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Parliamone Sabato, ok chiudere il talk ma ora la Rai dovrà liberarsi del populismo ereditato da Mediaset

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Il caso “donne dell’est” ha determinato la chiusura di Parliamone Sabato, talk-gossip condotto da Paola Perego. Colpa del cartellone ripieno di banalità sessiste che ha suscitato, da destra a sinistra, motivate indignazioni. Non ha torto tuttavia, c’è chi sottolinea come di porcheriole analoghe ne vadano in onda parecchie e che Perego è stata punita mentre altri continuano a fare di simile e di peggio.

Ma il Direttore Generale, prevenendo l’obiezione, ha anticipato l’intento di rivedere la qualità dell’intero day time, dove alligna in effetti gran parte della zavorra ereditata dalla stagione di “Raiset”, specialmente a partire dal 2002 fino al 2011, quando la presa sulla Rai del mondo della tv commerciale, Mediaset in testa, è stata pressoché assoluta.

In quella “presa” c’erano gli elementi del dominio, giacché il governo – è risaputo – nominava i vertici Rai e incalzava le loro scelte in funzione degli interessi di Mediaset. Ma si aggiunsero ben presto i tratti dell’egemonia, perché in Rai si era nel frattempo seccata la pianta del “piccolo” servizio pubblico pedagogico ereditata dal tempo del monopolio, ed era stata violentemente espiantata la potenzialità di “grande” servizio pubblico, popolare e non populistico, apparsa qua là fino alla Terza Rete di Angelo Guglielmi.

In quel vuoto dilagarono anche in Rai i canoni strutturali della versione italiana della tv commerciale. Questa, come appare chiaro a chi ne ricordi le origini alla fine degli anni ’70, nasce sfruttando la spinta alla rivolta contro le élite, una sorta di trumpismo ante litteram, estetico e linguistico, estraneo e/o ostile al Servizio Pubblico di lor signori. Riguardava l’intrattenimento casalingo di allora, ma con esso iniziava la scissione culturale che, decennio dopo decennio, sarebbe sfociata nella politica da avanspettacolo, dapprima con Forza Italia e oggi con M5s seguiti, più o meno, dal resto.

Potrà la Rai dismettere quella eredità populistica che copre, a occhio e croce, una cinquantina di ore di palinsesto alla settimana, quasi tutte in fasce di alto ascolto? No, se non cambierà la funzione e connotazione editoriale delle reti, a partire da quelle generaliste.

Il difetto di Rai1+2+3 è che una è di troppo, anche rispetto alle pratiche estere. Troppe reti e troppe ore da riempire portano necessariamente ad abusare dei programmi di chiacchiere, come il soppresso Parliamone Sabato, perché costano poco in rapporto alle ore che coprono. Ma che costando poco sono tirati via, sfruttano i luoghi comuni, etc etc (come testimonia esemplarmente il cartellone sessista ottusamente estratto da internet).

Ma servono soldi, molti soldi, per fare chiacchiere più dense o sostituirle con altri format, dalla fiction (dove la stessa Rai peraltro sta dimostrando di cavarsela, proprio perché la macchina del narrare è più complessa di quella del chiacchierare) al documentario. Ma più reti hai, meno soldi puoi concentrare sulle singole produzioni, e ti condanni a restare legato al palo della mediocrità, con i relativi incidenti di percorso.

Tant’è, viene da pensare, che converrà verificare con scrupolo che la Convenzione collegata alla incombente ri-concessione del servizio pubblico alla Rai, non nasconda vincoli tali da impedire di fare ciò che va fatto proprio mentre a gran voce tutti pretendono che lo si faccia. Altrimenti anticipiamo tutti le scuse alla povera Paola Perego.

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