Si fa presto a dire “disposizioni per il superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”. Così recita l’articolo 20 dello schema di decreto legislativo che modifica il Testo unico del Pubblico impiego, approvato in esame preliminare dal Consiglio dei ministri a fine febbraio. Si fa presto, se la stabilizzazione non riguarda chi lavora negli enti pubblici di ricerca. Altrimenti è tutta un’altra storia. Che parla di necessità di fondi straordinari (che non ci sono) e di un esercito di 10mila lavoratori, impiegati con contratti a tempo determinato (circa 4.200), assegni (oltre 3.300), co.co.co (2mila) e altre forme flessibili, anche da dieci, vent’anni attraverso finanziamenti intercettati un po’ qua e un po’ là. E se a parole la politica vuole investire nella ricerca, secondo i sindacati il Testo unico di attuazione alla riforma Madia potrà fare poco o nulla per migliorare la situazione. Nonostante la previsione di un piano straordinario di assunzioni per il triennio 2018-2020 pensato ad hoc per il precariato storico della pubblica amministrazione.
L’ILLEGALITÀ CHE NON SI SANA – Secondo Fabrizio Stocchi, responsabile nazionale del comparto Ricerca Flc-Cgil, il testo è inadeguato a risolvere o migliorare significativamente il problema della precarietà negli enti di ricerca. “Da un lato – spiega a ilfattoquotidiano.it – è necessario un finanziamento straordinario dopo così tanti anni di mancanza di investimenti”, dall’altro occorre riflettere sul dispositivo che “oltre ad alcune carenze di carattere generale che riguarderanno tutti i settori, non tiene conto di alcuni aspetti particolari del campo della ricerca”. Il testo è attualmente all’esame delle commissioni parlamentari di Camera e Senato e dovrà essere formalmente approvato dal Consiglio dei Ministri entro fine maggio. La speranza è che, nel frattempo, qualcosa possa cambiare. Secondo il ministro Marianna Madia la precarietà storica nel pubblico impiego è “un’illegalità di Stato”. Ebbene, secondo l’Unione sindacale di base Pubblico Impiego questa illegalità non verrà sanata dalla norma di stabilizzazione inserita nel nuovo Testo Unico “perché costretta dentro i limiti economici imposti dall’Europa e dentro i confini della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea che comprende esclusivamente i lavoratori precari a tempo determinato, più pericolosi dal punto di vista legale”. Per questo il sindacato ha organizzato per la mattina del 30 marzo una manifestazione davanti la sede del ministero della Funzione Pubblica e, nel pomeriggio, alla sede romana del Cnr.
I LIMITI DEL TESTO – Nel comma 1 dell’articolo 20 è scritto nero su bianco che le amministrazioni “possono” assumere a tempo indeterminato i lavoratori che, alla data di entrata in vigore del decreto, abbiano maturato almeno 3 anni di servizio con contratti a tempo determinato (anche non continuativi negli ultimi 8 anni). Questi ricercatori, inoltre, devono essere in servizio con questo tipo di contratto presso l’amministrazione che li assume e che deve averli già selezionati con un concorso. “Nel 2017 – spiega Stocchi – in qualsiasi ente di ricerca è fittizia la separazione tra contratti a tempo determinato e contratti parasubordinati, che in alcuni casi addirittura sono la maggioranza (al Cnr e all’Inaf, l’istituto nazionale di ricerca metrologia per citare due esempi, nda). Si tratta di una divisione insopportabile perché parliamo di persone che svolgono lo stesso mestiere”. Inoltre non vengono prese in considerazione alcune specificità del settore: “Per un ricercatore la mobilità tra una struttura e l’altra è importante, spesso necessaria – spiega Stocchi – eppure il testo prevede la stabilizzazione solo per chi ha superato un concorso nel posto in cui sta lavorando e per chi ha maturato i tre anni in quella stessa amministrazione”.
È vero che si prevede che l’ente possa bandire, alle stesse condizioni dettate per i lavoratori a tempo determinato, e garantendo un adeguato accesso dall’esterno, procedure concorsuali con una riserva del 50% dei posti per chi è in servizio con altre forme di lavoro flessibile ma, secondo i sindacati, i benefici per questi lavoratori saranno minimi. Anche perché buona parte del personale degli enti di ricerca non ha contratti continui. “Può capitare – spiega a ilfattoquotidiano.it Claudio Argentini, responsabile di Usb Pubblico Impiego, settore ricerca – che un fondo di finanziamento venga sospeso, o si passi da uno regionale e un altro europeo. Non sempre le amministrazioni danno continuità ai contratti e questo penalizza molti ricercatori”. Secondo i calcolo dell’Usb sono circa 3mila quelli a tempo determinato in tutti gli enti di ricerca che hanno i requisiti richiesti dall’articolo 20, mentre 4mila superano i tre anni richiesti dalla norma considerando anche co.co.co. e assegni di ricerca. “Tanto per fare un esempio – aggiunge il sindacalista – con questi paletti entrerebbero appena 133 precari al Cnr (su 1.220 aventi diritto) e 6 all’Ispra”.
