Archiviati i voucher, è venuta l’ora dei minijob. Sconosciuti in Italia, sono realtà quotidiana in Germania, il paese che li ha inventati e introdotti nel lontano 2003. Al governo, allora, c’era Gerhard Schröder, l’ultimo cancelliere in quota Spd che la Germania ricordi. Fu proprio la coalizione formata da socialdemocratici e verdi a varare la cosiddetta riforma del mercato del lavoro Agenda 2010 che comprendeva, tra le altre cose, i fatidici minijob. Il provvedimento passò con il sostegno a dir poco entusiastico della Cdu, guidata a quel tempo da un’Angela Merkel in ascesa. Per la Spd, politicamente, fu un disastro. Alle elezioni successive i socialdemocratici pagarono a caro prezzo per avere investito su una riforma che, a detta degli avversari, precarizzava il lavoro e demoliva il welfare di stampo renano, per di più scritta da un ex manager della Volkswagen, tale Peter Hartz. Di lì a poco uscì dal partito uno dei suoi esponenti storici, Oskar Lafontaine, che prima diede vita a una propria formazione politica assieme a sindacalisti e a tutti gli scontenti della linea di governo di Schroeder, e poi confluì con il Pds nella Linke. Fu proprio quest’ultima a capitalizzare il risentimento di larga parte dell’elettorato di sinistra e a imporsi come uno scomodo concorrente della Spd sui temi sociali. Da quel momento iniziava la lunga era Merkel. I socialdemocratici non avrebbero più riagguantato la cancelleria, al massimo si sarebbero adattati alla convivenza con la Cdu nel ruolo di alleati minori nella grande coalizione. I minijob, nel frattempo, erano legge.
Nessun’altra riforma degli ultimi decenni ha diviso la Germania e scatenato opinioni controverse. Tecnicamente i minijob sono rapporti di lavoro rigorosamente part-time che non superano la soglia di 450 euro mensili e per i quali valgono consistenti incentivi fiscali per le imprese. Nel dettaglio, un contratto di questo tipo può essere applicato se si lavora non oltre 70 giorni all’anno – ad esempio, ogni mercoledì – o, comunque, non più di tre mesi consecutivi. Il principio è: chi guadagna poco non deve pagare tasse e versare contributi nelle casse della sanità e della previdenza pubblica. Ci sono situazioni nelle quali un minijob è visto in Germania come una soluzione temporaneamente utile. Vale per alcune categorie sociali – studenti e pensionati sono i casi più tipici – oppure per persone che si trovino in determinate fasi della propria vita, ad esempio uomini o donne che, dopo aver abbandonato l’attività professionale per motivi familiari, vogliano rientrare nel mondo del lavoro. Un altro settore nel quale abbia senso applicare questi contratti è quello di attività che per loro natura seguono cicli stagionali, soprattutto nell’agricoltura. Ma il rischio è che i minijob si trasformino in un vero e proprio vicolo cieco senza ritorno. Spesso, infatti, chi entra nel vortice di contratti a breve termine con l’idea che si tratti di una prospettiva temporanea, non ne esce più. La speranza di tornare a lavorare in forma più stabile e con contratti che diano diritto a vedersi versare i contributi si rivela spesso un’illusione. A questo si aggiunge il fatto che i minijob trovano larga applicazione in impieghi per lo più a bassa qualificazione che non consentono alcun percorso di formazione professionale per gli occupati, né prospettive di carriera.
I vantaggi per le imprese sono indubbi. C’è chi sostiene che la riforma del “mini-lavoro” abbia consentito alla Germania di elargire in forma camuffata consistenti aiuti di Stato alla propria industria nazionale che ne avrebbe beneficiato soprattutto in termini di competitività delle esportazioni. Basta pensare che sotto la già ricordata soglia di retribuzione di 450 euro mensili le imprese sono completamente esonerate dal dover versare contributi per i propri dipendenti. Non ci vuol molto a intuire che questo sia tra i punti più contestati dai sindacati tedeschi. L’accesso dei lavoratori alle prestazioni del welfare dipende proprio dai contributi versati nelle casse dello stato. La conseguenza è che il popolo dei minijob si è trovato escluso da tutele in caso di malattia o infortuni sul lavoro o periodi di disoccupazione. Solo di recente è stato introdotto l’obbligo per i datori di lavoro di versare i contributi previdenziali ai fini pensionistici e per assicurare i dipendenti in caso di incidenti, anche se si segnalano casi di infrazione di imprese che scaricano sulle spalle dei dipendenti l’obbligo di pagarsi i contributi a proprie spese. A ogni modo, gli oneri fiscali a carico delle imprese non vanno oltre il 33,88 per cento della retribuzione, il che significa non più di 152,46 euro per un tetto massimo di 450 euro di stipendio. Risultato? Se una persona dovesse, con le regole vigenti, lavorare 45 anni passando da un contratto dì minijob all’altro, avrebbe diritto a una pensione di duecento euro mensili.
