“Un film è raccontare una brutta figura”
“Avete presente quando si è casa con altre persone e inizia il racconto degli aneddoti?”, ha affermato Nunziante. “Ecco, c’è sempre un altro che segue nel raccontare l’aneddoto ancor più ganzo, poi c’è uno nel gruppo che all’improvviso dice ‘io ho fatto questa figura di me***’. Il successo è raccontare bene una vostra figura di merda, non raccontare dove siete riusciti. Un film è raccontare una brutta figura, e più la sai raccontare, più la sai svelare, più sai raccontare i tuoi limiti e più dici la verità. Riuscendo a fare quello chissà perché tutto coincide. Agli occhi dello spettatore non risulti noioso e saccentone, ma sei uno dei tanti che racconta gli inciampi della vita. C’è una poesia di Baudelaire che apre I fiori del male dove il poeta scrive ‘Ipocrita lettore, mio simile, fratello’. Ecco Io e Luca siamo fratelli nell’ipocrisia come l’insegnamento dei padri della commedia italiana: racconta quello che sai e quello che non conosci”.
“Il cinema depresso anni ’90 ha cancellato l’idea del cinema come rito collettivo”
“Nel cinema italiano le ipocrisie sono sempre degli altri – ha affermato perentoriamente Nunziante – soprattutto nella grande depressione tra anni ’80 e ’90 in tutti i film d’autore il messaggio era: “tu sei uno str****, siete dei cittadini di me***, tu non capisci niente”. Ma questa messa in scena rappresentava cinematograficamente l’uomo perfetto che sapeva tutto, e io persone così le ho conosciute (…) Veniamo da 30 anni di individualismo, tu sei tutto e gli altri non valgono nulla, ma bisogna uscire da questo meccanismo, e il cinema può farlo perché è uno dei pochi riti collettivi rimasti, come la santa messa. Io sono cattolico e vado a messa alle 7 del mattino e noto che siamo tutti uno distante dall’altro. Quando dobbiamo scambiarci un segno di pace non riusciamo nemmeno”.