Di che cosa si occupano le logge massoniche nei loro incontri riservati? “Lavoriamo sulle coscienze per diventare uomini migliori. Parliamo di cultura e di diritto. Lunedì, alla mia officina (sinonimo di loggia, ndr) parleremo del diritto alla felicità nella Costituzione americana”. A rispondere è l’avvocato Antonino Salsone, presidente della circoscrizione Lombardia del Grande Oriente d’Italia. Venerdì 31 marzo il massone è stato invitato a dialogare per la prima volta con David Gentili, presidente della commissione antimafia del comune di Milano, nell’ambito del quinto Festival dei beni confiscati del capoluogo lombardo. La più grande organizzazione massonica italiana prova a parlare di sé proprio nel momento in cui sente che la commissione parlamentare Antimafia l’ha messa sotto tiro, pretendendo che il Grande Oriente d’Italia consegni all’autorità gli elenchi dei propri iscritti. L’investitura di Salsone è arrivata dall’alto: “Sono stato incaricato dal Gran Maestro Stefano Bisi in persona di parlare a nome del Grande Oriente d’Italia”, spiega.
La platea che lo ascolta non è usuale. Di circa ottanta i presenti, solo quattro o cinque sono donne. E un motivo si spiega: nel mondo della “libera muratoria” esistono logge solo per donne. Nonostante sia un venerdì sera e l’atmosfera del festival non sia assolutamente formale, i presenti sono di un’eleganza impeccabile. Troppo impeccabile. “L’80% dei presenti è massone”, rivela dunque Salsone. “Noi non siamo un’associazione segreta, semplicemente non ostentiamo la nostra appartenenza – prosegue – Sui nostri siti internet potete trovare i nomi di almeno mille iscritti che ricoprono ruoli istituzionali”. In totale gli iscritti sono 23 mila, divisi in 855 officine. E questo solo per il Goi, che in Lombardia conta 72 logge e oltre duemila iscritti. Le altre tre “obbedienze” ufficiali (Loggia Alam, Gran Loggia Regolare d’Italia, Serenissima Gran Loggia Reggia regionale d’Italia) sono nate con scissioni dal Goi e hanno un numero di iscritti di gran lunga inferiore. Chi non rientra in queste quattro obbedienze, appartiene a logge “spurie”, che – secondo una stima dello stesso Grande Oriente – sono almeno 140 in tutta Italia.
Al Festival dei beni confiscati, i presenti seguono le parole del presidente Salsone in religioso silenzio. Si leva qualche bisbiglio quando qualcuno interrompe il presidente oppure quando David Gentili fa delle domande su Giuliano Di Bernardo, ex Gran Maestro. Dimessosi nel 1993, a gennaio Di Bernardo è stato ascoltato dalla commissione Antimafia. “Diverse sono le ragioni che portarono alle mie dimissioni da Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, ma quella che fu determinante fu connessa con l’inchiesta del procuratore di Palmi Agostino Cordova. Vedo oggi ripresentarsi le stesse condizioni del 1992, quasi fosse una fotocopia”, ha dichiarato ai parlamentari di palazzo San Macuto. Parole che hanno aumentato i dubbi attorno all’organizzazione e ai suoi iscritti. Per il Grande Oriente d’Italia, Di Bernardo è “uno scismatico”, perché lasciato il Goi in concomitanza con l’inchiesta (poi archiviata nel 2000, ndr) ha fondato una sua obbedienza, la Gran Loggia Regolare d’Italia, screditando poi i “fratelli” del Grande Oriente. “L’Antimafia – dice Salsone – non può dimenticarsi di quanto l’organizzazione abbia fatto per il Paese. Noi giuriamo sulla Costituzione di questa Repubblica”. E cita, come massoni insospettabili che hanno contribuito a fondare l’Italia, Pietro Calamandrei, il presidente della Commissione dei 75 che scrisse la Costituzione Meuccio Ruini, Giorgio Amendola e persino l’apneista Enzo Maiorca: tutte persone ormai morte visto che un massone non può rivelare l’appartenenza all’ordine di un fratello.
“Anche noi – continua Salsone– abbiamo i nostri caduti nella lotta alla mafia e non lo dico per legittimarci perché non ne abbiamo bisogno”. L’avvocato Salsone un caduto per mano delle organizzazioni criminali lo ha avuto in famiglia. Una storia che condivide poco volentieri, ma che resta nelle pagine dei giornali. Il padre Filippo Salsone, maresciallo della polizia penitenziaria, stava rientrando a casa con i figli la sera del 7 febbraio 1986, quando venne colpito da una scarica di colpi: resta ucciso mentre il figlio Paolo – fratello dell’attuale presidente del Goi in Lombardia – rimane ferito. A sparare, dirà l’inchiesta, sono stati uomini di un clan camorristico. Oggi la casa circondariale di Reggio Calabria, dove lavorava, gli è stata dedicata. E non è l’unica sorpresa. Per quanto nei templi della “libera muratoria” “non entrino i metalli”, come in gergo sono definiti argomenti divisivi come politica e religione, un signore, all’uscita, si avvicina e dice: “Vi stupireste a sapere quanti compagni ci sono tra gli iscritti”.