Ma quanti sono i lavoratori tedeschi che figurano come occupati in versione “tascabile”? Stando alle statistiche più recenti il loro numero è costantemente salito fino a toccare la cifra di oltre sette milioni su un totale di 43 milioni di occupati. Di questi sette quasi cinque milioni sono cittadini che vivono esclusivamente di un reddito part-time sotto i 450 euro. Nel frattempo, però, è salito anche il numero di quelli che, pur avendo un impiego e un contratto “normale”, si trovano costretti ad arrotondare il proprio reddito e ad affiancare all’attività svolta anche un minijob, per il 56 per cento donne. Un dato di fatto che allarma i sindacati visto che sale la percentuale di cittadini che non riescono più a vivere con il reddito di un solo lavoro, come in passato, e devono ricorrere anche a contratti lavorativi atipici. E non è finita. Se la cifra dei minijob è aumentata costantemente dall’anno della loro introduzione, d’altra parte si sono persi per strada posti di lavoro full-time. Il che ha significato un calo di retribuzione, soprattutto nei settori a media-bassa qualificazione, e minore introito nelle casse del welfare. Ma per le statistiche il miracolo tedesco può andare avanti. Gli occupati sono aumentati, la disoccupazione non c’è, le imprese esportano. Il resto son dettagli. O quasi.
Lavoro & Precari
Voucher, la Germania insegna: sostituirli con i minijob rischia di essere la classica toppa che allarga il buco
Sconosciuti in Italia, sono realtà quotidiana nel Paese che li ha inventati e introdotti nel lontano 2003. Fu la coalizione formata da socialdemocratici e verdi a varare la cosiddetta riforma del mercato del lavoro Agenda 2010. Alle elezioni successive i socialdemocratici pagarono a caro prezzo per avere investito su una norma che, a detta degli avversari, precarizzava il lavoro e demoliva il welfare di stampo renano
Archiviati i voucher, è venuta l’ora dei minijob. Sconosciuti in Italia, sono realtà quotidiana in Germania, il paese che li ha inventati e introdotti nel lontano 2003. Al governo, allora, c’era Gerhard Schröder, l’ultimo cancelliere in quota Spd che la Germania ricordi. Fu proprio la coalizione formata da socialdemocratici e verdi a varare la cosiddetta riforma del mercato del lavoro Agenda 2010 che comprendeva, tra le altre cose, i fatidici minijob. Il provvedimento passò con il sostegno a dir poco entusiastico della Cdu, guidata a quel tempo da un’Angela Merkel in ascesa. Per la Spd, politicamente, fu un disastro. Alle elezioni successive i socialdemocratici pagarono a caro prezzo per avere investito su una riforma che, a detta degli avversari, precarizzava il lavoro e demoliva il welfare di stampo renano, per di più scritta da un ex manager della Volkswagen, tale Peter Hartz. Di lì a poco uscì dal partito uno dei suoi esponenti storici, Oskar Lafontaine, che prima diede vita a una propria formazione politica assieme a sindacalisti e a tutti gli scontenti della linea di governo di Schroeder, e poi confluì con il Pds nella Linke. Fu proprio quest’ultima a capitalizzare il risentimento di larga parte dell’elettorato di sinistra e a imporsi come uno scomodo concorrente della Spd sui temi sociali. Da quel momento iniziava la lunga era Merkel. I socialdemocratici non avrebbero più riagguantato la cancelleria, al massimo si sarebbero adattati alla convivenza con la Cdu nel ruolo di alleati minori nella grande coalizione. I minijob, nel frattempo, erano legge.