LA QUESTIONE DEI FONDI – L’altro nodo riguarda le risorse finanziarie. “L’azione del governo – spiega Argentini – mira a evitare le procedure di infrazione e i ricorsi da parte di lavoratori degli enti di ricerca, che chiedono i risarcimenti per la reiterazione dei contratti a tempo determinato e la mancanza di possibilità di assunzione”. Il pericolo, insomma, era avere una spesa superiore a quella necessaria per la stabilizzazione. Come assumere, allora, i precari che fino a oggi sono stati pagati con i fondi di ricerca? “Nei mesi scorsi per l’Istituto superiore di sanità e l’Istat sono stati approvati emendamenti ad hoc inseriti nel decreto Milleproroghe”. Nel caso dell’Istituto superiore di Sanità il fondo ordinario è stato alimentato con 6 milioni per il 2017 e circa 12 milioni a partire dal 2018. “Solo per l’Iss si rischiava di pagare 70 milioni per 300 ricorsi. L’istituto ha posto il problema e il ministro Beatrice Lorenzin ha fatto due conti”, spiega Argentini, secondo cui il Testo unico, al contrario, non fornisce soluzioni concrete. “Anche perché – spiega Argentini – la norma non obbliga alla stabilizzazione ma lascia tutto alla discrezionalità dell’ente, mentre i finanziamenti non sono precisati”. In pratica un ente di ricerca, in caso ci siano 100 licenziamenti, può decidere di indire 100 concorsi.
LE RICHIESTE DEI SINDACATI – Il vero limite è che il Testo unico sul pubblico impiego impone che per la stabilizzazione vengano utilizzati solo i fondi ordinari, ossia quelli previsti dalla legge di Bilancio e che arrivano dai ministeri. Ma se in Comuni, Regioni e ministeri i precari vengono direttamente pagati con i fondi ordinari, negli enti di ricerca sono almeno 1.500 quelli retribuiti attraverso finanziamenti diversi. “Se nel caso di questi specifici enti la norma prevedesse – aggiunge Argentini – l’utilizzo di tutti i finanziamenti predisposti dai ministeri vigilanti o da altre amministrazioni dello Stato (per esempio le Regioni), circa i due terzi degli aventi diritto potrebbero essere stabilizzati. Anche parte dei Pon in mano al ministero della Ricerca potrebbe essere destinata all’assunzione del personale negli Epr”.
IL CASO DEL CNR – Quello del Cnr è un caso emblematico. “L’enfasi del titolo del testo unico sul ‘superamento del precariato’ non si riscontra nel testo”, spiega a ilfattoquotidiano.it Rosa Ruscitti, responsabile del comitato di Ente Cnr della Flc-Cgil. In proporzione ai finanziamenti arrivati per l’Iss e l’Istat, al Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche che è il più grande d’Italia, servirebbero circa 50 milioni per assumere tutti i precari. Invece il testo dà la possibilità di stabilizzare ‘in coerenza col piano triennale dei fabbisogni e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria’. “Con queste diciture – spiega la sindacalista – dipende tutto dalle possibilità finanziarie di un’amministrazione”. La situazione al Cnr? Accanto ai 7mila lavoratori a tempo indeterminato ce ne sono 1.500 con contratti a termine “a cui vanno aggiunte – spiega Ruscitti – altre 3.500 unità circa (quasi 3mila pagate con assegni di ricerca, dottorati e borse di studio e altre 500 pagate per progetti non gestiti direttamente dal Cnr, ma da fondazioni e soggetti esterni”. Dinanzi a questa situazione e rispetto ad altre norme già esistenti, che superano il limite della pianta organica aprendo la strada alle assunzioni, il testo unico non va molto oltre. “Tra le modifiche da apportare – spiega – ci sarebbero l’obbligo (invece della semplice possibilità) di stabilizzare per le amministrazioni e il fatto che il requisito di anzianità possa essere raggiunto calcolando anche il lavoro flessibile ed entro il triennio 2018-2020, invece che alla data di pubblicazione del decreto. Prevista per il prossimo 24 maggio.
Lavoro & Precari
Riforma Madia, nel Testo unico su pubblico impiego nessuna soluzione per i precari della ricerca: “I fondi non ci sono”
Fabrizio Stocchi, responsabile nazionale del comparto Ricerca Flc-Cgil: "E' previsto un piano straordinario di assunzioni, che però riguarderà solo chi ha un contratto a tempo determinato e tre anni di anzianità. Nel nostro settore molti sono invece parasubordinati e si spostano da un ente all'altro". Rosa Ruscitti, responsabile del comitato di Ente Cnr del sindacato: "Tutto dipenderà dalle possibilità finanziarie dell'amministrazione"
Si fa presto a dire “disposizioni per il superamento del precariato nelle pubbliche amministrazioni”. Così recita l’articolo 20 dello schema di decreto legislativo che modifica il Testo unico del Pubblico impiego, approvato in esame preliminare dal Consiglio dei ministri a fine febbraio. Si fa presto, se la stabilizzazione non riguarda chi lavora negli enti pubblici di ricerca. Altrimenti è tutta un’altra storia. Che parla di necessità di fondi straordinari (che non ci sono) e di un esercito di 10mila lavoratori, impiegati con contratti a tempo determinato (circa 4.200), assegni (oltre 3.300), co.co.co (2mila) e altre forme flessibili, anche da dieci, vent’anni attraverso finanziamenti intercettati un po’ qua e un po’ là. E se a parole la politica vuole investire nella ricerca, secondo i sindacati il Testo unico di attuazione alla riforma Madia potrà fare poco o nulla per migliorare la situazione. Nonostante la previsione di un piano straordinario di assunzioni per il triennio 2018-2020 pensato ad hoc per il precariato storico della pubblica amministrazione.
