E' la fotografia tracciata da uno studio della Fondazione Visentini presentato oggi alla università Luiss. La soluzione? "Serve un patto generazionale"
Negli anni la politica li ha definiti bamboccioni, choosy, sfigati. La realtà è che i giovani italiani sono soprattutto lavoratori precari (o con stipendi bassi) che, per diventare autonomi economicamente, sono costretti ad arrivare a 40 anni. E il futuro non promette nulla di buono: se la tendenza non cambia, nel 2030 i ragazzi potranno contare su uno stipendio solido solo quando avranno 50 anni, quindi quando non saranno più giovani. E’ la fotografia tracciata da uno studio della Fondazione Visentini presentato oggi alla università Luiss. Il ragionamento è semplice: “Se un giovane di vent’anni nel 2004 ha impiegato 10 anni per raggiungere l’indipendenza economica, nel 2020 ne impiegherà 18 (arrivando quindi a 38 anni) e nel 2030 addirittura 28. Diventerebbe, in sostanza, grande a cinquant’anni” si legge nella ricerca. Che parte da questa proiezione per analizzare quanto sta accadendo nel nostro Paese, penultimo in Europa per quanto riguarda l’indice di equità tra le generazioni: mentre la media continentale si attesta poco sopra i 100 punti, l’Italia è ferma a quota 130. Peggio di noi solo la Grecia, ultimissima a quota 150 punti. Cresce, inoltre, il peso del costo dei Neet (i giovani non impegnati nello studio, né nel lavoro, né nella formazione) sull’economia: per la fondazione Bruno Visentini nel 2016 l’incidenza è salita a 32,65 miliardi, contro i 23,8 miliardi del 2008, ma meno dei 34,6 miliardi del 2014.
Lo studio, tuttavia, non si limita alla pars destruens, ma propone una serie di iniziative per provare a invertire la rotta. Serve, innanzitutto, una “rimodulazione dell’imposizione che, con funzione redistributiva, tenga conto della maturità fiscale“. Una sorta di patto tra generazioni, insomma, per evitare il “rischio di una deriva” dei Millennials. La fondazione, in tal senso, suggerisce “un contributo solidaristico da parte della generazione più matura che gode di pensioni più generose”. Si ipotizza dunque il coinvolgimento “per tre anni” in un patto generazione “di circa 2 milioni di cittadini pensionati sottoscrittori posizionati nella parte apicale delle fasce pensionistiche con un intervento rigorosamente progressivo rispetto sia alla capacità contributiva, sia ai contributi versati”. Tutto ciò – continua lo studio – si può raggiungere “attraverso incentivi fiscali e la creazione di un adeguato Fondo di solidarietà per le politiche giovanili in grado di rifinanziare molte delle misure messe in campo dal Governo e mappate nel rapporto, nonché misure straordinarie di contributi e la creazione di strumenti finanziari in grado di moltiplicare l’effetto e sostenere la strategia delineata, mirante a sostenere quantomeno il costo che il nostro Paese sostiene per i Neet“.