Nessun’altra riforma degli ultimi decenni ha diviso la Germania e scatenato opinioni controverse. Tecnicamente i minijob sono rapporti di lavoro rigorosamente part-time che non superano la soglia di 450 euro mensili e per i quali valgono consistenti incentivi fiscali per le imprese. Nel dettaglio, un contratto di questo tipo può essere applicato se si lavora non oltre 70 giorni all’anno – ad esempio, ogni mercoledì – o, comunque, non più di tre mesi consecutivi. Il principio è: chi guadagna poco non deve pagare tasse e versare contributi nelle casse della sanità e della previdenza pubblica. Ci sono situazioni nelle quali un minijob è visto in Germania come una soluzione temporaneamente utile. Vale per alcune categorie sociali – studenti e pensionati sono i casi più tipici – oppure per persone che si trovino in determinate fasi della propria vita, ad esempio uomini o donne che, dopo aver abbandonato l’attività professionale per motivi familiari, vogliano rientrare nel mondo del lavoro. Un altro settore nel quale abbia senso applicare questi contratti è quello di attività che per loro natura seguono cicli stagionali, soprattutto nell’agricoltura. Ma il rischio è che i minijob si trasformino in un vero e proprio vicolo cieco senza ritorno. Spesso, infatti, chi entra nel vortice di contratti a breve termine con l’idea che si tratti di una prospettiva temporanea, non ne esce più. La speranza di tornare a lavorare in forma più stabile e con contratti che diano diritto a vedersi versare i contributi si rivela spesso un’illusione. A questo si aggiunge il fatto che i minijob trovano larga applicazione in impieghi per lo più a bassa qualificazione che non consentono alcun percorso di formazione professionale per gli occupati, né prospettive di carriera.
I vantaggi per le imprese sono indubbi. C’è chi sostiene che la riforma del “mini-lavoro” abbia consentito alla Germania di elargire in forma camuffata consistenti aiuti di Stato alla propria industria nazionale che ne avrebbe beneficiato soprattutto in termini di competitività delle esportazioni. Basta pensare che sotto la già ricordata soglia di retribuzione di 450 euro mensili le imprese sono completamente esonerate dal dover versare contributi per i propri dipendenti. Non ci vuol molto a intuire che questo sia tra i punti più contestati dai sindacati tedeschi. L’accesso dei lavoratori alle prestazioni del welfare dipende proprio dai contributi versati nelle casse dello stato. La conseguenza è che il popolo dei minijob si è trovato escluso da tutele in caso di malattia o infortuni sul lavoro o periodi di disoccupazione. Solo di recente è stato introdotto l’obbligo per i datori di lavoro di versare i contributi previdenziali ai fini pensionistici e per assicurare i dipendenti in caso di incidenti, anche se si segnalano casi di infrazione di imprese che scaricano sulle spalle dei dipendenti l’obbligo di pagarsi i contributi a proprie spese. A ogni modo, gli oneri fiscali a carico delle imprese non vanno oltre il 33,88 per cento della retribuzione, il che significa non più di 152,46 euro per un tetto massimo di 450 euro di stipendio. Risultato? Se una persona dovesse, con le regole vigenti, lavorare 45 anni passando da un contratto dì minijob all’altro, avrebbe diritto a una pensione di duecento euro mensili.
Ma quanti sono i lavoratori tedeschi che figurano come occupati in versione “tascabile”? Stando alle statistiche più recenti il loro numero è costantemente salito fino a toccare la cifra di oltre sette milioni su un totale di 43 milioni di occupati. Di questi sette quasi cinque milioni sono cittadini che vivono esclusivamente di un reddito part-time sotto i 450 euro. Nel frattempo, però, è salito anche il numero di quelli che, pur avendo un impiego e un contratto “normale”, si trovano costretti ad arrotondare il proprio reddito e ad affiancare all’attività svolta anche un minijob, per il 56 per cento donne. Un dato di fatto che allarma i sindacati visto che sale la percentuale di cittadini che non riescono più a vivere con il reddito di un solo lavoro, come in passato, e devono ricorrere anche a contratti lavorativi atipici. E non è finita. Se la cifra dei minijob è aumentata costantemente dall’anno della loro introduzione, d’altra parte si sono persi per strada posti di lavoro full-time. Il che ha significato un calo di retribuzione, soprattutto nei settori a media-bassa qualificazione, e minore introito nelle casse del welfare. Ma per le statistiche il miracolo tedesco può andare avanti. Gli occupati sono aumentati, la disoccupazione non c’è, le imprese esportano. Il resto son dettagli. O quasi.
