Per un normale cittadino sarebbe stato un reato penale. Per un titolare di incarichi pubblici, invece, è soltanto un illecito amministrativo. Con questa motivazione il gip di Milano Laura Marchiondelli ha archiviato l’indagine a carico del sindaco di Milano, Giuseppe Sala, come richiesto dal pm Giovanni Polizzi nel luglio scorso. L’ex amministratore delegato di Expo era accusato di falso ideologico perché il 19 febbraio del 2015 aveva omesso alcune proprietà nell’autocertificazione patrimoniale richiesta ai titolari di cariche pubbliche, come previsto dal decreto legislativo 33 del 2013.
Nel dettaglio il primo cittadino meneghino non dichiarò di essere proprietario di una casa in Svizzera, del 18% della Tunari Real Estate srl in Romania, del 20% della Kenergy spa e di due fabbricati edificati a Zoagli, in Liguria, in un terreno che invece disse di possedere. Quell’inchiesta era nata da un esposto presentato nell’aprile del 2016 da Riccardo De Corato, consigliere comunale di Fratelli d’Italia, ma non sarà il tribunale di Milano a doversi esprimere sulla condotta di Sala.
Il perché lo spiega Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera. Per un cittadino, infatti, l’omissione nell’autocertificazione patrimoniale – che si deposita, ad esempio, anche per ottenere una casa popolare – è punita dalla legge penale generale. Quando invece le omissioni nella comunicazione di situazioni patrimoniali riguardano titolari di incarichi pubblici, invece, il decreto 33 del 2013 prevede una speciale sanzione amministrativa, al posto della norma prevista dal codice penale, ed è imposta dal prefetto. La dichiarazione “monca” di Sala risale ai tempi in cui era numero uno di Expo e quindi titolare di incarico pubblico: invece della legge penale vigente per tutti i cittadini, sarà punito soltanto con una multa. È per questo motivo che il gip Marchionelli, dopo aver archiviato l’inchiesta su Sala, ha trasmesso gli atti in prefettura. Sarà dunque Luciana Lamorgese a dover sanzionare il sindaco con una multa compresa tra i mille e i diecimila euro come previsto dal decreto 33 del 2013.
In pratica lo stesso decreto violato – seppur in modo diverso da Sala – da Roberta Cocco, la manager Microsoft scelta dal primo cittadino per guidare l’assessorato alla Trasformazione digitale, che però in un primo momento si era rifiutata di fornire a Palazzo Marino i documenti da pubblicare nella sezione trasparenza del sito del comune. Un obbligo al quale si è sottoposta solo dopo i 90 giorni dalla nomina previsti per legge, mentre l’Autorità nazionale anticorruzione aveva già aperto un’istruttoria. Ed è stata proprio l’authority di Raffaele Cantone a imporre all’assessore una multa da mille euro per aver pubblicato in ritardo il suo reddito di 224mila euro e 3,6 milioni di euro di azioni Microsoft.