Nei giorni scorsi il governo ha firmato il decreto con il quale assegna alle scuole paritarie private 575 milioni di euro. Pochi o tanti? Non solo. In queste ore il presidente nazionale dell’Associazione Nazionale degli Istituti non Statali di Educazione e di Istruzione, ha festeggiato il fatto che la ministra Valeria Fedeli (Pd) ha per la prima volta aperto un finanziamento Pon anche alle paritarie private: “Cade infatti, per la prima volta, la discriminazione verso di noi. La ministra è persona seria e coerente”, ha detto Luigi Sepiacci.
Credo sia arrivato il momento di riaprire un serio dibattito sulla questione.
Una premessa.
L’articolo 30 della Costituzione cita: “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio”. Pertanto sono mamma e papà a decidere come e dove istruire ed educare i propri bambini.
L’articolo 33, invece, dice: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. E aggiunge: “La legge nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad essere piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”.
A questo va aggiunta la Legge del 10 marzo 2000, a firma Berlinguer (oggi Partito Democratico e renziano doc) che all’articolo uno inseriva nel sistema nazionale di istruzione le scuole statali e le scuole paritarie private, alla pari. Non solo, all’articolo tre riconosceva a quest’ultime il loro ruolo di “servizio pubblico” quale effettivamente è.
Detto questo qualche numero: oggi le scuole paritarie private coinvolgono un milione di famiglie, 13.000 scuole, 100.000 dipendenti, 332.548 studenti. Sono ragazzi iscritti più al Sud che al Nord dove la scuola paritaria offre il tempo pieno molto più che quella statale.
Una realtà che persino nella rossa Toscana è essenziale: in quella regione i bambini tra i tre e i cinque anni che frequentano scuole paritarie dove un quinto del personale è religioso e un terzo degli insegnanti sono suore. I servizi educativi per la prima infanzia sono gestiti per il 52,7% dal privato e dal 47% dal pubblico.
Va preso atto: la scuola paritaria privata è una realtà presente e viva. Garantita dallo Stato che ha invece fallito sul fronte dei servizi per la prima infanzia, in primis. Non solo: non ha nemmeno riconosciuto l’obbligatorietà della scuola per i bambini dai tre ai cinque anni lasciando nelle mani dei privati la partita.
Chiaro, molti si appellano a quel “senza oneri per lo Stato” ma i sostenitori della paritaria non esitano a precisare che secondo loro il Costituente aveva pensato a ciò relativamente all’atto di nascita degli enti. Non è mio compito prendere posizioni giuridiche.
Semmai è ora di fare un ragionamento. Le scuole paritarie private lamentano di avere pochi soldi dallo Stato, ed è vero: dal 2001 ad oggi il finanziamento è aumentato di poco, si è passati da 476 milioni di 15 anni fa ai 575 di oggi. Secondo i dati dell’Oecd in termini di spesa pubblica annuale per studente per le scuole primarie e secondarie siamo il Paese con il maggior gap tra pubbliche e private. Ma dall’altro canto le cose non vanno meglio: secondo l’Ocse siamo tra gli ultimi in classifica in termini di spesa totale dal primo ciclo al ciclo terziario dell’istruzione. Basta entrare in una scuola statale anche della Lombardia per vedere aule senza wifi, con personal computer dei primi anni Novanta, con mappe vecchie appese alle pareti o ancora insegnanti che vengono pagati come una badante per le ore extracurriculari, per i viaggi d’istruzione con i ragazzi.
Lo Stato ha reso equipollente le paritarie e le statali senza accorgersi che quel “deve assicurare ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali”. Forse vale al contrario. Non solo. Oggi non ci sono soldi per le paritarie private e nemmeno per le Statali.
Un dibattito che va aperto e affrontato insieme come abbiamo provato a farlo sabato scorso a Melegnano dove allo stesso tavolo si è seduto un dirigente scolastico di una scuola statale, Giancarlo Sala, la presidente della Fidae suor Anna Monia Alfieri, l’assessore regionale Valentina Aprea ma anche Fabio Pizzul, consigliere regionale Pd in Lombardia. “Una battaglia quella tra scuole paritarie e statali Novecentesca che non ha più senso fare”, ha detto la Aprea. Una proposta è arrivata da suor Anna Alfieri: fissare un costo standard per studente da applicare alle scuole pubbliche italiane statali e paritarie. Un’idea che tuttavia pecca di escludere dai costi a carico dello Stato, le attività extracurriculari e i viaggi d’istruzione, per esempio. Inoltre non tiene conto di un’Italia divisa in due: si può applicare lo stesso costo standard a Palermo e a Milano?
Intanto oggi chi controlla le paritarie private? Chi aiuta Melania a denunciare quella scuola paritaria che le ha dato i punti ma non lo stipendio? E’ complice di un sistema la ragazza del Sud che pur di fare punti accetta questo ricatto senza denunciare o è vittima? E poi è proprio così vero che il pluralismo educativo è assicurato dalle scuole paritarie private o forse è più garantito dalla scuola statale dove insegna il maestro ateo, la maestra buddista e quella cristiana cattolica? Il dibattito va riaperto, senza pregiudizi. Senza per forza scomodare il discorso di Calamandrei che aveva una sua ragion d’essere quando lo Stato faceva lo Stato.