Al ministero del Lavoro non hanno dubbi. “Garanzia Giovani? Certo che ci crediamo ancora”. Ed è per questo che il governo italiano, d’accordo con l’Unione Europea, ha deciso di rilanciare il programma inaugurato il Primo maggio 2014 con l’obiettivo di avvicinare i giovani inattivi (Neet) tra i 15 e i 29 anni al mercato del lavoro. Nuovi fondi e nuove regole, dunque. Ma in rete c’è già chi, ironicamente, parla di “accanimento terapeutico”, scherzando – ma non troppo – sul sostanziale fallimento fatto registrare in molte parti d’Italia dal programma: lungaggini burocratiche, attese infinite per attestati di formazione che non arrivano, rabbia per tirocini non retribuiti. Eppure i tecnici di Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro, che fa capo al ministero guidato da Giuliano Poletti, promettono che “la fase 2” andrà meglio. E aggiungono: “L’avvio di Garanzia Giovani è stato problematico per tanti motivi, non si può negarlo. Ma la delusione di tanti ragazzi è stata dovuta anche alla propaganda politica, che ha creato intorno a questo programma eccessive aspettative per quanto riguarda l’occupazione giovanile. Inevitabile che poi si generi frustrazione”.
Rifinanziamento per la Fase 2. Ma è ancora incognita sulle cifre
I dati forniti da Anpal sulla prima fase del programma sono aggiornati a marzo di quest’anno. Da maggio 2014 ad oggi, oltre un milione e 100mila under 30 si sono registrati a Garanzia Giovani. Di questi, ne sono stati presi in carico dalle varie agenzie accreditate poco meno di 900mila, e a 413mila è stata “erogata una misura” (un tirocinio, un corso di formazione, un apprendistato…). Ha ancora connotati incerti, invece, la nuova fase di Garanzia Giovani. Negli uffici regionali, chi dirige l’attuazione del programma spera che si faccia chiarezza al più presto. Dice Santo Romano, responsabile per il Veneto: “Bisogna pianificare sul lungo periodo, ma per il momento si è costretti a navigare un po’ a vista. L’incertezza non aiuta”. In realtà, neanche Anpal dispone, per il momento, di un quadro definitivo. Il progetto viene cofinanziato da Ue, Stato e Regioni. Per quanto riguarda la fase 2, la Commissione europea ha avanzato una proposta che deve ancora essere approvata dal Parlamento di Strasburgo. Prevede, per l’Italia, 560 milioni. Poi c’è un fondo comunitario di 1 miliardo (ma alcuni Stati membri vorrebbero triplicarlo) che andrà ripartito tra i vari Paesi in modo proporzionale al tasso di disoccupazione registrato nel 2016. Infine, l’intervento del governo di Roma, che potrà immettere una quota variabile, fino al 40% del totale del finanziamento europeo. “Stime attendibili? Andiamo coi piedi di piombo”, precisa Marianna D’Angelo, responsabile dei Garanzia Giovani a livello nazionale. “Grosso modo, parliamo comunque di un miliardo”.
Quando parte la Fase 2? “Speriamo a luglio”. La preoccupazione delle Regioni: “Se si va oltre giugno, possono esserci problemi”
L’altra incognita riguarda i tempi. Quando verrà inaugurata, effettivamente, la Fase 2? “Difficile dirlo, l’iter comunitario in questi casi è piuttosto lungo”, spiega D’Angelo. Il governo italiano sta facendo pressing su Bruxelles perché i finanziamenti vengano erogati a giugno. Nella logica della trattativa, si spera almeno di poter partire a luglio. Ma non è esclusa la prospettiva peggiore: che, cioè, slitti tutto ad agosto o addirittura a settembre. Scenario, questo, che metterebbe in seria difficoltà quelle Regioni che sono state più attive nell’attuazione del programma. È il caso della Toscana, ma anche della Lombardia, i cui tecnici spiegano: “La programmazione in questo settore è già di per sé molto delicata. Stiamo attivando procedure che ci permettano di coprire il periodo d’attesa. Ma se i soldi arrivano dopo l’estate, potranno esserci dei problemi”. In Emilia Romagna, già dall’autunno del 2016 si è dovuti correre ai ripari, dirottando su Garanzia Giovani dei soldi prelevati da altri fondi strutturali della Regione.
Ritardi nei pagamenti dei tirocini? Alcune Regioni sperimentano procedure alternative. Risultato? “Una evidente varietà di norme”
Non c’è praticamente città italiana in cui non si registrino – con frequenza variabile – ritardi nei pagamenti dei tirocini attivati tramite Garanzia Giovani. Spiega D’Angelo: “L’iter coinvolge molti soggetti: Regione, soggetti promotori accreditati (agenzie per il lavoro o centri per l’impiego), datori di lavoro, Inps, Poste. Insomma: c’è una gran mole di documenti che vengono trasmessi da un ente all’altro. Alla minima incongruenza, magari dovuta a un errore banale nella compilazione di un cedolino, la procedura s’inceppa”. E i ritardi si accumulano. C’è chi ha provato a ovviare a questi problemi. Alcune Regioni, come Lombardia e Piemonte, obbligano le imprese che partecipano a Garanzia Giovani a pagare subito il tirocinante per poi attendere il risarcimento da parte delle Regioni stesse. Le imprese non sono entusiaste: a Milano e dintorni, l’attesa media per i rimborsi è di 6 mesi, come confermano i responsabili lombardi del programma. “Ma almeno – aggiungono – tuteliamo i ragazzi, che sono l’anello più debole di tutta la catena”. Altre Regioni sono rimaste al modello iniziale, per cui è l’Inps a erogare gli indennizzi per i tirocini sulla base della documentazione prodotta dalle imprese e vagliata dagli uffici regionali. Altre, infine, si affidano a sistemi misti. Ma è solo uno dei tanti esempi della grande diversità di procedure seguite da questa o quella Regione. In Anpal confermano: “Sì, la varietà di norme è evidente”.
La fallita centralizzazione e la difficoltà di omologare le norme: “Imporre modelli unici? La cura rischia di ammazzare il cavallo”
Non sarebbe il caso di omologare? Nei disegni del governo, la riforma costituzionale avrebbe dovuto portare ad una gestione centralizzata, in capo ad Anpal, di molte procedure connesse a Granzia Giovani. La vittoria del No al 4 dicembre, però, ha stravolto i piani, dando alle Regioni nuovo slancio nei tavoli di contrattazione col ministero del Lavoro. Dice D’Angelo: “Noi emaniamo delle direttive generali, ma consentiamo un certa flessibilità nella loro applicazione. Del resto, non possiamo ignorare i diversi contesti economici e occupazionali”. Un esempio? “Alcune Regioni hanno deciso di erogare i fondi alle agenzie per il lavoro solo dopo che queste hanno attivato un tirocinio. Tecnicamente, si chiamano ‘procedure a risultato’, e sono senz’altro più efficienti di quelle ‘a contatto’, che invece prevedono il finanziamento all’inizio del percorso, dunque indipendentemente dall’esito del processo”. Ebbene? “Sarebbe logico imporre questo modello a livello nazionale. Ma in alcuni territori, l’attivismo delle imprese è assai scarso. Se impedissimo alle agenzie del lavoro di ricevere i fondi all’inizio dell’iter, le condanneremmo a morte. Insomma, la cura rischierebbe di ammazzare il cavallo”.