Davide è un bambino nato prematuramente alla 28esima settimana e con un difetto congenito al cuore che non gli permetteva di respirare in modo corretto. Ha avuto un’infanzia molto diversa dalla maggioranza dei suoi coetanei. Il problema al cuore lo obbligava ad una vita costantemente sotto controllo, quasi sempre a casa, e lontano da qualsiasi sforzo fisico. Nessuna camminata al parco, niente calci al pallone con gli amici. I giorni di Davide trascorrevano in continua sofferenza. I suoi piccoli polmoni, sempre più affaticati, gli provocavano forti bruciori al petto seguiti da disperate richieste d’aiuto ai genitori. Ma la sua vita è cambiata, in meglio, grazie ad un’intuizione dei medici.
Con l’obiettivo di salvargli la vita, sono intervenuti trenta specialisti del Policlinico San Donato, in provincia di Milano. Con una operazione chirurgica mai tentata prima su un bambino di quattro anni, un gruppo congiunto di cardiologi, cardiochirurghi pediatrici e cardiologi interventisti degli adulti sono ricorsi a una tecnica e a strumenti riservati, fino ad ora, a persone adulte. L’operazione si è rivelata un “successo” e ora il team di specialisti vuole “condividere con la comunità scientifica internazionale tutti i dettagli dell’intervento”. Questa è la storia di Davide, “nato due volte” grazie all’azione efficace dei medici. La prima troppo presto – la mamma era in preeclampsia e ha dovuto affrontare un parto in urgenza – la seconda appena 6 mesi fa, quando il suo cuore quasi del tutto fermo ha ripreso a battere con più vigore. Era settembre del 2016. Claudia, la madre, non dimenticherà mai le ore dell’intervento vissute col fiato sospeso, “i movimenti frenetici e la tensione quando è stato necessario attaccare Davide all’Ecmo“, la macchina che si sostituisce a cuore e polmoni. “Il pollice alzato di uno dei medici che usciva dalla sala operatoria. E alla fine i loro sguardi fiduciosi: li avrò nel cuore per sempre”. Non è stato un percorso facile. “Mi sento invecchiata di dieci anni”, spiega Claudia all’AdnKronos Salute. Anche i medici del San Donato hanno voluto aspettare a lungo prima di raccontare una storia a lieto fine. Ma è una realtà che “oggi Davide corre, va in bici, gioca a pallone con il suo papà, ha ripreso a mangiare di gusto. I suoi piatti del cuore: risotto alla milanese e pizza, che prima detestava”, racconta la mamma. “Lottatore quando, appena nato, pesava solo 800 grammi. E lottatore anni dopo, in questi mesi difficili”.
“L’ipertensione polmonare di Davide altrove era stata sottovalutata“ – Quando il bambino è arrivato al San Donato era in condizioni critiche, spossato da una bassa saturazione d’ossigeno. A visitarlo in ospedale per primo c’era Gianfranco Butera, cardiologo pediatra, che riscontra “un quadro clinico piuttosto raro”. La “somma di più congiunture negative. Un caso unico”, lo definisce oggi Francesco Bedogni, che è a capo dell’equipe di Cardiologia interventistica dell’ospedale. L’ecodoppler mostrava due difetti interatriali (aperture di 11 e 15 millimetri nella parete che divide le due camere cardiache), ai quali si era associato un prolasso della valvola mitralica. Il cuore di Davide era messo a dura prova. Il ventricolo destro, sovraccaricato dal volume di sangue, ha perso la sua capacità di contrarsi. E nel frattempo, spiega Bedogni, “è aumentata la pressione a livello dei polmoni”, cosa che ha aperto la strada all’ipertensione polmonare, complicanza rara in un bambino. “Ci si è aperto un mondo – dice Claudia – Nessuno prima di allora ci aveva dato risposte. L’ipertensione polmonare di Davide altrove era stata sottovalutata. Ed è anche per questo che raccontiamo la sua storia. Il nostro messaggio ai genitori che devono affrontare situazioni come la nostra è di non fermarsi, fidatevi dell’istinto, chiedete un parere in un centro specializzato. Per noi è stata dura e abbiamo dovuto fare i conti anche con il senso di colpa, con l’impotenza di fronte a una situazione così complicata”.
