I migranti sono una risorsa o una calamità? Io ritengo che possano essere una risorsa, ma solo se vengono integrati.
Ben inteso: ci sono profughi di guerra e migranti economici. Per quanto ai nostri occhi possano apparire identici gli uni scappano da una guerra e i secondi scappano da una situazione sociale ed economica oppressiva. Chi arriva dalla Siria, in questi anni, è un profugo di guerra. Chi arriva dal Messico (una nazione che è motivo d’interesse per il presidente Trump) scappa da una situazione economica e sociale preoccupante, ma non vi sono guerre laggiù (eccezion fatta per le guerre dei cartelli della droga in zona Juarez, ma li son cose “locali”).
Sia come sia, abbiamo alcune migliaia di persone che sbarcano in Italia: ci vogliono restare? A sentire varie interviste, no! Vorrebbero andare a Nord, dove hanno sentito che i trattamenti per i migranti e le condizioni loro offerte sono più positive che in Italia.
Ma se i migranti potessero essere integrati (a costi minimi) dalla società civile? Per intenderci, i privati?
Un primo passo sarebbe capire chi sono e schedarli (nel senso buono del termine, un’analisi delle risorse: chi sa fare cosa, per intenderci), come proposto anche dalla Germania in passato – certo, si deve dire che la Merkel ha qualche problema con le sue politiche di porte aperte.
Un approccio del tutto civile, privato (cioè dove lo stato non c’entra) proviene da un gruppo di giovani appartenenti alla realtà dei Global Shapers. Creati in seno al World Economic Forum di Davos, i Global Shaper hanno hub in tutto il mondo. Gli hub italiani hanno lanciato il progetto Refug.it: raccogliere e condividere best pratice che possono essere utili ai differenti operatori che si occupano di migranti. Intendiamoci: le risorse sono limitate, quindi hanno un raggio d’azione operativo intorno a dove sono gli hub (Milano, Venezia, Torino, Roma, Genova).
I GS interagiscono con i centri e le Ong che operano nel sito di accoglienza. Tra le iniziative innovative, uno starter kit per migranti. In pratica, le cose utili (dalla situazione del traffico digitale ai punti di riferimento locali) che possono tornare utili ai migranti per orientarsi.
L’integrazione dei migranti può cominciare nei centri, ma deve per forza passare per una normalizzazione della loro vita. Il lavoro è il primo elemento (insieme alla scuola se parliamo di minori e giovani) che riporta la normalità. Ho pensato, quindi, di guardarmi intorno per vedere di trovare casi di successo.
Senza fanfare e con un approccio pratico, un imprenditore alto atesino si è posto il problema e ha dato una soluzione. Heiner Oberrauch, fondatore dell’omonimo gruppo, si è posto una semplice domanda: “Se gli immigrati non lavorano, cosa fanno?“.
“Come esperienza abbiamo preso una famiglia di profughi che sono a casa nostra” – mi spiega Heiner – “Il più grande problema è che non hanno nulla da fare. Dopo 4-3 mesi che non fanno nulla, cadono in depressione”. In effetti, stare senza far nulla tutto il giorno non è il massimo della vita.
“Abbiamo un terreno davanti al nostro Headquarter di circa mezzo ettaro” – continua Heiner – “Lì possono coltivare verdura insieme ad un esperto che li aiuta ed insegna. Mettiamo loro a disposizione una recinzione, del concime e il tecnico. Il raccolto potrà essere venduto a km 0, direttamente dall’orto, ai gruppi Gas (Gruppo d’acquisto solidale), alla mensa aziendale o ad enti sociali. È arrivata anche una richiesta da un ristorante gourmet, uno chef stellato si è fatto vivo per comprare la verdura. Ci saranno 15-20 persone a prendersi cura dell’orto”.
Certo, non sta sicuramente parlando di un esercito di migranti, però è pur sempre un inizio. Ogni lavoratore avrà un ciclo di giorni lavorativi, in modo che tutti possano fare esperienza.
“Grazie alle associazioni che già operano con i profughi, come Caritas e Volontarius, possiamo essere sicuri che i migranti che ci inviano sono persone collaborative e interessate al progetto. Proprio in questi giorni hanno iniziato e per me la cosa più bella è vedere la gioia nei loro occhi” – conclude Heiner.
Cose piccole. Ora, ammetto che mi piacerebbe trovare altri casi come il suo (sono sicuro che il suo caso non è un fenomeno isolato). Il lavoro è anche questo: normalità.