tra Marine Le Pen e François Fillon, il candidato della destra, conservatore, ammiratore di Putin, ex primo ministro del presidente francese più corrotto di tutti i tempi, lui stesso pieno di scandali personali completamente ignorati ieri nel dibattito, anti-abortista, omofobo e con l’unica differenza rispetto alla Le Pen di essere pro-Europa e pro-Euro perché pensa che sia meglio per le grandi imprese dei suoi amici. Anche con questo difficile pedigree, Fillon è sembrato un candidato di maggior peso ed esperienza dell’esile Macron. Se così sarà, penso che la sinistra francese non ce la farà a turarsi il naso e votare Fillon. E così ci troveremo con Marine Le Pen presidente, la fine dell’Europa e dell’Euro, la caccia ai migranti e la baguette obbligatoria alla mensa scolastica.
La cosa per me più incredibile, dopo vent’anni in questo Paese in cui tutti, televisione, giornali, partiti politici, avevano sempre fatto scudo contro l’estrema destra (a differenza dell’Italia), è che ormai il Front National è “sdoganato”: nell’era di Trump, di Beppe Grillo e del Brexit, le picconate sull’Europa, sugli immigrati etc etc sono conversazioni ormai da fila della spesa. E se Le Pen diventa normale, allora vuol dire che il mondo in cui ho creduto non esiste davvero più.