Una corsa contro il tempo, poi l’intuizione che ha salvato Davide – Prima di un eventuale intervento i medici hanno dovuto studiare accuratamente l’anatomia del cuore di Davide. Lo hanno fatto con il cateterismo cardiaco, introducendo sonde sottilissime e flessibili che hanno evidenziato un altro elemento che complicherà il destino del piccolo: una stenosi, un restringimento del primo tratto della coronaria sinistra. Questa importante “autostrada” del sangue, per via di un angolo innaturale e strettissimo, sotto sforzo si era chiusa completamente. Ed era necessario intervenire chirurgicamente. Il primo step di questa corsa contro il tempo era in mano al gruppo guidato da Alessandro Frigiola, il cardiochirurgo pediatrico protagonista di tante missioni con l’associazione Bambini cardiopatici nel mondo di cui è co-fondatore, e di Mario Carminati, Cardiologia pediatrica. I medici hanno riparato la valvola mitralica, chiuso i fori tra gli atrii ed effettuato un bypass della coronaria sinistra, grazie all’arteria mammaria. Alla fine dell’operazione il cuore di Davide ancora non funzionava, perché non riusciva a sostenere la circolazione. Allora il bambino è stato collegato all’Ecmo (ossigenazione extracorporea, ndr). I medici, in questo modo, hanno deciso di guadagnare tempo prezioso, ma sono stati costretti, in pochissimo tempo, a seguire una nuova strategia. “Ci siamo detti: dobbiamo trovare un modo per portare più sangue al muscolo cardiaco”, racconta Bedogni. Ed è qui che sono poi intervenuti i cardiologi interventisti degli adulti. “È una scommessa. Decidiamo di intervenire subito per evitare il deteriorarsi della situazione, con un uso non standard di uno stent medicato, una via mai tentata in un bimbo così piccolo e in condizioni così rischiose per la vita”, continua lo specialista. L’obiettivo era quello di “allargare l’origine stretta della coronaria, che impediva al cuore di contrarsi mettendo il piccolo a rischio di infarto massivo“. I medici hanno corretto, dunque, la malformazione nel tronco comune della coronaria, dilatato l’arteria e ripristinato il flusso sanguigno. I device in questione, però, sono pensati per adulti e i medici sono andati a cercare “lo stent più piccolo per inserirlo nella parte più grande di un cuore in miniatura” come quello di un bambino.
“La collaborazione fra diverse competenze è stata la strategia vincente” – È più facile, precisa, “saltare giù da una casa cercando di centrare un piccolo materasso se tutto intorno a te sta andando in fiamme. Se non lo fai, non ci sono speranze”. Ma in quei momenti la tensione è comunque alle stelle. C’erano 30 specialisti ad assistere col fiato sospeso. “E appena l’arteria si è riaperta e si è capito che lo stent stava funzionando è scattato un lungo applauso, c’è stata commozione”, ricorda Federico De Marco, il cardiologo interventista che con Butera ha messo in pratica in prima persona la strategia definita da loro “rischiatutto”. Dopo 15 giorni dall’intervento Davide ha smesso di utilizzare la macchina che si sostituisce a cuore e polmoni. Oggi è a casa con i genitori.È stata un’impresa per lui, osserva la mamma. “Ha avuto anche momenti di rabbia nei lunghi periodi trascorsi in ospedale, è stato un trauma risvegliarsi da solo in reparto. Ma gli abbiamo spiegato che è stato fatto tutto per il suo bene e continueremo a parlargli con sincerità. Abbiamo avuto bisogno di supporto psicologico e ora Davide dovrà continuare a convivere con l’ipertensione polmonare, seppur migliorata dopo l’intervento, ma la paura più grande è passata“, assicura Claudia. Questo caso molto raro, conclude Frigiola, “non aveva una soluzione chirurgica ed è la dimostrazione che la collaborazione fra diverse competenze è stata la strategia vincente. Il paziente è il centro attorno al quale ruotano i vari specialisti”.