di Mario Agostinelli e Roberto Meregalli
Il governo è al lavoro sulla nuova Strategia energetica nazionale (Sen). Il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda (v. audizione 1 marzo in X commissione Senato) ha spiegato che la “vecchia” Sen va aggiornata “a seguito delle profonde trasformazioni economiche e in particolare del mercato energetico occorse negli ultimi quattro anni”. Vorremmo sottolineare “economiche” e “mercato” per cogliere la cultura di chi ha ipocritamente firmato la Convenzione di Parigi sul clima e la scarsa credibilità di tutti i riferimenti al cambiamento strutturale del sistema energetico.
Secondo Calenda la Sen 2017 sarà uno strumento per tre obiettivi:
Un primo e non secondario problema è capire che significato possa avere questa nuova strategia. Va ricordato che la “vecchia” nacque per giustificare il ritorno al nucleare e fu l’allora ministro Scajola a inserirla in un decreto legge (112/2008). Fortunatamente, dopo Fukushima e il referendum, tutto si è ridotto a slides coloratissime, che segnalavano la Sen 2013, fondata su tre pilastri: competitività, ambiente, sicurezza.
A ben guardare dal 2013 a oggi nessuno dei tre obiettivi ha fatto passi avanti perché anche se oggi si continua a ripetere che il nostro Paese ha già raggiunto gli obiettivi europei stabiliti per il 2020 (il famoso pacchetto 20-20-20), si tratta di un risultato pregresso: negli ultimi tre anni di passi avanti ne sono stati fatti pochi, anzi nel settore elettrico siamo in ritirata. Basti confrontare la quota di elettricità generata dalle rinnovabili nei primi due mesi di quest’anno con i tre anni precedenti, dal 32,9% siamo scesi al 27,4% (Fonte: Qualenergia.it). La vecchia Sen del resto metteva molta più enfasi sul progetto di fare dell’Italia un hub del gas che sullo sviluppo delle rinnovabili che era sempre citato solo unitamente al termine “sostenibile” inteso in senso economico.
L’Unione Europea ha definito nell’ottobre del 2014 una Strategia su clima ed energia che prevedeva l’obiettivo vincolante per gli Stati membri di ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra nel territorio dell’Unione di almeno il 40% rispetto ai livelli del 1990, e di contribuire con una quota di almeno 27% di energia rinnovabile e un miglioramento del 27% dell’efficienza energetica. Ma nel 2015 i Paesi dell’Ue hanno consumato sì meno energia, ma non meno fonti fossili: gli sforzi per decarbonizzare i sistemi energetici e i trasporti sono troppo lenti. Secondo i dati Eurostat (del 20 febbraio 2017), è aumentata l’incidenza dell’importazione di combustibili fossili nell’UE che soddisfa il 73% della domanda.
Quindi, ridurre le emissioni, aumentare le rinnovabili (altrimenti il primo obiettivo risulta irraggiungibile) e consumare meno energia, ossia fare efficienza dovrebbero essere i tre pilastri della nuova SEN. Relativamente a questo terzo pilastro la Commissione europea nel “Clean Energy package”, un pacchetto di proposte pubblicato novembre 2106, ha previsto un obiettivo legalmente vincolante di risparmio energetico del 30% al 2030, con l’obbligo per gli Stati membri di produrre entro il 1° gennaio 2019 un piano nazionale integrato in materia di energia e clima per il periodo dal 2021 al 2030. Viene naturale pensare che si potrebbe evitare di scrivere una SEN, che al momento non avrebbe alcun “ancoraggio” legislativo, senza alcun passaggio parlamentare, concentrandosi invece sulla preparazione di questo piano su energia e clima.
Calenda ha però esplicitato che intende separare SEN dal Piano integrato energia e clima e di conseguenza la sua posizione rimane legata alla vecchia Sen. Obiettivo primario rimane quindi la competitività che si traduce nel problema dei costi del gas e dell’elettricità in Italia (il secondo è conseguenza del primo essendo il gas a fare il prezzo dell’elettricità in Italia). Riguardo al mix elettrico, Calenda lamenta che abbiamo più rinnovabile (in percentuale) rispetto a Francia e Germania e che questo è costato un onere che pesa sulle bollette elettriche. Un leit motiv che dura da sei anni e che sarebbe bello cessasse almeno per superare la noia.
Calenda in parlamento non ha proferito parola su come proseguire per decarbonizzare il settore energia, al contrario ha lamentato il problema di Enel che chiude centrali termoelettriche (vecchie, va precisato) e come ciò rappresenti un rischio per la sicurezza del sistema elettrico. Nei punti elencati come temi chiave della nuova Sen le rinnovabili sono state messe in contrapposizione con l’efficienza energetica nella ricerca del “mix ottimale per centrare gli obiettivi” (europei). Capitolo a sé per il gas, per la raffinazione e la logistica petrolifera, cui si aggiungono il capitolo liberalizzazione del mercato elettrico (fine della tutela) e la riforma delle regole del mercato elettrico all’ingrosso.
E’ un film già visto: è uno sguardo che non sa alzare la testa per vedere almeno un frammento di futuro ed è uno sguardo che non sa collegare l’energia all’inquinamento e al clima. Usciamo da un inverno in cui i polmoni (almeno di chi abita nella Pianura padana) hanno respirato ossidi di azoto e polveri sottili in quantità esagerata e nelle premesse della Sen non c’è nessun accenno a un possibile piano di rottamazione per i diesel più inquinanti sostenuto da una incentivazione all’auto elettrica. Nessun accenno a una possibile azione combinata per rimuovere l’eternit in cambio di fotovoltaico, o nessuna proposta per rinnovare gli impianti eolici più datati aumentando la generazione a parità di impianti e quindi senza consumo di suolo.
E non scandalizziamoci sempre e soltanto per Trump: in fondo, gli interessi delle lobby da noi si dimostrano sempre vivaci, aggressivi e ben rappresentati.