L’Ocse, comparando i dati tra competenze linguistiche e matematiche dei quindicenni scolarizzati di diversi paesi, ci rivela che la scuola italiana è ancora uno strumento di rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, come recita l’art. 3 della Carta. [Qui il documento dell’Ocse]
Qualcuno ha voluto definirla una sorpresa. Per la maggior parte di coloro che militano nel movimento della scuola – pubblica, laica, democratica, inclusiva – non si è trattato di una sorpresa, ma – semmai – della conferma di quanto andiamo affermando da anni, da lunghi anni, a dispetto di tutti; e – soprattutto – del Pensiero Unico main stream, al quale i governi degli ultimi decenni hanno voluto (sotto dettatura dell’Unione Europea) ridurre la nostra scuola. È la conferma che le motivazioni e le istanze della nostra resistenza e della nostra vigilanza sono corrette e concorrono a salvaguardare la funzione e il ruolo di quella che continua a configurarsi come uno degli ultimi presidi di democrazia e di tutela dell’interesse generale.
Da anni andiamo affermando, nonostante le manovre di “contenimento di spesa” (leggi tagli draconiani) che si sono configurati in termini di perdita di diritti al lavoro dignitoso per i docenti, all’apprendimento e allo studio per gli studenti; nonostante l’autonomia scolastica, e i danni irreparabili che ha portato collocando gli istituti scolastici sul mercato, affermando i principi della competizione, dunque della legge del più forte e della sopraffazione; nonostante la dirigenza scolastica, che ha burocratizzato la scuola e le ha sottratto democrazia e libertà di insegnamento, strumenti di tutela per la collettività nazionale, configurandola come qualsiasi ambiente di lavoro privato, dove sopravvive e vince chi è omologato, silente, esecutore acritico; nonostante il taglio di sapere e conoscenze, surclassati ora dalla prevalenza dell’”invalsizzazione” degli apprendimenti sul pensiero critico analitico, dalla vittoria delle competenze e delle più amene, scontate e acritiche sottomissioni al pensiero pseudopedagogico di matrice anglosassone, ora dall’avviamento precoce al lavoro decontrattualizzato, demansionato, deregolamentato (per la formazione immediata di manovalanza inconsapevole dei propri diritti e quindi più propensa ad essere sfruttata); nonostante l’infatuazione per una modernità ottusa e marciscente, demagogica e orba, che imbottisce le scuole di LIM ma impedisce la riflessione e il rigore, nonché la bonifica dell’amianto e la messa in sicurezza delle scuole; nonostante – infine – un sistema di deleghe alla legge più odiosa che la scuola abbia dovuto subire, che hanno sancito che non esiste più il principio di uguaglianza e quello di inclusione nella scuola (il sostegno), che la scuola dell’infanzia non è più parte integrante del sistema scolastico nazionale e che i test Invalsi standardizzati avranno un’importanza sempre maggiore nel percorso scolastico, concluso da un esame (ancora per poco) di Stato, per la cui ammissione basta la media del 6.
Ebbene, nonostante tutto questo e molto altro l’Ocse afferma che la scuola italiana continua a funzionare e – soprattutto – che risulta decisiva come “ascensore sociale”, come strumento di emancipazione per gli studenti provenienti dalle classi sociali più svantaggiate. Detto in altre parole: la scuola italiana (con il suo indice 0,45 relativo alla sperequazione in termini di competenze linguistiche tra quindicenni provenienti da ambienti socio-economici differenti, a fronte di uno 0,48 della media Ocse) è più inclusiva di quella danese (0,64) o tedesca (0,49). Un risultato eccellente, confermato anche dalle competenze matematiche, considerando la pervicace rincorsa all’annullamento delle pari opportunità per tutti perseguita dalle riforme che si sono susseguite negli anni e lo smontaggio – la quasi distruzione – del sistema di istruzione tecnico-professionale; quello destinato ad accogliere (dati Istat alla mano) gli studenti più svantaggiati e per ciò teoricamente più bisognosa di investimento economico e culturale. Il divario, però, ci informa l’Ocse, è destinato invece ad aumentare quando i soggetti escono dal circuito scolastico entrando nel mondo del lavoro.
Non si tratta di una sorpresa, dicevo. L’anticorpo all’orrore dei provvedimenti, solo accennati in precedenza, che i governi degli ultimi decenni hanno assunto sulla scuola è temperato infatti dai principi enunciati nella Costituzione Italiana, agli artt 3, 9, 33 e 34. Quella Carta costituzionale che il mondo della scuola ha contribuito a difendere dall’aggressione autoritaria e neoliberista sventata dagli elettori il 4 dicembre 2016. Quella Carta costituzionale che costituisce un progetto di società democratica, laica, inclusiva, equa, fondata sulla dignità delle persone e del lavoro.
Il 4 dicembre il nostro Paese ha detto no alla manipolazione della Costituzione, ma anche No alle politiche sociali portate avanti da chi, con un trionfalismo veramente inopportuno, ieri ha commentato dai social i dati Ocse: “La notizia più bella riguarda la scuola visto che oggi l’Ocse ci promuove. Continuo a pensare che sulla scuola abbiamo fatto molto ma abbiamo anche sbagliato approccio. Punti come il merito, l’alternanza scuola lavoro, la fine del precariato, il potenziamento degli insegnanti, la formazione, l’edilizia scolastica, il diritto allo studio, lo ZeroSei sul modello di Reggio Emilia sono tuttavia per me molto importanti. Con Maurizio Martina – e coinvolgendo il ministro Fedeli – faremo nelle prossime settimane un’iniziativa su questi temi. Da quali temi ripartireste? Mi indicate un punto positivo e uno negativo tra quelli che vi hanno colpito della riforma della scuola?”. Matteo Renzi non ha semplicemente sbagliato approccio. Assieme ai suoi sodali, è stato l’esecutore materiale della più clamorosa picconata (sferrata con voto di fiducia) a quella scuola che, nonostante lui, continua a resistere e ad esistere. Questo deve essere ben chiaro. E il merito di quei dati confortanti – per tutta la collettività nazionale, non solo per la scuola – è esclusivamente delle maestre e dei maestri, dei docenti tutti, che hanno continuato a credere nei principi espressi dalla Carta; e a praticarli quotidianamente con i propri studenti e nelle proprie scuole.
Una delle prossime scadenze politiche strategiche perché il nostro Paese esca dal declino economico e morale a cui lo hanno condotto le politiche di governo degli ultimi 20 anni deve essere perciò la piena e intenzionale ricostruzione della scuola della Repubblica. Ci sono diverse istanze che vanno in questa direzione, discutendo e articolando proposte: tra queste il testo della Legge di Iniziativa Popolare per la Scuola della Costituzione, alla cui redazione ha partecipato chi scrive e che testimonia con l’attuale articolato e con la sua storia come l’afflato verso un’istruzione che sia autentica garanzia e consapevole presupposto della cittadinanza attiva e partecipata ha attraversato tutta la mobilitazione di quest’ultimo decennio.