L’ILLEGALITÀ CHE NON SI SANA – Secondo Fabrizio Stocchi, responsabile nazionale del comparto Ricerca Flc-Cgil, il testo è inadeguato a risolvere o migliorare significativamente il problema della precarietà negli enti di ricerca. “Da un lato – spiega a ilfattoquotidiano.it – è necessario un finanziamento straordinario dopo così tanti anni di mancanza di investimenti”, dall’altro occorre riflettere sul dispositivo che “oltre ad alcune carenze di carattere generale che riguarderanno tutti i settori, non tiene conto di alcuni aspetti particolari del campo della ricerca”. Il testo è attualmente all’esame delle commissioni parlamentari di Camera e Senato e dovrà essere formalmente approvato dal Consiglio dei Ministri entro fine maggio. La speranza è che, nel frattempo, qualcosa possa cambiare. Secondo il ministro Marianna Madia la precarietà storica nel pubblico impiego è “un’illegalità di Stato”. Ebbene, secondo l’Unione sindacale di base Pubblico Impiego questa illegalità non verrà sanata dalla norma di stabilizzazione inserita nel nuovo Testo Unico “perché costretta dentro i limiti economici imposti dall’Europa e dentro i confini della procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea che comprende esclusivamente i lavoratori precari a tempo determinato, più pericolosi dal punto di vista legale”. Per questo il sindacato ha organizzato per la mattina del 30 marzo una manifestazione davanti la sede del ministero della Funzione Pubblica e, nel pomeriggio, alla sede romana del Cnr.
I LIMITI DEL TESTO – Nel comma 1 dell’articolo 20 è scritto nero su bianco che le amministrazioni “possono” assumere a tempo indeterminato i lavoratori che, alla data di entrata in vigore del decreto, abbiano maturato almeno 3 anni di servizio con contratti a tempo determinato (anche non continuativi negli ultimi 8 anni). Questi ricercatori, inoltre, devono essere in servizio con questo tipo di contratto presso l’amministrazione che li assume e che deve averli già selezionati con un concorso. “Nel 2017 – spiega Stocchi – in qualsiasi ente di ricerca è fittizia la separazione tra contratti a tempo determinato e contratti parasubordinati, che in alcuni casi addirittura sono la maggioranza (al Cnr e all’Inaf, l’istituto nazionale di ricerca metrologia per citare due esempi, nda). Si tratta di una divisione insopportabile perché parliamo di persone che svolgono lo stesso mestiere”. Inoltre non vengono prese in considerazione alcune specificità del settore: “Per un ricercatore la mobilità tra una struttura e l’altra è importante, spesso necessaria – spiega Stocchi – eppure il testo prevede la stabilizzazione solo per chi ha superato un concorso nel posto in cui sta lavorando e per chi ha maturato i tre anni in quella stessa amministrazione”.
È vero che si prevede che l’ente possa bandire, alle stesse condizioni dettate per i lavoratori a tempo determinato, e garantendo un adeguato accesso dall’esterno, procedure concorsuali con una riserva del 50% dei posti per chi è in servizio con altre forme di lavoro flessibile ma, secondo i sindacati, i benefici per questi lavoratori saranno minimi. Anche perché buona parte del personale degli enti di ricerca non ha contratti continui. “Può capitare – spiega a ilfattoquotidiano.it Claudio Argentini, responsabile di Usb Pubblico Impiego, settore ricerca – che un fondo di finanziamento venga sospeso, o si passi da uno regionale e un altro europeo. Non sempre le amministrazioni danno continuità ai contratti e questo penalizza molti ricercatori”. Secondo i calcolo dell’Usb sono circa 3mila quelli a tempo determinato in tutti gli enti di ricerca che hanno i requisiti richiesti dall’articolo 20, mentre 4mila superano i tre anni richiesti dalla norma considerando anche co.co.co. e assegni di ricerca. “Tanto per fare un esempio – aggiunge il sindacalista – con questi paletti entrerebbero appena 133 precari al Cnr (su 1.220 aventi diritto) e 6 all’Ispra”.
LA QUESTIONE DEI FONDI – L’altro nodo riguarda le risorse finanziarie. “L’azione del governo – spiega Argentini – mira a evitare le procedure di infrazione e i ricorsi da parte di lavoratori degli enti di ricerca, che chiedono i risarcimenti per la reiterazione dei contratti a tempo determinato e la mancanza di possibilità di assunzione”. Il pericolo, insomma, era avere una spesa superiore a quella necessaria per la stabilizzazione. Come assumere, allora, i precari che fino a oggi sono stati pagati con i fondi di ricerca? “Nei mesi scorsi per l’Istituto superiore di sanità e l’Istat sono stati approvati emendamenti ad hoc inseriti nel decreto Milleproroghe”. Nel caso dell’Istituto superiore di Sanità il fondo ordinario è stato alimentato con 6 milioni per il 2017 e circa 12 milioni a partire dal 2018. “Solo per l’Iss si rischiava di pagare 70 milioni per 300 ricorsi. L’istituto ha posto il problema e il ministro Beatrice Lorenzin ha fatto due conti”, spiega Argentini, secondo cui il Testo unico, al contrario, non fornisce soluzioni concrete. “Anche perché – spiega Argentini – la norma non obbliga alla stabilizzazione ma lascia tutto alla discrezionalità dell’ente, mentre i finanziamenti non sono precisati”. In pratica un ente di ricerca, in caso ci siano 100 licenziamenti, può decidere di indire 100 concorsi.
