Nuove accuse vengono mosse al monsignore mazarese, già indagato per appropriazione indebita nel dicembre 2015. "Chiederemo un interrogatorio per chiarire quanto oggi viene contestato dalla Procura di Marsala", dichiarano i suoi avvocati. Sempre in Sicilia, chiusa indagine sull'ex vescovo già rimosso dall'incarico due anni fa
Nuove accuse vengono mosse al vescovo della diocesi di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero. Il monsignore, già indagato per appropriazione indebita nel dicembre 2015, deve ora rispondere anche di truffa e abuso d’ufficio. Intanto, sempre in Sicilia, si è chiusa un’altra indagine, quella sull’ex vescovo di Trapani Francesco Miccichè, già rimosso dall’incarico due anni fa in seguito alle accuse di appropriazione indebita e malversazione.
Mogavero, ex sottosegretario della Conferenza episcopale italiana noto per le sue prese di posizione contro l’ex premier Silvio Berlusconi e per le battaglie a tutela dei migranti, aveva sempre spiegato, tramite il suo avvocato, di essere stato lui stesso a denunciare alla procura una serie di presunte irregolarità nei conti della diocesi. E in effetti l’indagine condotta dalla Guardia di finanza aveva scovato nei libri mastri della Curia molte voci sospette. Le nuove accuse riguardano però la parrocchia San Lorenzo, un’opera realizzata nel quartiere Trasmazzaro-Miragliano. Cinque anni di lavoro, tre milioni di euro tra fondi della Cei e contributi regionali, 500mila dei quali finiti altrove, secondo la tesi accusatoria.
La nuova ipotesi di reato, contestata anche al predecessore di Mogavero, mons. Calogero La Piana, vescovo di Mazara dal 2002 al 2006 prima di essere spostato a Messina, all’architetto Francesco Scarpitta e all’ingegnere Bartolomeo Fontana che hanno curato il progetto e la realizzazione della chiesa, è contenuta nell’avviso di conclusione delle indagini che è stato notificato a tutti gli indagati a firma del sostituto procuratore Antonella Trainito. Secondo l’accusa, il contributo alla Cei fu chiesto da monsignor La Piana e la parrocchia di San Lorenzo fu costruita dal 2007 al 2011 e inaugurata da monsignor Mogavero nel 2012. La truffa consisterebbe nel richiedere alla Regione siciliana il contributo per la realizzazione dell’opera che era già stata finanziata dalla Cei con quasi un milione e mezzo di euro dell’8 per mille.
L’avviso di conclusione delle indagini riunisce tutti gli episodi contestati alla gestione economica del vescovo di Mazara. Gli investigatori hanno cercato di districarsi tra i tanti conti correnti, tutti riconducibili alla Curia, che hanno movimentato centinaia di migliaia di euro dei fondi della Diocesi da e per conti privati, e di cui Mogavero ha sempre dichiarato di essere all’oscuro. Tutte operazioni che, scrive Repubblica, sarebbero state effettuate sotto l’egida dell’ex economo don Franco Caruso. Accusato di malversazione, Caruso di fronte agli inquirenti sostiene invece che il presule mazarese fosse a conoscenza di tutto.
“Chiederemo un interrogatorio del vescovo per chiarire quanto oggi viene contestato dalla Procura di Marsala”, ribattono gli avvocati Stefano Pellegrino e Nino Caleca che difendono il vescovo. “La vicenda – spiegano i legali – ha avuto inizio con la richiesta e l’ottenimento dei finanziamenti alla Regione Siciliana e alla Cei da parte del vescovo La Piana. La Cei non è stata mai tratta in inganno perché, anche se fosse stata portata a conoscenza del contestuale contributo regionale, avrebbe ugualmente concesso l’ulteriore finanziamento”. “Peraltro, la stessa Procura dà atto, per averlo accertato – affermano i due difensori – che nessuna somma è stata oggetto di appropriazione da parte del vescovo Mogavero o degli altri indagati, dato che tutte le somme erogate, sia quelle regionali che della Cei, sono state impiegate regolarmente nella realizzazione dell’opera”.
Intanto è stata chiusa anche l’indagine sull’ex vescovo di Trapani Miccichè, rimosso dall’incarico due anni fa dopo le accuse che ruotavano attorno alla presunta gestione poco trasparente dei fondi dell’8 per mille di cui Miccichè, secondo l’ipotesi accusatoria, si sarebbe appropriato. A Miccichè viene contestata anche la diffamazione e calunnia – reati per i quali c’è una richiesta di rinvio a giudizio – nei confronti di un altro sacerdote, don Antonino Treppiedi, che in un primo tempo era stato indicato dal vescovo come il responsabile degli ammanchi in Curia e che poi si è trasformato in un teste d’accusa nei confronti di Miccichè.