Corruzione e sprechi, non solo politici e imprenditori: ecco le storie di ordinaria illegalità che minano i conti dello Stato
Poliziotti che estorcono buoni benzina per cancellare le multe. Insegnanti che fanno anche 90 ore di “pausa caffè”. Medici con lo studio abusivo, tutor che comprano tablet coi fondi europei e imprenditori agricoli sussidiati senza neanche un campo da coltivare. Il Fatto.it ha scandagliato le banche dati. Ecco la top ten delle sentenze per responsabilità emesse dalle sezioni contabili nell'ultimo mese. Solo in spese di giustizia costano oltre 100 milioni l'anno, ma lo Stato ne recupera soltanto il 13%
Fa notizia il pesce grosso, ma pure i piranha mordono e fanno male. Sono i poliziotti della Stradale che estorcono buoni benzina per cancellare le multe. Sono gli insegnanti di Nuoro che accumulano anche 90 ore di “pausa caffè”. Medici con lo studio abusivo, tutor che comprano centinaia di tablet coi fondi europei per sparire nel nulla. E’ il mondo dei piccoli furbi che svolgendo un qualche dovere d’ufficio lo infrangono per quattro soldi che, tutti messi tutti insieme, aumentano il livello generale della corruzione, l’inefficienza della macchina pubblica, i costi dello spreco. Con in più la beffa – come vedremo – di un conto non pagato che si scarica proprio sulla giustizia in modo circolare, perché lo Stato non rientra delle spese (cento milioni l’anno) che sostiene per perseguirli e neppure degli interessi sulle somme che dovrebbe incassare a seguito delle condanne che emette. È l’insostenibile peso dell’ordinaria illegalità.
“Minuzzaglie”, le chiamava Giovanni Falcone, che però era Falcone. Più recentemente anche il Pm Nino Di Matteo, n.1 del processo sulla “trattativa”, ha motivato la sua richiesta di trasferimento da Palermo a Roma con l’esigenza di non essere sommerso da fascicoli di poco conto come “furti, rapine e truffe”. Indirettamente risponde il Procuratore capo Franco Lo Voi incoraggiando i suoi 70 pm a perseguire anche “reati apparentemente minori”. Lo scontro riporta a galla un’antica dicotomia tra protagonismo e abnegazione dei magistrati che serpeggia da sempre nel dibattito sul sistema della giustizia e aumenta il generale senso d’impunità che affligge il cittadino perbene, la crescente sfiducia nella giustizia e il dilagare dell’illegalità nei pubblici uffici.
Probabilmente è vero che politici ladri, grand commis degli appalti e grandi evasori rubano di più ma nuotano a largo come gli squali: se ne stanno asserragliati nei palazzi romani, ospiti delle tv o in fuga all’estero assistiti da schiere d’avvocati. I piccoli piranha invece nuotano proprio in mezzo a noi e forse sono più tollerati. È in questa luce, probabilmente, che vanno rilette le parole del presidente dell’Anm Piercamillo Davigo: “Non esistono italiani innocenti”.
Ecco un campionario di minuzzaglie, la top ten delle sentenze per giudizio di responsabilità emesse dalle sezioni contabili dei tribunali nell’ultimo mese (scorri per leggere).
- 1) Poliziotti concilianti, basta un bigliettone
Tutori della legge che la infrangono. A Viareggio un ispettore capo della Polstrada fermava gli automobilisti e si faceva dare 50 euro per non contestare violazioni inesistenti. Sul penale se la cava con un anno e sei mesi con sospensione della pena e interdizione per cinque. Restano i danni d’immagine al Viminale: 2mila euro per lavare la macchia dal Corpo. A Senigallia due agenti si accontentavano di buoni benzina. Il titolare di un’impresa edile li denuncia, la Procura li manda a processo: beccano un massimo di due anni, pena sospesa. La richiesta danni è 9mila euro. Pagheranno 500 euro ciascuno.