LE RICHIESTE DEI SINDACATI – Il vero limite è che il Testo unico sul pubblico impiego impone che per la stabilizzazione vengano utilizzati solo i fondi ordinari, ossia quelli previsti dalla legge di Bilancio e che arrivano dai ministeri. Ma se in Comuni, Regioni e ministeri i precari vengono direttamente pagati con i fondi ordinari, negli enti di ricerca sono almeno 1.500 quelli retribuiti attraverso finanziamenti diversi. “Se nel caso di questi specifici enti la norma prevedesse – aggiunge Argentini – l’utilizzo di tutti i finanziamenti predisposti dai ministeri vigilanti o da altre amministrazioni dello Stato (per esempio le Regioni), circa i due terzi degli aventi diritto potrebbero essere stabilizzati. Anche parte dei Pon in mano al ministero della Ricerca potrebbe essere destinata all’assunzione del personale negli Epr”.
IL CASO DEL CNR – Quello del Cnr è un caso emblematico. “L’enfasi del titolo del testo unico sul ‘superamento del precariato’ non si riscontra nel testo”, spiega a ilfattoquotidiano.it Rosa Ruscitti, responsabile del comitato di Ente Cnr della Flc-Cgil. In proporzione ai finanziamenti arrivati per l’Iss e l’Istat, al Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche che è il più grande d’Italia, servirebbero circa 50 milioni per assumere tutti i precari. Invece il testo dà la possibilità di stabilizzare ‘in coerenza col piano triennale dei fabbisogni e con l’indicazione della relativa copertura finanziaria’. “Con queste diciture – spiega la sindacalista – dipende tutto dalle possibilità finanziarie di un’amministrazione”. La situazione al Cnr? Accanto ai 7mila lavoratori a tempo indeterminato ce ne sono 1.500 con contratti a termine “a cui vanno aggiunte – spiega Ruscitti – altre 3.500 unità circa (quasi 3mila pagate con assegni di ricerca, dottorati e borse di studio e altre 500 pagate per progetti non gestiti direttamente dal Cnr, ma da fondazioni e soggetti esterni”. Dinanzi a questa situazione e rispetto ad altre norme già esistenti, che superano il limite della pianta organica aprendo la strada alle assunzioni, il testo unico non va molto oltre. “Tra le modifiche da apportare – spiega – ci sarebbero l’obbligo (invece della semplice possibilità) di stabilizzare per le amministrazioni e il fatto che il requisito di anzianità possa essere raggiunto calcolando anche il lavoro flessibile ed entro il triennio 2018-2020, invece che alla data di pubblicazione del decreto. Prevista per il prossimo 24 maggio.
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Roma, 14 mar. (Adnkronos) - Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc, ha presentato stamane alla Camera la proposta di riforma della legge 54/2006 sull’affidamento condiviso dei minori. L’iniziativa, promossa, con il contributo della senatrice Paola Binetti, mira a correggere le criticità della normativa vigente che, in molti casi, ha esposto i bambini al rischio di rimanere in contatto con genitori maltrattanti. “Nel 2023 le Forze di Polizia -spiega una nota- hanno ricevuto oltre 13.700 richieste di intervento per violenza domestica e negli ultimi cinque anni 427.000 minori sono stati esposti a maltrattamenti. In circa il 42% dei casi le violenze si sono consumate alla presenza dei bambini, con conseguenze devastanti sul loro sviluppo psicologico ed emotivo”.
“La proposta di legge punta a introdurre criteri più stringenti per l’affidamento, prevedendo l'affido esclusivo al genitore non violento nei casi di maltrattamento, il divieto dell’utilizzo della Sindrome di alienazione parentale (Pas) nei tribunali e procedure d’urgenza per la tutela dei minori”.
“La sicurezza dei bambini deve venire prima di qualsiasi principio astratto di bigenitorialità evitando che vengano affidati a genitori violenti” ha affermato Cesa, sottolineando l’importanza di una riforma che garantisca ai minori un futuro protetto. “Da sempre impegnati nella difesa della dignità della famiglia sottolineiamo l'urgenza di proteggere i figli da ogni situazioni di abuso” ha aggiunto Binetti, sostenendo che la famiglia deve restare un luogo di amore e crescita e non di paura e coercizione.
