L’autorevole ‘Sezione famiglia’ del tribunale di Milano ha affrontato senza timore un caso di alienazione genitoriale (Trib. Milano, IX civ., decreto 9 – 11 marzo 2017, Pres. Amato, est. Buffone). L’alienazione genitoriale è un grave illecito (civile, ma probabilmente anche con connotazioni penali) perché consiste nella condotta finalizzata alla cancellazione, rimozione, demolizione di un genitore, quasi sempre compiuto dall’altro genitore (non mancando pure i casi di alienazione verso un nonno o entrambi i nonni, o da un nonno o dai nonni). Da non sovrapporre tale condotta con la Pas o sindrome da alienazione genitoriale, quale possibile patologia conseguente nei casi più gravi, ed ancora oggi discussa, ma i cui tratti sintomatici sono tutti presenti nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il Dsm-V (come ricordano i prof.ri Gulotta, Camerini e Casonato).

L’alienazione genitoriale è stata affrontata recentemente in un convegno scientifico tenutosi all’Università di Genova (24.3.17) ed è stato osservato come, su un campione di circa 200 casi, coinvolga come vittime i padri nell’80% dei casi e per il 20% le madri (prof. Camerini), mentre sino a qualche decennio fa probabilmente era l’opposto, risultando un antidoto positivo la condivisione equa dei tempi genitoriali nella gestione del figlio. E’ stato poi ricordato come una forma particolarmente insidiosa e grave di alienazione genitoriale sia il non parlare affatto dell’altro genitore da parte del genitore c.d. collocatario in presenza del figlio (prof. Gulotta).

E’ un grave problema sociale e di salute pubblica (abuso sull’infanzia e una violenza psicologica) visto che coinvolge ogni anno migliaia di persone (tra vittime dirette e vittime di rimbalzo).

I giudici di Milano dopo aver accertato l’alienazione genitoriale compiuta da una madre in danno della figlia e del padre, pervengono alla “limitazione della responsabilità genitoriale quanto alle decisioni di maggior interesse” rigettano il ricorso di costei e la condannano per abuso del processo, riconoscendo pure “un danno in capo al padre: lo stress che accusa è legato alla privazione del rapporto”. Infatti nella specie la consulente sottolinea che “FIGLIA nel riportare questi fatti aderisce in maniera totale alla versione materna, finendo per distorcere anche il dato reale. La bambina assume come proprio il pensiero materno dicotomico, dove sul padre viene esternalizzata ogni colpa, escludendo la madre da ogni responsività. Certamente questa modalità di pensiero, nella rigidità operativa di rendere l’altro l’unico attore responsabile, è attinente al mondo dell’infanzia funzionale nella lettura infantile delle vicende emotivamente più coinvolgenti. Appare però preoccupante che questa sia l’unica lettura prospettabile alla bambina dalla madre che, nel tentativo di sottrarsi alla implicazione personale nel fallimento del progetto di coppia, rappresenti il padre come unico protagonista. A sostegno di questa prospettiva, vengono attribuite al padre modalità comportamentali solo riferibili alla categoria dell’aggressività, nel tentativo di renderlo inammissibile agli occhi di una figlia piccola”.

Ed ancora: La relazione tra figlia e papà è stata inficiata da comportamenti alienanti del genitore collocatario: come noto, il termine alienazione genitoriale – se non altro per la prevalente e più accreditata dottrina scientifica e per la migliore giurisprudenza – non integra una nozione di patologia clinicamente accertabile, bensì un insieme di comportamenti posti in essere dal genitore collocatario per emarginare e neutralizzare l’altra figura genitoriale; condotte che non abbisognano dell’elemento psicologico del dolo essendo sufficiente la colpa o la radice anche patologia delle condotte medesime. Nel caso di specie, la consulente ha chiaramente accertato che la madre denigra la figura paterna e addirittura esclude che la figlia dal padre possa trarre alcun vantaggio o elemento positivo. I comportamenti della madre hanno causato uno stato di forte stress nel padre e anche una situazione di pericolosa vulnerabilità in FIGLIA che si trova sull’orlo di una declinazione patologica della propria condizione di bambina travolta dal conflitto”.

Il tribunale non affida la figlia al padre solo perché ora soggetto fragile (“questi accusa una fragilità emotiva su cui deve intervenire”) ed anche perché la figlia oggi non sarebbe pronta ad “accoglierlo” (“e, inoltre, la bambina al momento non ha superato la condizione di disagio in cui versa e per la quale lo rifiuta”). Tuttavia, “la bambina deve essere immediatamente accompagnata in un supporto terapeutico. Se la situazione, nonostante gli interventi attuati sarà in stallo e non mostrerà una evoluzione positiva (…) l’Ente a questo punto dovrà prendere in considerazione un diverso collocamento della bambina”.

Molto bene quanto all’accertamento del grave illecito, discutibile e timido nelle conseguenze assunte. La dottrina è difatti concorde nel ritenere opportuno che il minore alienato debba essere subito sottratto dal genitore alienante, seppur riavvicinandolo gradualmente al genitore alienato. E questo non avverrà. Discutibile poi la prescrizione alla madre che certo difficilmente sarà rieducata ad accettare positivamente la figura del “padre”. Ed assai modesto il risarcimento del danno ove si pensi che debba ristorare tante per l’abuso del processo quando per la sofferenza del padre.

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