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Milano, 13 mar. (Adnkronos) - "Procederemo a tutelare la reputazione e l’onorabilità dello studio legale Giarda nelle opportune sedi competenti, come, del resto, già avvenuto in passato nei confronti dello stesso avvocato Massimo Lovati, confidando che questa vicenda possa finalmente trovare la giusta definizione, da tempo auspicata anche dal fondatore dello studio". Gli avvocati Fabio ed Enrico Giarda, ex difensori di Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni per l'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, replicano così alle affermazioni del difensore di Andrea Sempio, nuovamente indagato per il delitto di Garlasco, che ha sostenuto che "l'indagine del 2017 è stata frutto di una macchinazione".
Dichiarazioni ritenute dai fratelli Giarda "del tutto gratuite e gravemente lesive. L'avvocato Lovati evidentemente dimentica che la denuncia a suo tempo presentata nel 2017 da Andrea Sempio nei confronti dello studio legale Giarda e degli investigatori incaricati è stata archiviata nel 2020 dal gip di Milano, che nella sua ordinanza ha certificato l’assoluta correttezza dell’attività di raccolta e successiva estrazione dai reperti".
Milano, 13 mar. (Adnkronos) - "Il mercato domestico è in leggera crescita, sia a volume che a valore. Noi siamo cresciuti un po’ più del mercato, abbiamo guadagnato un +2,6 contro il 2% del mercato". Lo afferma Renato Roca, country manager di Findus Italia, all’evento ‘100%: il nostro percorso di sostenibilità’, organizzato oggi a Milano da Findus per celebrare il traguardo del 100% di prodotti ittici certificati Msc e Asc.
“L'Italia non è un Paese da grandissime crescite nel food nel largo consumo - spiega Roca - però è un mercato che sta continuando a dare una buona soddisfazione da quando siamo usciti dai periodi un po’ tesi della grande morsa inflattiva del 2022 e 2023. Dal 2024 il mercato si è normalizzato, anche grazie a iniziative, come la nostra, di comunicazione, di riposizionamento prezzi, che hanno un po’ smosso le acque. Siamo quindi molto fiduciosi”.
Come sottolineato anche all’incontro con la stampa organizzato oggi all'Acquario civico di Milano, quello del surgelato è un settore che “intercetta una serie di trend, come quello dell'anti spreco ma anche dell’attenzione alle abitudini alimentari. Il nostro portafoglio prodotti è composto all'80% da pesce e vegetali e adesso abbiamo anche il pollo - conclude il country manager di Findus Italia - Quello che è confortante come dato è che il mercato ha riacquistato l'1% delle famiglie che erano uscite, noi abbiamo riacquisito 2 punti di penetrazione tra le famiglie acquirenti e il pesce, in particolare, ne ha acquisiti 4”.
Milano, 13 mar. (Adnkronos) - "Il mercato domestico è in leggera crescita, sia a volume che a valore. Noi siamo cresciuti un po’ più del mercato, abbiamo guadagnato un +2,6 contro il 2% del mercato". Lo afferma Renato Roca, country manager di Findus Italia, all’evento ‘100%: il nostro percorso di sostenibilità’, organizzato oggi a Milano da Findus per celebrare il traguardo del 100% di prodotti ittici certificati Msc e Asc.
“L'Italia non è un Paese da grandissime crescite nel food nel largo consumo - spiega Roca - però è un mercato che sta continuando a dare una buona soddisfazione da quando siamo usciti dai periodi un po’ tesi della grande morsa inflattiva del 2022 e 2023. Dal 2024 il mercato si è normalizzato, anche grazie a iniziative, come la nostra, di comunicazione, di riposizionamento prezzi, che hanno un po’ smosso le acque. Siamo quindi molto fiduciosi”.