- 2) L’ispettore delle Entrate le garantisce a se stesso
Meglio i contanti, ma vale anche un orologio Franck Muller da 5mila euro. A Lecco bastava una mazzetta perché il Capo Ufficio Controlli dell’Agenzia delle Entrate annullasse le posizioni debitorie delle imprese: una volta pizzicato la sua difesa sosterrà che erano compensi per consulenze tributarie, incompatibili con la funzione ricoperta forse, ma non frutto di corruzione. Il funzionario viene condannato , la Procura chiede 64mila euro di risarcimento per “danno da tangente”. Lo ottiene ma non quello di immagine perché seve il terzo grado di giudizio. I fatti contestati risalgono al 2011, incombe la prescrizione.
- 3) Se il prof fa quattro giorni al mese di pausa caffé
A Nuoro c’è un centro di formazione professionale dove un caffè durava più di un intero corso perché otto zelanti dipendenti avevano preso a strisciare il cartellino per poi dileguarsi, avendo anche cura di lasciare l’auto accesa fuori dall’istituto per ripartire al volo senza perdere tempo nel posto di lavoro. Qualcuno metteva anche dei fogli di permesso nell’armadietto, che poi stracciava se non c’erano controlli. La Gdf li pedina e rileva che tra loro c’era chi riusciva a cumulare sospensioni dell’attività lavorativa, sotto la dicitura “pausa caffè”, per quasi 90 ore in tre mesi, quasi quattro giorni lavorativi al mese.
- 4) I tecnoprofessori: coi fondi Ue compravano 100 ipad
Poi dicono che non riusciamo a spendere i fondi europei. Un dirigente scolastico dell’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore “Francesco D’Aguirre” di Salemi ha utilizzato le risorse del Fondo sociale europeo destinate ai corsi di formazione per comprare 108 tablet più custodie spendendo la bellezza di 20mila euro. Materiali acquistati nel 2012 che non saranno mai riconsegnati dai corsisti. Il dirigente era però generoso anche coi tutor per i quali liquidava maggiori compensi per migliaia di euro. Nel 2017 viene condannato a risarcire 20mila euro.
- 5) La resistenza del sindaco di Lari
Lari, 10mila abitanti in provincia di Pisa. Nel 2012 il sindaco entra in collisione col segretario comunale che non gli vuol liquidare rimborsi chilometrici non motivati da vincolo di necessità, come vuole la legge. Lui fa di testa sua, gli toglie l’incarico e lo affida a un altro ufficio che prontamente liquida 5mila euro di spese per tutta la giunta. Cambia pure il regolamento sul trattamento economico degli amministratori, facendo saltare il vincolo delle spese. Epilogo: 5 anni dopo, a seguito di indagini e contestazioni, il sindaco e il suo braccio destro sono condannati a rifondere metà degli importi.
- 6) Strisce pedonali verde Lega
Tutti le fanno bianche e nere. Non a San Martino di Lupari, nel padovano, dove il responsabile dell’area tecnica comunale viene colto da guizzo cromatico e pensando di far meglio affianca alla striscia bianca obbligatoria per legge altre di color verde. Non per un attraversamento, ma per 55. Forse era un omaggio al sindaco leghista Sergio Boratto, il tecnico sosterrà che erano più visibili e dunque sicure. La vernice però raddoppia e quella verde costa anche più della bianca. Risultato: il suo guizzo ha provocato un danno di 1.500 euro alle casse comunali. E 529 di spese di giudizio.
- 7) Prendi i soldi (per lo sviluppo) e scappa
Apre un negozio di prodotti siciliani a Campi Bisenzio, Firenze. Non avendo i mezzi necessari una signora di 54 anni decide di farsi aiutare dallo Stato e nel 2007 ottiene finanziamenti agevolati e a fondo perduto per 24mila euro. Buttali via. E in effetti è andata così: la Finanza bussa alla porta ma il negozio non c’è più: fallito. La titolare non si era premurata di comunicarlo e aveva anche venduto i beni materiali comprati con quei soldi. Senza aver pagato i ratei. Lei si giustifica così: non sono derivati gli utili sperati, solo debiti. Insomma, grazie dei soldi e arrivederci.
