Dato che sotto la foto di questo mio videoblog mi definisco “filmmaker e aforista”, mi pare doveroso donarvi alcuni miei aforismi. Chi mi conosce sa che sono pigro, un pigro elettrico, ma pur sempre pigro. Faccio anche fatica a respirare a volte, e non può essere più chiaro di così il famoso “riposa in pace”, senza cioè la fatica del respiro.
L’aforisma è un orizzonte. Un orizzonte di senso o di non senso. Si nutre di paradossi spesso e volentieri. Sconfina nella battuta di spirito ma non è una battuta. Semmai trattasi di ragionamento convulso, sintesi di abissi.
Grande la tradizione degli aforisti francesi o irlandesi, ma anche noi italiani siamo messi bene, penso a Longanesi o a Flaiano, tanto per citarne due immensi, ma anche uno meno conosciuto come Morandotti.
Il “chi mi ama mi preceda” di Flaiano resta uno dei miei preferiti in assoluto, soprattutto se ci sono le sabbie mobili.
E Morandotti sosteneva che nel futuro saremo tutti periti, ma non penso si riferisse a un diploma tecnico.
L’aforisma aderisce alla perfezione alla mia pigrizia. Non ho mai avuto un romanzo nel cassetto e anche come filmmaker preferisco il cortometraggio.
Tra i miei aforismi preferiti metto questi due: “La principessa daltonica non si accorse che il principe era azzurro” e “la donna è l’unico enigma penetrabile”, scritti per conquistare le donne.
Mi diverto a scrivere aforismi, è una palestra per il mio cervello, lo tiene in attività. Per un momento nella mia vita ho pensato anche di fare il copywriter: andai alle Balene, l’agenzia pubblicitaria del compianto Enzo Baldoni, parlai con la moglie, una donna intelligente e gentile che prima volle accertarsi non ci fosse alcuna parentela con il giornalista Renato Farina e solo dopo mi ascoltò. Sparai cose del tipo “cogli l’attico fuggente” e altre amenità che non rammento. Mi presero in simpatia e mi diedero dei compiti: dovevo trovare la frase giusta per pubblicizzare una giacca per bambini. Tornai a casa e iniziai a guardare il disegno di un bambino con la giacca, ma avevo il vuoto assoluto nella testa. Chiamai due miei amici molto intelligenti per aiutarmi. Dopo esserci scolati tre bottiglie di vino a uno dei miei amici venne questa frase: “Il piacere di farsi la giacca addosso!“. Eureka! Lo abbracciai. Alle Balene non la presero bene. Mi guardarono male. Ma come? A me sembrava perfetta. Per recuperare inventai sul momento uno spot dove una donna mangiava un budino e vomitava urlando: “Fa schifo questa roba!”, e la frase doveva essere questa: SIAMO TALMENTE SICURI DEL NOSTRO BUDINO CHE CI PERMETTIAMO DI FARE UNO SPOT DEL GENERE. Mi accompagnarono gentilmente alla porta, molto gentilmente, e la mia carriera di copy finì in questo modo poco glorioso.
Che volete farci? Non è la stessa cosa fare il copy o l’aforista. A ognuno il proprio mestiere, anche se la mia è solo una vanità intellettuale, non un lavoro. (Per fortuna).