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - L'emicrania, che non è un semplice mal di testa, è la prima causa di invalidità tra le giovani donne e fonte di enormi costi per il Servizio sanitario nazionale. Oggi le nuove terapie, come gli anticorpi monoclonali, hanno liberato le persone che ne soffrono dagli attacchi frequenti. Importante compiere l'ultimo miglio per il riconoscimento della patologia da una malattia sociale a cronica. Di tutto questo si è discusso oggi alla Casa del Cinema di Roma all'evento 'EMpatia, EMpowerment, EMicrania - Vivere la vita', promosso da Organon Italia. L'incontro, che ha visto la partecipazione di numerose istituzioni, società scientifiche e associazioni di pazienti nazionali e internazionali, è stato anche l'occasione per annunciare l'entrata di Organon, a livello global, nel network 'Migraine Friendly Workplace', promosso dall'associazione European Migraine Headache Alliance (Emha). Si tratta di una community di aziende impegnate per assicurare l'abbattimento degli stigmi e garantire l'inclusione delle persone con emicrania nella propria organizzazione.
L'emicrania è disabilitante e si caratterizza da dolore intenso e pulsante alla testa che può durare ore o giorni e che spesso si accompagna a nausea, vomito, aumento della sensibilità a luce, suoni, rumori e odori, affaticamento, ricorda una nota. Seconda malattia più disabilitante del genere umano, colpisce circa il 12% della popolazione mondiale e colpisce 3 volte di più le donne rispetto agli uomini. In Italia, si stima che circa 6 milioni di persone ne soffrano: 4 milioni sono donne. L'emicrania cronica può influire negativamente sulla vita relazionale, sentimentale su carriera, istruzione, sicurezza finanziaria, salute mentale. In un sondaggio, il 25% delle donne che ne soffrono ha riferito che i sintomi depressivi ed ansiosi erano correlati agli attacchi di emicrania e disturbi del sonno.
"E' fondamentale - afferma Cristina Tassorelli, direttore Headache Science Centre Irccs Mondino, Past President International Headache Society (Ihs), professore ordinario e direttore Scuola di specializzazione di Neurologia dell'Università degli Studi di Pavia - creare una cultura dell'emicrania, una consapevolezza sociale della gravità di questa patologia, che possa eliminare eventuali stigmi e che possa portare alla luce il vissuto delle persone. E' altrettanto importante che i pazienti siano a conoscenza di tutti i possibili percorsi di cura. Occorre assicurare al paziente, in relazione alla forma e alla severità della malattia, all'età, al genere, alle condizioni e ai fattori che hanno un impatto sulla sintomatologia, un sistema di cure in linea con gli standard europei, le linee guida e con il progresso delle conoscenze medico-scientifiche".
La sovrapposizione con il mal di testa è fuorviante ed è spesso causa di mancata o ritardata diagnosi. Uno studio europeo condotto in 10 Paesi ha evidenziato che il 40% dei pazienti ha dovuto aspettare più di 5 anni per una prescrizione dopo la diagnosi. "L'emicrania è una delle patologie neurologiche più studiate e sulle quali è disponibile un gran numero di opzioni terapeutiche - spiega Piero Barbanti, direttore Unità per la cura e la ricerca su Cefalee e dolore dell'Irccs San Raffaele di Roma, professore associato di Neurologia all'Università San Raffaele di Roma e presidente Aic, Associazione italiana per la lotta contro le cefalee - L'armamentario terapeutico prevede farmaci per la terapia acuta con antinfiammatori, triptani e gepanti, volta ad alleviare i sintomi durante un attacco emicranico. Abbiamo poi la terapia di profilassi, mirata a prevenire o ridurre la severità degli attacchi che include anticonvulsivanti, betabloccanti, calcioantagonisti, antidepressivi e tossina botulinica, oltre ai recenti farmaci innovativi. Tra questi, gli anticorpi monoclonali anti-Cgrp sono nuovi farmaci specifici e selettivi, che hanno dato ottimi risultati nel ridurre significativamente i sintomi e gli attacchi emicranici già dalle prime somministrazioni, con eccellente tollerabilità. Tali farmaci consentono ai pazienti di ritornare a vivere ogni momento della vita in maniera piena e presente. Ciononostante, non sono ancora utilizzati a sufficienza e come prima scelta terapeutica, diversamente da quanto raccomandato dalle linee guida europee".
In Italia l'impatto economico della malattia è stimato intorno ai 20 miliardi di euro all'anno, dovuto a costi diretti (farmaci, visite mediche, test diagnostici, ricoveri ospedalieri) e costi indiretti (perdita di giornate lavorative, ridotta efficienza produttiva, tempo richiesto per la gestione della malattia e sottratto ad attività extra-lavorative). Questi ultimi rappresentano il 90% del costo complessivo.
"Organon è impegnata tutti i giorni a favorire la salute delle donne concentrandosi su quelle patologie che colpiscono in modo disproporzionale l'universo femminile - sottolinea Flavia Binetti, Organon Italia - L'emicrania rappresenta oggi una delle nostre priorità strategiche. Desideriamo offrire non solo la nostra proposta di valore nella cura e nella prevenzione di questa patologia, ma anche presentarci come partner di riferimento per supportare medici e pazienti nella costruzione di una alleanza terapeutica fondata sull'educazione e il dialogo. A dimostrazione del nostro impegno quotidiano nell'emicrania, siamo orgogliosi di essere entrati a far parte, a livello globale, del network 'Migraine friendly workplace' promosso da Emha. La partecipazione di Organon a questa iniziativa è parte integrante della nostra cultura che mira a creare un ambiente di lavoro in cui i dipendenti si sentano supportati, compresi e incoraggiati a gestire efficacemente la propria salute. Siamo fieri di questo riconoscimento e motivati nel proseguire in questo percorso di benessere e di crescita dalla nostra cultura aziendale fondata sull’inclusione e le pari opportunità".
