La crisi dell'Unione è "colpa sia di Bruxelles e delle sue politiche economiche - spiega l'ex premier - sia dei singoli Stati, che hanno avuto flessibilità ma l'hanno usata male". Nel frattempo il continente ha registrato l'ascesa dei sovranismi: "Se Marine Le Pen andasse al governo e la Francia uscisse dall’Ue, si ritroverebbe con una moneta debole. Stessa cosa per l’Italia. E la Germania rafforzerebbe il proprio dominio"
Senatore Mario Monti, si festeggiano i 60 anni dai Trattati di Roma. Lei è stato presidente del Consiglio e membro della Commissione Ue tra il 1995 e il 2004, ha visto l’Euro nascere. Oggi l’Ue è in crisi. Perché?
“È indubbio che l’Unione affronti un periodo di crisi. Se consideriamo questi 60 anni, si tratta di un fenomeno recente e, a mio parere, le ragioni vanno ricercate sia nelle politiche di Bruxelles, che, soprattutto, in quelle dei singoli Stati“.
Iniziamo con le prime.
“In questi 60 anni abbiamo ottenuto dei progressi notevolissimi per i cittadini, ma dobbiamo riconoscere che, dopo la crisi del 2008, le risposte in termini di politiche, soprattutto economiche, non è stata all’altezza. Non si può, ad esempio, andare avanti nell’integrazione dei mercati senza curare in parallelo la possibilità degli Stati membri di venire in supporto dei Paesi più in difficoltà. I mercati si sono integrati, ma è prevalsa la linea della concorrenza fiscale fra Stati”.
E allora perché le maggiori responsabilità sono di questi ultimi?
“Sì, perché sono queste la principale causa del ritorno dei vari nazionalismi. Lo sguardo della politica è sempre più a breve o brevissimo termine. Tra i partiti politici si è affermata la tendenza a semplificare le soluzioni in nome di una ricerca di consensi al prossimo sondaggio o alle prossime elezioni”.
Quanto ha pesato la pervicacia con cui Bruxelles è rimasta ancorata al dogma dell’austerity?
“C’è un gravissimo problema di divaricazione delle culture politiche europee tra Paesi del nord e del sud Europa. Ma non si tratta solo di flessibilità. L’Italia, ad esempio, ha avuto la flessibilità che ha voluto, ma l’abbiamo usata male. Per questo dico che i criteri sulle concessioni andrebbero ristretti. In generale non c’è stata poca flessibilità, è la disciplina di bilancio che spesso non è stata rispettata. La spesa pubblica viene trattata allo stesso modo se crea disavanzo, se utilizzata per beni di consumo o per investimenti. Ecco, io ho proposto di cambiare le regole del patto di stabilità, dando più spazio agli investimenti”.
Sulla Grecia, però, Bruxelles si è accanita.
“La Grecia veniva già da una situazione disastrosa che l’Ue da sola non poteva risolvere. Per loro, poi, la Troika è stata devastante. Nonostante questo, però, i greci ancora oggi vogliono rimanere nell’Euro perché sanno che una loro uscita sarebbe un disastro“.
L’hanno accusata di aver eseguito le volontà della Troika in Italia.
“Mi viene da ridere quando qualcuno mi accusa di essere stato succube della Troika. La verità è che siamo stati l’unico tra i Paesi in difficoltà a non averla“.
La semplificazione e lo sguardo a breve termine di cui parlava prima hanno contagiato anche i partiti tradizionali.
“Esatto, non siamo più in presenza di un populismo che viene esclusivamente dal basso. Oggi abbiamo a che fare anche con un populismo che viene dall’alto. L’ultimo esempio ce lo ha fornito David Cameron con la Brexit. La verità è che prima, quando i rappresentanti dei vari Paesi andavano a Bruxelles, ognuno cercava di portare il suo mattoncino per contribuire ala costruzione e alla crescita dell’Unione Europea. Oggi, gli stessi rappresentanti vanno e tolgono quei mattoncini in nome del consenso interno. Mi domando se le politiche nazionali siano oggi in contrasto con le esigenze europee“.
Prima dell’ascesa de nuovi nazionalismi si parlava di integrazione e non di respingimenti; di interessi comunitari e non nazionali. Oggi si costruiscono muri. Cosa è cambiato?
“Dei passi in avanti su questi temi sono stati fatti, ma evidentemente non sono sufficienti. C’è da dire una cosa: questa Europa è circondata dai Vladimir Putin, dagli Erdoğan e, adesso, anche dai Trump. Siamo quindi sottoposti a sfide maggiori rispetto al passato, ma questa situazione accresce l’importanza dei valori dell’Europa da diffondere nel mondo. Siamo arrivati al punto che, come abbiamo visto al Forum Economico Mondiale di Davos, il garante della globalizzazione è il presidente cinese Xi Jinping“.
Crede che l’ascesa dei neonazionalismi abbia portato a un punto di non ritorno? Il sogno europeo è finito?
“Non so dirle se questo sia un punto di non ritorno. Credo che questi nazionalismi possano ancora essere battuti. Per il momento questi partiti vanno d’accordo tra loro, abbiamo visto le bandiere sventolare e le strette di mano al meeting di Coblenza, ma questo perché hanno un nemico comune, ossia Bruxelles. Ma quando il nemico sarà caduto perché non dovrebbero tornare a farsi la guerra come nei secoli passati? François Mitterrand diceva che “il nazionalismo è la guerra”. L’idea di recuperare una sovranità uscendo dall’Unione, poi, è un’illusione. Se Marine Le Pen andasse al governo e uscisse dall’Ue si ritroverebbe, dopo i primi mesi di euforia, con una moneta debole nel panorama europeo. Stessa cosa per l’Italia. La fine dell’Ue non farebbe sparire la Germania, anzi: Berlino, non più inserita all’interno di regole europee, aumenterebbe il proprio dominio nell’area”.
Siamo ormai alle porte della Brexit. Che impatto economico e politico avrà sul futuro dell’Unione?
“Avrà un impatto negativo sia sul Regno Unitoche sull’Unione. In Gran Bretagna, poi, potrebbe portare anche a una disgregazione, se la Scozia dovesse riuscire a ottenere l’indipendenza. Ci perdiamo tutti, ma questo non vuol dire che l’Ue, durante i negoziati, debba svendersi per trattenere Londra”.
Si fa strada l’idea di un’Europa a due o più velocità. E’ la soluzione per salvare il processo di integrazione europea?
“Non è un problema di velocità, devono essere risolti innanzitutto i divari di cultura politica tra i Paesi. Una volta che ci si trova d’accordo o ci si intende almeno meglio sui propositi dell’integrazione, le due velocità non saranno un dramma. In realtà esistono già, basta pensare all’area Euro o a Schengen. Meglio due o più velocità, ma con la riduzione di questi divari, che un solo livello formale che presenta spaccature e una frammentazione interna”.
E l’Italia? Dove collocherebbe l’Italia?
“Per una questione di credibilità e prestigio l’Italia non può permettersi di non stare nel gruppo principale. Siamo pur sempre uno dei Paesi fondatori“.
Siamo alla vigilia di un anniversario importante. Qual è il suo personale augurio per l’Europa?
“Mi auguro che l’Europa, grazie anche a queste riflessioni da anniversario, contribuisca a rendere i politici più responsabili e meno opportunisti. L’opportunismo, alla lunga, distruggerebbe l’Europa e creerebbe preoccupazioni per la pace e la stabilità di tutti gli Stati membri”.