Cronaca

Terrorismo, gli arrestati: “La miglior bevanda è il sangue dei miscredenti. Noi comunque dobbiamo morire”

Parlavano di Jihad, postavano inni al martirio sui social, ammiravano chi muore nei teatri di guerra islamica e pensavano a un attentato al Ponte di Rialto, secondo la Procura di Venezia, i quattro cittadini kosovari arrestati. Fisnik Bekaj si è avvalso della facoltà di non rispondere davanti al gip. Altri quattro indagati saranno probabilmente espulsi

“La migliore bevanda è il sangue dei Kefir (miscredenti, ndr)”, “Noi comunque dobbiamo morire“, “Hai visto cosa hanno fatto Londra?” “Hanno fatto proprio bene”, “Chi combatte sulla strada di Allah e viene ucciso è martire e trionfa”. Parlavano di Jihad, postavano inni al martirio sui social, ammiravano chi muore nei teatri di guerra islamica e pensavano a un attentato al Ponte di Rialto, secondo la Procura di Venezia, i quattro cittadini kosovari arrestati ieri a Venezia su ordine del gip Alberto Scaramuzza.

Oggi Fisnik Bekaj, considerato la guida spirituale del gruppo, è stato zitto davanti al giudice. Eppure era lui che spiegava di voler partire per Siria; era lui che, dopo aver subito un perquisizione nel 2015 sembrava essersi ulteriormente radicalizzato, ed era lui che dopo un misterioso viaggio nel maggio del 2016 era rientrato con una mano ferita. Per aver combattuto, questa l’ipotesi degli inquirenti, in Siria.

Le conversazioni tra tutti gli indagati, gli altri quattro che non sono stati arrestati verranno espulsi, erano tutte dello stesso tenore e cementate da un odio potente contro l’Occidente, ma anche contro la Russia di Putin (“Che Allah lo distrugga”) e la Turchia di Erdogan (“Così la Turchia agisce contro la Sunna: morbida con i miscredenti e dura con i musulmani”). “Per i musulmani è un obbligo distruggere le chiese e trasformarle in moschee” scriveva in uno dei tanti post su Instagram qualche giorno fa. Questo perché i social venivano considerati a tutti gli effetti come luoghi di combattimento: “Io consiglio di lavorare continuamente in Internet perché anche questo è jihad, e non è niente di meno di quello che fanno nei campi di battaglia con il permesso di Allah” scriveva Bekaj in un post il 31 gennaio 2017. “È però significativo il fatto che ammettere la possibilità di fornire prove di jihad anche al di fuori dei teatri di guerra, per questo giudice, è un concetto-premessa della possibilità di fornire prove non solo facendo proseliti su Internet; poiché “lavorare continuamente” in contesti diversi dai teatri della guerra tradizionale significa altresì fornire prove di jihad anche in diversi teatri al di fuori della guerra tradizionale e quindi – scrive il gip nell’ordinanza – nei paesi occidentali attraverso attentati attraverso i quali ogni musulmano potrà fornire una valida prova del jihad”.

L’attenzione di polizia e carabinieri si sta ora concentrando sul materiale sequestrato nelle due abitazioni, a San Marco, dei tre arrestati. Nelle abitazioni sono stati trovati numerosi documenti ed almeno un paio di computer portatili i cui hard disk sono ora nelle mani degli esperti. Dall’account Istagram di Dake Haziraj gli investigatori sono risaliti ad un ulteriore profilo cogestito con Bekaj seguito da ben 18mila persone. I contenuti emersi sono relativi a riflessioni sul Corano e sull’Islam per poi passare alla denuncia del comportamento “immorale” dell’Occidente nei confronti dei musulmani in Siria fino a parteggiare apertamente per i combattenti del cosiddetto Stato Islamico.