Costanti sono stati in questo primo quadrimestre l’interesse nelle attività scolastiche, l’impegno a far bene, a superare le difficoltà e abbastanza buoni i risultati. Corretta è la lettura e buona la capacità di riferire i contenuti. Si esprime con discreta chiarezza e partecipa attivamente alle conversazioni. Sa operare correttamente con i numeri, conosce e sa applicare le regole dell’aritmetica. Studia con interesse storia, geografia, scienze. E’ un po’ birichino nel comportamento, ha la lingua un po’ lunga e deve raggiungere più autocontrollo”.

Correva l’anno 1986 e la maestra Teresa scriveva così nella mia pagella di quinta alla primaria “Alessandro Manzoni”. Oggi se un maestro dovesse scrivere “la lingua un po’ lunga” finirebbe al centro di una polemica, ma quelle schede senza “6”, “7” o “4”, raccontavano i traguardi del bambino.

Trent’anni dopo, finalmente, con ogni probabilità il ministero dell’Istruzione nelle prossime settimane archivierà la brutta epoca dei voti in numeri decimali sulle schede di valutazione a favore di lettere e (questa è la vera novità) “descrittori”.

Siamo di fronte ad una svolta significativa. Se, infatti, a causa dell’introduzione dei numeri ad opera dell’allora ministro Maria Stella Gelmini, si era fatto un passo indietro nel sistema d’istruzione italiano, finalmente si tornerà a mettere al centro il bambino, le sue competenze (non i contenuti appresi), tenendo conto dei percorsi individuali di ciascun allievo.

Oggi abbiamo a che fare con un esercito di insegnanti amanti della media aritmetica, calcolatori estremisti di voti che trascorrono pomeriggi e serate a definire un “6,5” o un “8, 3” supportati da tabelle con tanto di percentuali per ogni verifica.

Un “lavoro” da operai dell’istruzione che aiuta professori e insegnanti a sentirsi “protetti” nel loro somministrare giudizi oggettivi, ma non comunica ai genitori nulla se non uno sterile numero, supportato da altrettanto inutili e stringati giudizi stabiliti a priori da qualche collegio docenti, senza tener conto del soggetto, dei suoi traguardi, dei suoi percorsi.
La scelta suggerita dalle commissioni istruzione delle Camere, sostenuta da molti parlamentari di partiti trasversali che sembra ormai essere stata accolta anche dalla ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, ritorna a dare alla scuola il suo ruolo ovvero quello di aiutare i genitori a concepire il percorso scolastico come un “progetto” educativo dove la valutazione diventa un supporto, per migliorare, per comprendere le attitudini, per investire.

La soluzione delle lettere sarebbe stata già una prima svolta, ma l’idea di aggiungere dei “descrittori” va nell’ottica di ottemperare al dovere di un insegnante di essere professionale, ma allo stesso tempo offre la possibilità di comunicare al di là di un numero o di una lettera.

Certo è che la definizione di questi “descrittori” resta la partita più importante: chi li stabilirà? Il ministero? Forse sarebbe meglio che fornisse solo delle linee guida. Il collegio docenti? Si rischia di fare l’ennesima valutazione schematica lontana dalle singole necessità di una sezione piuttosto di un’altra. Il team di classe? Credo sia l’ideale perché potrebbe fornire strumenti diversi e differenti. Mi spiego: il maestro che lavora sul tema dell’ “educazione alla cittadinanza”, è giusto che inserisca un descrittore che “racconta” anche i risultati raggiunti in questo ambito che magari non è contemplato nell’insegnamento di un collega.

Per gli appassionati come me del maestro Alberto Manzi e di quel suo timbro “Fa quel che può, quel che non può non fa”, siamo lontani dall’idea di una scuola senza valutazione, ma con la valorizzazione dell’individuo; una scuola dove ogni maestro comunichi alla famiglia “solo” i punti di forza, i valori sui quali puntare e giocare la partita dell’esistenza di quel bambino ma questa scelta del ministero, rispetto allo status quo, può essere una svolta significativa.

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