di Eugenio D’Auria *
La lettera aperta indirizzata a Federica Mogherini dal think tank “European Values” – che ha sede a Praga – è soltanto il più recente degli interventi mirati a condizionare le scelte dell’Alta Rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza. I firmatari del documento sono studiosi e ricercatori in gran parte provenienti dai Paesi dell’Est Europa ed è facile comprendere il loro orientamento politico dagli organismi di appartenenza o dalle posizioni ricoperte (il polacco Saryusz-Wolski è stato, ad esempio, il candidato di Varsavia nell’infruttuoso tentativo di impedire la riconferma del connazionale Tusk a Presidente del Consiglio Europeo). La richiesta del gruppo è un invito a far sì che “le aggressive iniziative russe in campo internazionale, sostenute da campagne di disinformazione senza precedenti“, vengano affrontate con maggiore determinazione e non sottovalutate, come finora fatto dalla Mogherini secondo gli aderenti alla petizione.
Le tematiche di politica estera hanno sempre attirato critiche e prese di posizione più marcate rispetto a gran parte degli altri argomenti europei e ciò è perfettamente comprensibile se si tiene conto della rilevanza delle questioni internazionali nei rapporti tra i principali attori a livello mondiale: Stati Uniti, Russia, Cina, Giappone e – appunto – Unione Europea.
Raramente viene peraltro messo in evidenza un elemento di particolare rilievo, purtroppo in senso negativo, nel confronto tra i “big players”: senza rievocare l’abusata frase di Kissinger sulla ricerca del numero di telefono di un unico responsabile europeo capace di adottare decisioni in tempo reale, è infatti evidente che Bruxelles svolge il suo ruolo in campo internazionale con un pesante handicap di fondo: l’esigenza di raggiungere il consenso fra i 27 Paesi membri prima di adottare posizioni ufficiali su ogni singola questione.
Anche se progressi sono stati fatti sulla strada di più agili meccanismi decisionali, che permettono ora di procedere con maggioranze qualificate per alcuni argomenti, appare con sempre crescente evidenza che uno dei punti più qualificanti per far avanzare il progetto europeo è quello della politica estera. Può apparire paradossale che in un periodo caratterizzato da euroscetticismi diffusi siano sempre più numerose le prese di posizione a favore di una politica estera compiutamente europea; in effetti sta aumentando la consapevolezza che Bruxelles debba mettere a punto nuovi meccanismi decisionali, capaci di portare a risultati all’altezza del ruolo dell’Ue, delle risorse impegnate per la cooperazione internazionale e del volume degli scambi con i Paesi terzi.
Per quanto possano essere encomiabili gli sforzi dell’Alta Rappresentante nel mantenere e sviluppare contatti in ambito internazionale – Federica Mogherini ha, ad esempio, effettuato una visita ad Addis Abeba a sole 48 ore dall’insediamento della nuova Auc (African Union Commission) – pesano pur sempre sull’azione esterna dell’Ue i farraginosi meccanismi mirati ad ovviare ai limiti posti dalle attuali regole all’azione dell’Alta Rappresentante.
Mai come in questo caso appare evidente come non sia da biasimare la tanto vituperata euroburocrazia quanto la mancanza di volontà politica nell’avviare un nuovo corso; è certo comprensibile che i ministri degli Esteri dei Paesi membri abbiano difficoltà a rinunciare ad alcune delle loro prerogative ma soltanto un più sviluppato coordinamento sul terreno eviterebbe la moltiplicazione di visite ed incontri che suscitano negli interlocutori dei Paesi terzi confusione e dubbi.
I segnali lanciati recentemente per una cooperazione rafforzata tra i principali Paesi membri nel campo della Sicurezza e Difesa appaiono incoraggianti ma la complessità delle sfide che attendono l’Unione Europea nell’immediato futuro richiedono interventi ancor più incisivi ed urgenti. E’ da auspicare a tal fine che questi aspetti, sinora discussi soltanto in ambiti ristretti, vengano portati all’attenzione di sempre più ampie fasce dell’opinione pubblica europea così da suscitare un confronto approfondito sulle lacune dei meccanismi decisionali ora operanti.
L’attuale Alta Rappresentante ha subito critiche in ripetute occasioni ma di tutt’altro tipo rispetto a quelle rivolte a Lady Ashton, oggetto di pesanti attacchi per la sua scarsa esperienza in tema di relazioni internazionali. I rilievi mossi alla Mogherini hanno invece un contenuto più politico, come dimostrato dall’esempio riportato all’inizio: le viene infatti addebitata la mancanza di iniziativa per l’attuazione di quanto deciso da Consiglio e Parlamento Europei. Ciò implica peraltro il riconoscimento di un suo ruolo più politico, valutazione verosimilmente non sgradita all’interessata né a quanti intendono operare ai fini di una posizione di maggior rilievo dei servizi della Commissione preposti alle relazioni esterne.
Tali considerazioni riconducono peraltro alla scelta che effettueranno i cittadini di Francia, Germania ed Italia nell’arco di alcuni mesi, al massimo un anno: tra le forze politiche che, nella migliore delle ipotesi, intendono ridurre considerevolmente i poteri di Bruxelles ed i partiti che vogliono invece riformare le attuali strutture di cooperazione per renderle più efficienti e rispondenti alle esigenze di un mondo profondamente diverso rispetto a quello immaginato molti decenni orsono.
I primi segnali arriveranno anche dagli incontri previsti a Roma per celebrare i 60 ani della firma dei Trattati che istituirono l’allora Comunità Economica Europea: una chiara manifestazione di volontà nell’applicare in maniera determinata e coerente quanto previsto per le collaborazioni rafforzate fra gruppi di Stati avrà effetti benefici per la Casa europea. E non pochi si interrogano quindi se non sia il caso, parafrasando Monnet, di ripartire dalla politica estera per assicurare maggiore coerenza e solidità alla costruzione europea.
* già ambasciatore in Arabia Saudita