Mentre – con l’ennesimo rinvio del processo al 3 maggio – la detenzione del noto difensore dei diritti umani Nabil Rajab si avvia a raggiungere i 300 giorni, un’altra persona di primo piano finisce sotto processo in Bahrein a causa dei suoi tweet.

Pochi giorni fa Ebrahim Sharif, ex segretario generale della Società nazionale per l’azione democratica – un partito di opposizione non religioso – è stato convocato per interrogatori dall’unità speciale della procura competente per i reati di terrorismo. Al termine, gli è stata notificata l’incriminazione per “incitamento all’odio e al disprezzo verso il governo” per alcuni contenuti che aveva postato sul suo profilo Twitter.

Uno di questi è un manifesto di Amnesty International con i volti di 20 persone arrestate a partire dalla rivolta del 2011.

Gli altri tweet incriminati riguardano la mancanza di democrazia in Bahrein e la vicenda, mai chiarita, di un uomo morto cadendo da una finestra dopo una colluttazione con agenti di polizia.

Sharif ha già trascorso oltre quattro anni in prigione per aver preso parte alla rivolta del 2011. Graziato nel giugno 2015, è stato arrestato un mese dopo per aver preso la parola, chiedendo riforme democratiche, durante una manifestazione del tutto pacifica: ha così passato un altro anno in carcere per “incitamento all’odio e al disprezzo verso il governo”.

La penultima incriminazione risale al 13 novembre 2016, sempre per lo stesso reato, a seguito di un’intervista rilasciata all’Associated press sulla visita in Bahrein del principe Carlo, in rappresentanza del fedelissimo alleato britannico. Dopo 10 giorni, l’accusa è stata ritirata. Ora ci risiamo.

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