Spesso si tende a banalizzare la problematica e a dare una lettura distorta delle effettive gravi limitazioni fisiche e cognitive che accompagnano la crisi emicranica. "I pazienti vivono una pesante stigmatizzazione per la mancata comprensione da parte del mondo esterno degli effetti disabilitanti dell'emicrania, in particolare da parte di colleghi e datori di lavoro - rimarca Elena Ruiz de la Torre, Executive Director Emha - Riconoscere l'esistenza di aziende che dimostrano responsabilità e sensibilità nei confronti dei propri dipendenti con emicrania e che mettono in campo iniziative per abbattere lo stigma e favorire l'inclusione è certamente un grande passo in avanti. Per questo siamo molto felici di annoverare Organon nella community 'migraine friendly' di aziende promossa dalla nostra associazione".
Appare fondamentale - concordano gli esperti - affrontare l'emicrania con un approccio olistico che includa la cura e la prevenzione attraverso l'utilizzo tempestivo delle nuove terapie come gli anticorpi monoclonali e preveda un lavoro congiunto di tutti i professionisti che ruotano intorno alla patologia con una presa in carico multidisciplinare del paziente. L'auspicio è che l'emicrania sia oggetto di attenzione da parte delle Istituzioni ad ogni livello, per garantirne il riconoscimento di malattia cronica all'interno del Piano nazionale sulla cronicità, alla stregua del diabete e dell'insufficienza renale cronica che portano con sé minori costi rispetto all'emicrania.
Roma, 14 mar. (Adnkronos) - "Previste oltre 10.000 persone, con molte adesioni dal mondo dei liberi sindacati, della piccola media impresa, della cultura, e con la spontanea partecipazione di decine di comitati di cittadini. Nonostante il black out dell'informazione che accende i riflettori solo sulla manifestazione guerrafondaia voluta da 'Repubblica' e Michele Serra, noi saremo l'unica piazza della pace e della sovranità del popolo italiano contro un'Europa del riarmo che dimentica ogni questione sociale e vuole spendere in armamenti i soldi destinati a sanità, stato sociale, politiche per il lavoro e attività produttive. L'Italia apartitica, quella della bandiera italiana citata nella Costituzione che ripudia i conflitti bellici come risoluzione delle controversie sarà a la Bocca della Verità, sabato 15 alle ore 15:30, contro l'Europa di Von der Leyen che vorrebbe mandarci a morire per l'Ue". Ad affermarlo, Marco Rizzo e Francesco Toscano, che hanno indetto la manifestazione apartitica sotto il tricolore per la pace e la sovranità.
Roma, 12 mar. (Adnkronos Salute) - "Mirikizumab ed è un anticorpo monoclonale che blocca in maniera selettiva l’interleuchina 23 (Il-23), uno dei fattori principalmente coinvolti nell'indurre e mantenere l'infiammazione cronica dell'intestino" che è "responsabile di una serie di sintomi invalidanti come la diarrea, il dolore addominale, ma anche di sequele a lungo termine come stenosi e fistole che spesso richiedono l'intervento chirurgico. Già approvato in una malattia simile, la colite ulcerosa, oggi trova approvazione" in Europa "anche per la malattia di Crohn". Così all’Adnkronos Salute Massimo Claudio Fantini, segretario generale di Ig-Ibd (Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease) e professore ordinario di Gastroenterologia, università degli Studi di Cagliari, direttore della Sc di Gastroenterologia, Aou di Cagliari, commenta il via libera in Europa della terapia con cui "potremo finalmente trattare" anche i pazienti con malattia di Crohn.
L'approvazione di mirikizumab "si basa sui risultati ottenuti da un complesso programma di sviluppo" con gli studi "Vivid 1 e 2. Il primo ha esplorato l'efficacia di questo farmaco nella malattia di Crohn nel breve e nel lungo termine, inteso come un anno - illustra Fantini - Vivid 2 è un programma di estensione dello studio in cui i pazienti sono stati trattati oltre 2 anni. I risultati principali di questo programma di studio hanno dimostrato una ottima efficacia del farmaco. Lo studio è stato disegnato proprio per mimare quella che è la normale pratica clinica, la normale gestione di questi pazienti in ambulatorio. In particolare ha dimostrato come quasi il 50% dei pazienti che ottengono una risposta clinica a 12 settimane, raggiungono una remissione completa dei sintomi a un anno". In particolare "abbiamo notato" che si tratta di una "remissione senza bisogno di corticosteroidi, una delle terapie che cerchiamo di evitare proprio a causa degli importanti effetti collaterali che possono dare".
