Non ne avevo mai visti così tanti, anzi neppure speravo che fossero così tanti: gli europeisti, più o meno federalisti, erano ovunque ieri, 24 marzo, a Roma, da ogni Paese. Nelle sedi istituzionali e nelle piazze, nei palazzi dei convegni e nelle vie, nei centri di ricerca come l’Istituto affari internazionali (Iai) – fondato da Altiero Spinelli – e nelle Università: la sera, il Forum della Coalizione ‘Cambiamo rotta all’Europa’, nell’Aula Magna della Sapienza, è stata una bella festa, musica ed Europa.
E, questa mattina, per tutti, i luoghi di ritrovo sono prima al Centro congressi Roma eventi in piazza di Spagna, per un incontro di tutte le sigle e le tendenze dell’europeismo; e, quindi, dalle 11, alla Bocca della Verità: da lì, la Marcia dell’Europa arriverà all’Arco di Costantino, al Colosseo, perché “l’Europa non può più aspettare, il momento giusto per cambiarla è adesso”. Una festa, con i colori della fiducia e della speranza.
Sono loro, gli europeisti di tutta una vita e i giovani, i veri protagonisti di questo 25 marzo a Roma, 60° anniversario della firma, nella Sala degli Orazi e Curiazi, in Campidoglio, dei Trattati istitutivi delle allora Comunità europee, la Cee economica, la Ceca del carbone e dell’acciaio, l’Euratom dell’energia atomica. Loro e non i leader dei Paesi dell’Ue impegnati in riti troppo prudenti di rievocazione e di rilancio. Soprattutto loro e non gli scettici dell’Europa che, nel pomeriggio, avranno cortei e manifestazioni di segno diverso: sovranisti di destra di StopUe ed euroscettici di sinistra per “un’altra Europa”. E’ fra gli ‘anti’ che si temono infiltrazioni di facinorosi violenti.
Il Mec, poi Cee, poi Ue, è cresciuto ed è pure invecchiato, come i bambini delle elementari che, allora, nel 1957, fecero “un disegno per l’Europa”. Nel mio da scolaretto, ingenuo e banale, c’era una barriera doganale rossa e bianca che s’alzava – e dire che io non ne avevo ancora visto nessuna: non ero mai stato all’estero – e una bambina, con un vestito azzurro, che passava il confine. Tutto intorno tanto verde. Quel disegno a tinte pastello non vinse il concorso; ma lo sforzo per produrlo, forse il primo stress della mia vita d’allievo, me lo rese indelebile nella memoria.
Nell’anniversario, oggi, ci sono più graffiti anti-europei nelle strade di Roma che disegni di alunni sui banchi di scuola. Il disegno s’è sgualcito e appannato, il progetto ha perso slancio e idealismo e ha stemperato le proprie ambizioni nei successivi allargamenti, è diventato sempre più macchinoso e burocratico: le sue conquiste e le sue libertà sono divenute abitudini, le sue regole camicie di forza intollerabili, rispetto a una sovranità – quale?, ormai – perduta e all’‘Eden della lira’.
Papa Francesco, ricevendo ieri in Vaticano i leader europei, ha loro suggerito che cosa non fare: non perdere la memoria, non piegare gli ideali all’economia. “La solidarietà – ha detto Papa Bergoglio – è antidoto al populismo: basta con l’egoismo”. Il presidente della Repubblica Mattarella, il premier Gentiloni, le Istituzioni europee hanno sciorinato certezze e imperativi: “Ritrovare lo slancio e ripartire da Roma”, come nel 1957 e, più di recente, nel 1990, perché proprio qui la Comunità, cioè la Cee, prese lo slancio per diventare nel 1991 a Maastricht l’Unione, l’Ue. L’agenda romana dei leader recita: rivendicare i risultati conseguiti – pace e libertà di circolazione, in primo luogo -; confermare la volontà di restare insieme; individuare le direzioni del cammino da fare – il lavoro, l’immigrazione, la sicurezza e la difesa -.
Certo, l’Unione che si presenta a Roma perde i pezzi – la Gran Bretagna sta per andarsene – e batte in testa: vive gli strascichi della crisi economica più grave e più lunga del secondo dopoguerra; non trova parata al flusso delle migrazioni; ha perso efficacia e non fa più presa sui cittadini. Ma è senza alternativa: i sovranisti, in linea con lo spirito del tempo, raccontano le loro ‘fake news’, perché smantellare l’Unione e tornare agli Stati nazionali sarebbe una condanna all’irrilevanza per tutti gli europei e la consegna del mondo al bipolarismo economico e commerciale Usa – Cina e politico e militare Usa – Russia. E’ agghiacciante la coincidenza tra il Vertice del 60° e gli scodinzolamenti a Mosca della leader del Fn Marine Le Pen.
Il fatto, ormai acquisito, che la dichiarazione di Roma avrà in calce le firme di tutti i leader presenti, anche della riluttante premier polacca Beate Szydlo, che minacciava d’astenersi, è apparentemente una buona notizia. In realtà, significa che i passaggi più significativi sono stati smussati a tal punto da renderli quasi impercettibili, dalla volontà di un’Unione “sempre più stretta” alla possibilità che alcuni dei 27 spingano l’integrazione più avanti di altri, con una formula già prevista dai Trattati e con un meccanismo che potrebbe adattarsi, in particolare, al settore della difesa.
Ma Roma è solo una tappa. Come i Vertici a venire. L’Europa trattiene il fiato per i voti in Francia e in Germania. Se ripartirà, lo farà in autunno. Fino ad allora, si accontenterà di sopravvivere. Con il rischio, così facendo, si morire un po’ di più nei cuori dei cittadini. La Marcia dell’Europa la tiene viva più che i riti dei leader.