Come sottolineato anche all’incontro con la stampa organizzato oggi all'Acquario civico di Milano, quello del surgelato è un settore che “intercetta una serie di trend, come quello dell'anti spreco ma anche dell’attenzione alle abitudini alimentari. Il nostro portafoglio prodotti è composto all'80% da pesce e vegetali e adesso abbiamo anche il pollo - conclude il country manager di Findus Italia - Quello che è confortante come dato è che il mercato ha riacquistato l'1% delle famiglie che erano uscite, noi abbiamo riacquisito 2 punti di penetrazione tra le famiglie acquirenti e il pesce, in particolare, ne ha acquisiti 4”.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Quella di oggi, per il governatore Francesco Rocca, è “una bella giornata, che ci ricorda da un lato quanto è bello vivere e rappresentare questa regione, ma soprattutto l’importanza di essere accompagnati in questo viaggio e in questo anno particolare, che è un’occasione che non possiamo perdere, fra Giubileo e l’Expo di Osaka. Sono grato al Niaf per la capacità di custodire l’elemento valoriale con la necessità di andare oltre ai confini. Questa è la conseguenza naturale di valori che non si è mai persa: la comunità italoamericana non deve perdere le sue radici, la consapevolezza, e l’orgoglio di essere italiani”.
“I 20 milioni di italoamericani sono i migliori ambasciatori dell’Italia nel mondo - afferma il presidente Niaf Robert Allegrini - e nel nostro 50mo anniversario non potevamo che scegliere il Lazio: abbiamo voluto condividere l’occasione con la regione che ospita la capitale d’Italia, non potevamo fare altrimenti, per dimostrare che il Lazio non è solo il Colosseo e la Fontana di Trevi ma che è una Regione che guarda al futuro”. Un legame quello con il Lazio che si fa anche con il cibo ma non solo. Un piatto su tutti: le Fettuccine alla Alfredo: “Poter portare a Washington Mario Mozzetti del ristorante Alfredo alla Scrofa, uno dei più grandi ambasciatori del Lazio negli Stati Uniti e di avere l'opportunità qua a Roma di andare al ristorante dove è nato questo piatto iconico per me è un motivo di grande soddisfazione”. Per Mario Mozzetti, “è un vero sogno andare alla convention Niaf di Washington e portare le fettuccine alla Alfredo. Portare questo piatto è un orgoglio anche a livello storico: portare Alfredo alla Scrofa negli Stati Uniti significa raccontare la storia che collega idealmente, ma non solo, l’Italia e gli Stati Uniti”.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Lazio è “Regione d’Onore Niaf 2025”. Un evento che ricade nel 50mo anniversario della National Italian American foundation, la più grande associazione di italoamericani. Lo slogan è chiaro: “All you need is Lazio”, fra sapori autentici, la storia incisa nella pietra, meraviglie naturali, benessere e relax, arte e artigianato, la magia del cinema, innovazione e aerospazio, eccellenza accademica e un patrimonio culturale unico. “È un grande riconoscimento - afferma Roberta Angelilli, vicepresidente e assessore a Sviluppo economico, Commercio, Artigianato, Industria, Internazionalizzazione della Regione Lazio - in cui saremo protagonisti a 360 gradi. Saranno coinvolte 20 startup e pmi innovative oltre a 18 grandi imprese che saranno attori protagonisti. Non è solo un grande evento ma è una vera missione di sistema. Ma non ci saranno solo le imprese: saranno coinvolte anche università e centri di ricerca. Startup. Gli obiettivi, netti e chiari - prosegue Angelilli - sono un piano di networking per una forte connessione con le imprese. L’altra sfida è l’ attrazione degli investimenti”. Per Amedeo Teti, capo Dipartimento per il Mercato del Mimit, “la Regione Lazio merita questa posizione di Regione d’onore. Il Lazio è da sempre attrattore di grandi investimenti. Secondo il Financial Times poi solo nel 2024 l’Italia ha attratto 35,5 miliardi di investimenti e ha creato 36mila posti di lavoro”.
Roma, 13 mar. (Labitalia) - "La vostra fiera pone la sostenibilità al centro del confronto tra tutti voi e tra tutti noi e non potrebbe essere altrimenti". Così il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto in un videomessaggio in occasione di LetExpo 2025, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere (11-14 marzo).