- 8) Paternò e la riscossione: se il piranha era uno squalo
Il danno non è poi sempre modesto. Il Comune di Paternò, 50mila abitanti, nel 1996 affida la riscossione dei tributi sulle affissioni a una società privata, la Spa Tributitalia. Nel 2007 il rapporto viene interrotto ma molti contribuenti continuano per mesi a versare l’imposta sul vecchio c/c della società, che si metterà in pancia 31.711,54 mai rifusi al Comune che pure ne faceva richiesta. Dal dispositivo della sentenza di condanna si evince che non si trattava di astuzie accidentali: la Gdf di Genova nel frattempo ha accertato omessi versamenti in diversi comuni siciliani per un danno patrimoniale superiore ai 17 milioni di euro.
- 9) Palermo, il sacco dei derivati e il finto divorzio
Resta uno dei misteri di Palermo la scomparsa di 30 milioni che nel 2006 l’allora Provincia investì tramite una finanziaria di Como. Insieme ai manager viene condannato in via definitiva anche l’ex dg di Palazzo Comitini Antonino Caruso cui viene anche contestato un danno da 26,5 milioni. Peccato sia nullatenente. Perché 10 giorni dopo aver ricevuto l’atto di citazione ha pensato bene di liberarsi del suo ingente patrimonio di case e terreni trasferendolo all’ex moglie e ai figli a titolo di mantenimento. L’ente locale danneggiato impugna gli atti: è l’ennesimo tentativo di frode del creditore. I giudici accolgono.
- 10) Chiede fondi Ue per l’agricoltura, non ha un campo
Si era presentato come agricoltore tra il 2011 e il 2013, quando aveva ottenuto 10mila euro di contributi comunitari. Ma la Gdf di Capo d’Orlando accerta che tale, in effetti, non era mai stato. E quei 20 ettari di terreni erano d’altri. Il giudice di primo grado nel 2016 accoglie la richiesta della Procura Generale della Corte dei Conti Sicilia, ma solo per un solo anno di contribuzione. La Corte d’Appello riformula la sentenza per l’intero importo ricevuto, più rivalutazione interessi. Per avere il sussidio agricolo devi essere agricoltore e avere un pezzo di terra. Per chiarirlo ci son voluti sei anni e due gradi di giudizio.
<SCORRI>
Sono storie minime, per carità. Ciascuna testimonia però una voracità che dilaga tra i piani bassissimi delle gerarchie militari, nei ruoli marginali, intermedi e apicali delle strutture amministrative, che tutto contamina (scuole, strade, ospedali, imprese, fondi…) e spesso vince. Perché i predatori che finiscono nel secchiaio della giustizia – tra attenuanti, patteggiamenti e prescrizioni – raramente faranno un solo giorno di galera, come dimostra il dato sulla popolazione carceraria che conta ben 312 “colletti bianchi”, pari allo 0,9% dei nostri ingabbiati. Più spesso gli autori di reati “apparentemente minori” se la cavano con un procedimento disciplinare (dall’esito non scontato) e con una pena pecuniaria.
Sempre che le paghino poi. E che qualcuno riscuota, poi. Perché i dati sul recupero dei crediti di giustizia e delle pene pecuniarie conseguenti ai provvedimenti passati in giudicato o divenuti definitivi in Italia dicono proprio il contrario. L’ultima relazione della Corte dei Conti sulle spese di giustizia, pubblicata il 7 marzo 2017, certifica che i crediti maturati dal 2012 al 2015 ammontano a 467 milioni di euro ma quelli riscossi sono stati solo 11 milioni di euro, vale a dire il 13,4% del totale. Il famoso “contributo unificato” per le spese degli atti giudiziari? Ha determinato in quattro anni un credito per l’Erario di 5,4 milioni ma quello effettivamente riscosso si è fermato a 915mila euro, il 16,8%. E c’è di più perché lo Stato, già così mortificato, non riesce neppure a recuperare gli interessi che matura su quelle somme: in cinque anni non è andato oltre lo 0,17%. Numeri che inchiodano il bilancio sociale ed economico della Giustizia agli zero virgola e non lasciano margini per potenziare le attività di prevenzione, repressione e controllo. A tutto vantaggio e dei furbi d’Italia e delle quotidiane “minuzzaglie”.