La mensa dei profughi non si fa perché i residenti non vogliono. Una raccolta firme di protesta ha convinto i gestori (privati) che collaborano con l’Arci a rinunciare alla sede che avevano scelto nel centro di Livorno. “Non siamo razzisti” dice la portavoce del comitato che ha spinto per non far aprire la mensa. Piuttosto secondo i residenti firmatari il rischio è che “il degrado del centro aumenterà”, “le case verranno svalutate”, “diminuirà il senso di sicurezza” a causa di “fiumi di persone senza alcun tipo di controllo né progetto loro dedicato, destinate a bivaccare in massa”. Una ricostruzione respinta dalla ditta che avrebbe gestito la mensa che però dopo un incontro in Comune ha rinunciato al progetto. L’amministrazione comunale si è limitata a precisare che non c’entra niente con l’apertura del centro, parla di “vicenda nata male” perché gli uffici del municipio non sono stati coinvolti.
Gli abitanti della zona di via Michon, a due passi dalla zona pedonale e dal Fosso Reale, avevano saputo dell’apertura della mensa dal Tirreno. La mensa, ricavata dal frazionamento degli spazi in precedenza occupati da un supermercato, doveva esser gestita dalla ditta Alberto Perassi che in collaborazione con Arci Solidarietà gestisce già due centri d’accoglienza. Un gruppo di cittadini aveva però fatto scattare la protesta. Nel volantino distribuito dal comitato si diceva che la mensa avrebbe dovuto servire ogni giorno circa 500 richiedenti asilo (“fiumi di persone senza alcun tipo di controllo nè progetto loro dedicato, destinate a bivaccare in massa”). Dall’azienda avevano invece precisato che la mensa sarebbe stata utilizzata “dai 130 richiedenti asilo che fino a oggi usufruivano di una struttura più piccola situata non in un campo sperduto, bensì in un contesto densamente abitato”.
Ma la portavoce del comitato, Claudia Gilbo, a ilfattoquotidiano.it insiste: “Il degrado del centro aumenterà, le case verranno svalutate e diminuirà il senso di sicurezza. Prefettura e Comune avrebbero dovuto interpellarci, invece si è fatto tutto di nascosto. La struttura va realizzata altrove e non in quello che dovrebbe essere il salotto buono della città”. In pochi giorni alla raccolta firme aveva aderito un centinaio di persone e si stava allargando, si spiega, “a macchia d’olio”. Gilbo aveva chiesto che la mensa fosse spostata “da quello che dovrebbe essere il salotto buono della città verso quartieri con densità abitativa inferiore“. I residenti si erano dichiarati pronti alla “lotta dura”, “a bloccare la strada e a incatenarci“. Il comitato ha anche invitato a non strumentalizzare: “Non vogliamo essere identificati con nessuna forza politica“. Gli abitanti non vogliono buttarla in politica, insomma, ma sono i partiti che non si sono fatti mancare l’occasione di cavalcare la vicenda, tanto che Fratelli d’Italia aveva già annunciato una manifestazione per i prossimi giorni.
Invano i vertici della Alberto Perassi avevano cercato di tranquillizzare: “Ma quali 500 profughi, i richiedenti asilo gestiti a Livorno dalle associazioni sono solo 370. La nuova mensa sarà utilizzata dai 130 profughi che fino a oggi si servivano di una struttura più piccola in viale Carducci”. Il numero degli ospiti in futuro sarebbe forse potuto salire: “Tutto dipenderà dalle esigenze legate all’accoglienza”. E la mensa sarebbe rimasta aperta 4 ore al giorno: “Dalle 12 alle 14 e dalle 19 alle 21”.
Il Comune, dal canto suo, aveva ribadito con l’assessore al Sociale Ina Dhimgjini che “la volontà di aprire la mensa è di natura privatistica” e che insomma “non è il Comune a voler aprire la mensa”. “Siamo perfettamente consapevoli della necessità di trovare locali adeguati da utilizzare come refettori per i migranti – aggiunge l’assesssore – Se vogliamo però affrontare in maniera costruttiva la questione è necessario un approccio differente: non è possibile che l’amministrazione non venga coinvolta in un progetto potenzialmente così impattante sul centro della città”.
IlFattoQuotidiano.it, prima della rinuncia temporanea alla mensa, aveva interpellato anche il presidente di Arci solidarietà Cinzia Simoni: “Si parla di 130 persone, non mi sembra che siano numeri da allarmismo. Non ci sarà nessuna orda a bighellonare: questi ragazzi sono inseriti in percorsi di accoglienza precisi, entro le 22 devono tassativamente rientrare nelle strutture di riferimento”. Il presidente di Arci Marco Solimano aveva precisato ai giornali locali che si tratta di profughi “già inseriti in strutture gestite da associazioni e cooperative, all’interno delle quali sono già stati attivati percorsi di inclusione sociale: corsi di italiano, volontariato, teatro”. E “le mense non si aprono solo nei quartieri periferici, come fossero ghetti”.