Oltre all’efficacia clinica si è ottenuta una "remissione endoscopica, cioè la guarigione delle ulcere a livello intestinale - precisa lo specialista - Sono stati presi anche in considerazione nuovi” sintomi “clinici, come l'urgenza evacuativa, estremamente invalidante”, che si riduce “già nelle prime settimane di trattamento, con il miglioramento della qualità di vita del paziente". I dati dal Vivid 2, "quindi sul trattamento oltre l'anno - aggiunge Fantini - hanno dimostrato che circa l’80-90% dei pazienti che inizialmente avevano iniziato la terapia, rimane in remissione". Questo significa che "se nel paziente questa terapia funziona, funziona per un lungo periodo di tempo, e che quindi c'è la possibilità di trattare per molto tempo questi pazienti con ottimi risultati". Tutti i pazienti affetti da queste malattie infiammatorie dell’intestino "sanno benissimo come purtroppo non ci sia una cura definitiva - conclude - La possibilità di avere a disposizione nuovi farmaci, con nuovi meccanismi di azione, rappresenta una possibilità in più per i nostri pazienti di avere la prospettiva di rimanere in remissione, con lo stesso farmaco, più a lungo".
Roma, 12 mar. (Adnkronos Salute) - Il nuovo farmaco "permette ai medici e ai pazienti di avere una nuova arma con la quale è possibile bloccare la malattia di Crohn”. I due studi che hanno portato all'approvazione di mirikizumab, il Vivid 1 e Vivid 2 “dimostrano prima di tutto che questo farmaco è efficace, che è superiore rispetto al placebo nell'induzione e poi nel mantenimento della remissione clinica e della risposta endoscopica a lungo termine, migliorando la qualità della vita dei pazienti". Lo spiega all’Adnkronos Salute Silvio Danese, direttore dell’Unità di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’Irccs Ospedale San Raffaele e professore ordinario di Gastroenterologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele commentando l’approvazione, da parte della Commissione europea, di mirikizumab, un anticorpo monoclonale che blocca selettivamente l'interleuchina 23, per il trattamento della malattia di Crohn. Questa è un patologia "infiammatoria cronica dell’intestino che colpisce tutto il tratto gastrointestinale - chiarisce - ed è fondamentale riconoscerla presto per poter iniziare i trattamenti più efficaci: prima si interviene", infatti "prima si previene la progressione di malattia".
Bisogna ricordare che "negli studi clinici registrativi il mirikizumab - sottolinea Danese - è stato utilizzato non soltanto nei pazienti naïve", quindi mai trattati, "ma anche nei pazienti che hanno fallito più linee di trattamento. Questo è un aspetto molto importante, visto che oggi abbiamo pazienti che definiamo difficili da trattare, che hanno fallito tutte le terapie". In questi casi, "farmaci come questo sono sicuramente benvenuti".
Roma, 12 mar. (Adnkronos Salute) - "Questa nuova terapia, visto l’ottimo rapporto efficacia - sicurezza, sarà un presidio in più per poter” iniziare il trattamento “con un farmaco che sappiamo a priori essere efficace e relativamente sicuro, e garantire ai pazienti, che hanno fallito altre terapie, un benessere prolungato", visti "i risultati che il farmaco ha generato e per i quali è stato approvato". Così Alessandro Armuzzi, responsabile Uo Ibd, Istituto clinico Humanitas, Rozzano e professore ordinario di Gastroenterologia, Humanitas University, all’Adnkronos Salute commenta la recente approvazione, da parte della Commissione europea, di "mirikizumab, un inibitore della subunità P19 dell'interleuchina 23, per il trattamento dei pazienti adulti con malattia di Crohn moderatamente grave, che avremo a disposizione a breve in Italia. Questa approvazione - continua il professore - è legata ai risultati del programma di studio di fase 3, il Vivid 1 e, successivamente, il Vivid 2" in cui si è dimostrato come "mirikizumab rispetto al placebo, sia in grado di dare percentuali significativamente molto più elevate, sia di remissione clinica che di remissione endoscopica, per tutto il corso dello studio e anche" nella sua estensione "fino ai 2 anni".
La malattia di Crohn "è un'infiammazione cronica dell'intestino" che interessa, "a tutto spessore, la parete intestinale - spiega Armuzzi - La patologia colpisce circa 100 mila italiani". Può interessare "qualsiasi tratto dell'intestino ma più frequentemente l'ileo terminale e il colon destro. Fa parte del gruppo delle malattie infiammatorie croniche intestinali - malattia di Crohn e colite ulcerosa - di cui ne sono affette più o meno 250 mila persone in Italia. Le cause della malattia di Crohn sono ancora parzialmente conosciute. È una malattia a patogenesi multifattoriale in cui, individui predisposti geneticamente, in senso lato, a un certo punto della loro vita - in genere giovani e giovani adulti - per fattori ambientali che ancora non sono stati ben chiariti, ma che comunque agiscono modificando la flora batterica intestinale", vanno incontro a "una risposta infiammatoria cronica recidivante che determina poi, via via, il danno intestinale e la progressiva perdita di funzione dell'intestino - conclude - se non si interviene precocemente".
Roma, 14 mar. (Adnkronos Salute) - Nelle pazienti con tumore del seno in stadio precoce, il test genomico Oncotype DX Breast Recurrence Score® eseguito prima dell'intervento chirurgico, cioè sulla biopsia diagnostica (core biopsy), permette di abbreviare i tempi di avvio della terapia adiuvante, con vantaggi importanti in termini di riduzione del disagio psicologico delle pazienti. Lo dimostrano i dati presentati alla 19esima St. Gallen International Breast Cancer Conference, in corso a Vienna (Austria), relativi a uno studio del Regno Unito che ha analizzato i vantaggi dell'anticipazione del test al setting pre-chirurgico, utilizzando Oncotype DX su campioni di core biopsy.