"La logistica è il sistema circolatorio delle nostre società. Attraverso la via della distribuzione riceviamo e inviamo ciò che consumiamo e ciò che produciamo. Quello che compriamo viene spesso da molto lontano e le nostre aziende esportano in ogni continente - continua - Se tutto questo ha creato ricchezza e opportunità ha anche creato pesanti effetti sull'ambiente. Per questo è molto importante che puntiate alla sostenibilità ambientale, naturalmente conciliata con la sostenibilità economica e sociale perché con l'ambientalismo dogmatico non si fa un favore né alla natura né alle persone. Anzi, se non consideriamo il tema socio-economico, le politiche ambientali saranno automaticamente respinte. Su questo tema non abbiamo mai fatto un passo indietro".
"La voce più chiara e determinata è stata quella dell'Italia a ogni tavolo negoziale europeo. Non mettiamo in discussione gli obiettivi finali, gli obiettivi climatici, ma chiediamo misure adatte al nostro Paese - spiega - Se il risultato delle politiche ambientali è la desertificazione industriale, perdiamo tutti. Con la neutralità tecnologica ognuno sceglie la propria strada verso una meta che resta comunque la meta che dobbiamo raggiungere".
"La vostra iniziativa punta ad accrescere la consapevolezza ecologica del settore dei trasporti, lo fa mettendo a confronto istituzioni, imprese, con il mondo della ricerca e delle professioni. Non si ragiona per compartimenti stagni. E' in questo modo che si passa dall'ideologia alla concretezza, alla realtà, dal dogma alla soluzione della questione. Insieme sapremo fare squadra", conclude.
Washington, 13 mar. (Adnkronos) - Christopher Lockyear, segretario generale di Medici Senza Frontiere (Msf), è intervenuto oggi al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla catastrofica crisi umanitaria causata dalla guerra in Sudan, chiedendo la fine delle violenze contro i civili e un rinnovato impegno per fornire aiuti salvavita. La guerra in Sudan è soprattutto “una guerra contro le persone" ha dichiarato.
Le Forze Armate Sudanesi (Saf) - ricorda Msf - hanno bombardato ripetutamente e indiscriminatamente aree densamente popolate. Le Forze di Supporto Rapido (Rsf) e le milizie alleate hanno portato avanti una campagna di violenze, fatta di stupri sistematici, rapimenti, uccisioni di massa, saccheggi di aiuti umanitari e occupazione di strutture mediche. Entrambe le parti hanno assediato città, distrutto infrastrutture civili essenziali e bloccato gli aiuti umanitari. Msf fornisce assistenza medica in 11 dei 18 stati del Sudan, operando su entrambi i fronti del conflitto, secondo i principi umanitari che la contraddistinguono. I team di Msf nel paese hanno segnalato molte volte i livelli preoccupanti di malnutrizione in diverse zone, mentre malattie infettive prevenibili con i vaccini sono in aumento. L'imminente stagione delle piogge acuisce l’urgenza di assicurare alle persone nelle aree devastate dalla guerra forniture alimentari e mediche.
Il messaggio di Msf al Consiglio di Sicurezza è: la guerra in Sudan non può continuare a essere combattuta con un simile disprezzo per le vite dei civili. Dopo quasi 2 anni di combattimenti, la risposta internazionale è stata fin troppo limitata, ostacolata dalle parti in conflitto e aggravata dalla mancanza di responsabilità, risorse e leadership. “Mentre in questa sede si fanno dichiarazioni, i civili rimangono invisibili, senza protezione, bombardati, assediati, stuprati, sfollati, privati di cibo, cure mediche e dignità” ha dichiarato Lockyear. “La risposta umanitaria vacilla, paralizzata dalla burocrazia, dall’insicurezza, dall’esitazione e da quello che rischia di diventare il più grande disinvestimento negli aiuti umanitari della storia”. Lockyear ha fatto appello a un rinnovato impegno nella protezione dei civili e far fronte alle necessità umanitarie. “La crisi in Sudan impone un cambiamento radicale, abbandonando gli approcci fallimentari del passato. La vita di milioni dipende da questo”, ha concluso.