Questa Europa è alla frutta, anzi alla frutta marcia. L’inutile sceneggiata attuata nella Capitale nel sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma, con grande dispendio di forze dell’ordine, non nasconde affatto lo stato di crisi oramai incancrenita che stanno vivendo le istituzioni europee e le politiche comuni. Questo è il risultato di un’impostazione sbagliata, adottata proprio sessant’anni fa a Roma e progressivamente peggiorata.

In primo luogo per il respiro preminentemente economicista e mercatocentrico dell’impresa. Tale difetto di costruzione, già presente nell’illusione di basare lo sviluppo dell’Europa comune su di un mercato in cui potessero circolare liberamente i fattori della produzione senza prendere in considerazione molti altri aspetti, è ulteriormente degenerato con i colpi di acceleratore al mercato comune fino all’adozione dell’euro in mancanza, che continua e si aggrava, di politiche comuni in settori fondamentali come quello fiscale e sociale. Anche l’ampliamento della base territoriale, portata gradualmente dagli originari sei agli attuali 28, ha aggravato gli squilibri esistenti, esaltando sempre di più il ruolo dominante della Germania avvantaggiata dalla valuta comune. Il governo di Berlino, con i suoi alleati del Nord Europa ha imposto politiche neoliberiste che oggi non hanno eguali. L’Europa è in prima fila nello smantellamento dello Stato sociale e nell’attacco ai diritti dei lavoratori, costretti alla precarietà.

Fin dal suo sorgere, peraltro, l’Europa aveva messo al centro della sua azione non già il principio di solidarietà, che dovrebbe caratterizzare ogni consesso umano, specie in presenza di differenze storiche e culturali notevoli come quelle tuttora esistenti al suo interno, ma bensì quello di competizione, riaffermato ad ogni piè sospinto dai Trattati e dalla normativa derivata. Che l’Europa abbia ben poco se non nulla a che fare con la solidarietà si vede del resto dal suo atteggiamento nei confronti dei migranti e richiedenti asilo, che muoiono come mosche nel Mediterraneo per colpa delle politiche di chiusura e respingimento che essa porta avanti, rifiutandosi di fare fronte alle sue responsabilità storiche.

Un altro enorme handicap dell’Europa è stata poi la sua perdurante sudditanza atlantica nei confronti degli Stati Uniti che continua anche oggi nonostante l’evidente declino della potenza imperiale. Le guerre d’aggressione in Afghanistan, Iraq, Libia, ecc. sono avvenute con la diretta partecipazione di Stati europei o comunque con la loro sostanziale complicità. Sono quindi notevoli le responsabilità europee nell’attuale stato di disordine mondiale e nella nascita e crescita del terrorismo che ha tratto origine proprio da queste guerre d’aggressione.

Basta del resto considerare i personaggi che sono oggi alla testa dell’Europa per rendersi conto della sua infima qualità. Parliamo di gente come Dijsselbloom, Juncker, Merkel, ecc. Perfino il buon Draghi, un neoliberista convinto e intransigente, che tuttavia aveva tentato la strada per certi, limitatissimi versi utile del quantitative easing, viene oggi isolato e le sue politiche stoppate da estremisti talebani della finanza come Schaeuble e la sua congrega. Non c’è quindi alcun futuro per questa Europa. Salvini, Le Pen, Farage, ecc., espressione delle muffe tossiche che si sviluppano dalla putrefazione dell’Europa, sono l’altra faccia dei personaggi appena menzionati e se ne distinguono solo per la volontà di tornare agli Stati nazionali che di per sé non risolverebbe certo i problemi, anzi rischierebbe di aggravarli.

La soluzione è nel rilancio del conflitto di classe e dei diritti dei lavoratori (segnalo l’importante convegno che i giuristi democratici organizzano a Firenze a metà maggio), nell’apertura di un dialogo euromediterraneo che capovolga le tradizionali logiche di sfruttamento coloniale attribuendo il giusto peso alle migrazioni come fattori di sviluppo e di integrazione economica e culturale (segnalo la riunione costitutiva della rete mediterranea dei giuristi democratici in programma per settembre a Napoli), la promozione del ruolo delle città, ribelli e partecipative, come polo alternativo al disfacimento europeo oggi generato dal concorso fra neoliberismo e populismo di destra, applicando anche in Europa il federalismo democratico ideato e attuato dai Kurdi nelle loro regioni. A partire dal basso va promossa la disobbedienza alle politiche neoliberiste che l’Europa vuole imporre, fino a coinvolgere in tale disobbedienza gli stessi governi nazionali, ma con scelte effettive e concrete, non la retorica dei Renzi o dei Salvini.

Questa Europa è un cadavere che cammina. Per salvare la giusta idea di una cooperazione e una solidarietà a livello continentale ci vuole una netta discontinuità e un nuovo inizio a partire dai contenuti appena indicati. La manifestazione di Eurostop, svoltasi ieri in modo pacifico nonostante il terrorismo di certi media, sembra una buona partenza. Come pure spunti interessanti sono presenti nel movimento Diem promosso da Varoufakis.

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