Lo studio controllato, multicentrico, prospettico randomizzato (PreDX) - riporta una nota - ha incluso 341 pazienti eleggibili per il test Oncotype DX provenienti da 17 centri Uk. I risultati hanno mostrato che l'utilizzo della core biopsy ha portato a una riduzione di 8 giorni del tempo dall'intervento chirurgico all'inizio del trattamento adiuvante. Oltre a questo risultato clinicamente significativo, effettuare il test prima dell'intervento chirurgico ha migliorato l'esperienza della paziente, con una riduzione dei punteggi di ansia e depressione.
"Il test genomico è in grado di identificare le pazienti con malattia in stadio iniziale per le quali, dopo l'intervento chirurgico, la chemioterapia è effettivamente utile e i casi in cui è sufficiente la terapia ormonale - spiega Giancarlo Pruneri, direttore del Dipartimento di Diagnostica avanzata della Fondazione Irccs Istituto nazionale tumori di Milano - Il percorso diagnostico tradizionale di una paziente con tumore della mammella è costituito da 2 momenti. Il primo è la biopsia diagnostica, che permette la classificazione della malattia e la caratterizzazione dei recettori ormonali e dello stato della proteina Her2. Il secondo è la chirurgia, che porta alla conferma della classificazione istologica eseguita sulla biopsia e fornisce informazioni relative allo stadio della malattia. Il test genomico, finora, è stato effettuato sul campione chirurgico, pertanto dopo l'intervento. Nello studio presentato a St. Gallen il test è stato anticipato sulla biopsia, quindi nel primo momento del percorso diagnostico. In questo modo è stata dimostrata una riduzione importante del 'turnaround time', cioè del tempo complessivo per l'utilizzo dei risultati di Oncotype DX. Anticipare il test migliora la performance del sistema sanitario, perché è possibile avviare la terapia adiuvante in tempi più brevi e viene ridotto il disagio psicologico della paziente, determinato anche dai tempi di attesa dei risultati dell'analisi genomica".
Anche nel nostro Paese "abbiamo promosso un'esperienza simile a quella dello studio inglese, proprio sulla biopsia nei laboratori di anatomia patologica, che sarà presto pubblicata su una rivista scientifica internazionale - sottolinea Pruneri - In Italia, a oggi, il test genomico è rimborsato solo sui campioni operatori. In Lombardia sono in corso interlocuzioni per introdurre modifiche normative, con l'obiettivo di lasciare alle Breast Unit la libertà di decidere se anticipare il test, a condizione che venga eseguito una sola volta nella paziente. I risultati dello studio presentato a St. Gallen e del lavoro italiano in pubblicazione hanno un impatto tale da consentire di anticipare l'analisi genomica anche nella pratica clinica".
Aggiunge Henry Cain, investigatore principale e Consultant Surgeon al Royal Victoria Infirmary, Newcastle upon Tyne, Uk: "I risultati mostrano che eseguire il test su core biopsy con Oncotype DX è affidabile ed evidenzia i potenziali vantaggi di questo approccio per i pazienti e per le procedure relative al tumore del seno. Soprattutto, il tempo per l'inizio della terapia adiuvante potrebbe essere ulteriormente ottimizzato riducendo gli appuntamenti clinici e impattando positivamente sull'esperienza globale del paziente". Il tasso di successo sulla core biopsy è risultato del 99,1%, confermando gli studi precedenti che mostravano come i campioni di core biopsy producono risultati di Recurrence Score altamente concordanti con quelli della chirurgia e la distribuzione del risultato di Recurrence Score rimane coerente tra i campioni di core biopsy e i campioni chirurgici analizzati per età del paziente (<50 anni versus ≥50) e coinvolgimento linfonodale. "Da paziente con tumore del seno, conoscere il risultato del test prima della chirurgia mi avrebbe dato tranquillità e fiducia - conclude Jennifer D. del Newcastle upon Tyne, Uk - Credo che effettuare il test precocemente possa avere un impatto significativo sulla vita dei pazienti, aiutando il processo decisionale e influenzando positivamente non solo i familiari più stretti, ma anche i parenti e gli amici che li amano e si prendono cura di loro".
Separatamente, un'analisi economica svedese presentata al congresso ha mostrato che ritardare l'adozione del test Oncotype DX nella pratica clinica porta a minori risparmi finanziari e influenza negativamente i risultati dei pazienti. Attraverso l'utilizzo di un modello decisionale analitico per paragonare il test Oncotype DX con altri test genomici disponibili e con l'approccio tradizionale (non-genomico), l'analisi ha dimostrato che il test Oncotype DX porta a migliori risultati per i pazienti a costi ridotti. I risultati si aggiungono a un crescente numero di prove e supportano l'integrazione del test nella pratica clinica. Questo test aiuta a prendere decisioni terapeutiche più informate, migliorando la qualità delle cure con la personalizzazione del trattamento chemioterapico, per soddisfare le necessità individuali dei pazienti, e procedendo verso un sistema sanitario più efficiente e centrato sul paziente.