Immagini atroci, di quelle che non si vorrebbero mai vedere. Sono le foto e i video arrivati alla redazione de ilfattoquotidiano.it e che documentano la mattanza in corso nella Repubblica Democratica del Congo. Immagini, alcune delle quali non possiamo mostrarvi, ben più crude di quelle che già stanno circolando in rete in queste ore. Immagini di uccisioni, di corpi massacrati, ammassati, gettati dai camion in fosse comuni.
Siamo nel Kasai, provincia centrale di quell’enorme Paese che è la RDC. Una regione fino a non molto tempo fa tranquilla e risparmiata dalle guerre che da vent’anni insanguinano soprattutto l’est del Paese. Tutto però è cambiato dalla scorsa estate, quando uno chef coutumier, un capo tradizionale locale, è stato ucciso dai militari regolari: i suoi fedelissimi, unendosi in una milizia chiamata Kamuina Nsapu, hanno iniziato una rivolta che per qualche mese è rimasta più o meno “a bassa intensità”. Fino all’inizio di quest’anno, quando nella regione è stato inviato un reggimento delle FARDC, l’esercito regolare. Ed è iniziata la mattanza.
Ilfattoquotidiano.it ha raccolto la testimonianza di un volontario italiano che proprio in queste ore è su un volo che lo riporta a casa. L’uomo (che chiede di restare anonimo per motivi di sicurezza) era in missione con la famiglia per conto del COE (il Centro di Orientamento Educativo), associazione che gestisce un ospedale a Tshimbulu, proprio la zona epicentro degli scontri. E nel mezzo alle violenze si sono ritrovati anche loro. “Il secondo giorno di scontri in città”, racconta, “abbiamo ricevuto la visita dei miliziani che hanno cercato di entrare in casa, hanno cercato di forzare le porte, ma le avevamo blindate. Li ho visti dalla finestra, erano una trentina, con loro diversi bambini di meno di dieci anni”. E prosegue: “Il giorno successivo il colonnello della polizia e un colonnello dell’esercito sono venuti per accompagnarci a Kananga (il capoluogo di provincia), su un camion militare con a bordo un capitano, il colonnello dell’esercito e numerosi militari di scorta. Nel viaggio siamo stati bersaglio dei tiri dei fucili tradizionali dei miliziani per almeno 40 km. I militari hanno risposto al fuoco con migliaia di colpi e cinque di loro sono stati feriti. Gli ufficiali che erano in cabina con noi ci hanno assicurato che i colpi non potevano entrare in cabina perché blindata. Siamo rimasti a Kananga tre notti, poi ci hanno accompagnati all’aeroporto da dove siamo partiti per la capitale Kinshasa. Durante i due giorni di permanenza a Kananga, la città è stata attaccata due volte con decine di vittime. Potevamo essere uccisi tutti, sarebbe bastato che i miliziani avessero sbarrato la pista con un grosso tronco e ci avrebbero sterminati.”
Il caos nella regione è culminato con il sequestro, il 12 marzo, di due esperti inviati dalla Nazioni Unite per investigare sulle fosse comuni. I corpi di Michael Sharp, 34 anni, statunitense, e Zaida Catalan, 36 anni, svedese di origine cilena, sono stati ritrovati una settimana fa, insieme a quello dell’interprete congolese Bete Tshintela. La svedese è stata decapitata. Un orrore che ha scosso tutte le più alte istituzioni e ha gettato un faro sui massacri in corso nel Kasai. Sono seguite prese di posizione ufficiali da parte delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti, anche del procuratore della Corte Penale Internazionale dell’Aja. Il 2 aprile anche il viceministro degli esteri italiano, Mario Giro, ha diffuso un comunicato molto preoccupato sull’aggravarsi della situazione in RDC. E il Papa, durante la visita a Carpi, ha ricordato il travagliato Paese.
Per meglio comprendere il perché di queste stragi, abbiamo raggiunto al telefono don Jeanot Mandefu, che dopo un dottorato in Italia è tornato nel suo paese e insegna all’università di Kananga, nel locale seminario e nell’accademia militare, dove è cappellano. Un punto d’osservazione privilegiato, il suo. E da lui viene la denuncia che pochi giorni fa i militari sono entrati all’università rastrellando gli studenti. All’opposizione di don Jeanot Mandefu, il comandante ha risposto: “Sono tutti miliziani. Ora li fermiamo tutti, poi vedremo”. La popolazione dell’intero capoluogo è in fuga, i militari passano casa per casa, saccheggiano, uccidono e violentano, ci spiega ancora il sacerdote. Le voci si rincorrono, ben difficili da verificare. Una fonte anonima che ci viene riportato essere interna all’esercito parla di 2500 morti in due notti a Kananga. Intanto l’Ufficio congiunto delle Nazioni Unite ai diritti umani, che sta documentando le fosse comuni, ha fatto sapere che sono passate da 7 a 23.
Come spesso capita in questi casi, le due forze in campo (militari e miliziani) si rimpallano le responsabilità. Ma a metà febbraio in rete è circolato un video che mostra alcuni militari mentre sparano su civili disarmati. Non solo: un video in possesso de ilfattoquotidiano.it (che non può essere mostrato per la sua crudezza) documenta uomini in divisa militare che si accaniscono su giovani inermi, li massacrano e li gettano in una fossa comune. Anche secondo don Jeanot non ci sono dubbi sulle responsabilità: i miliziani non hanno armi, usano coltelli e machete, mentre i massacri in corso sono sistematici e organizzati. Impossibile dire quante persone siano state uccise finora, perché i corpi vengono fatti sparire.
Il caos fa il gioco del governo, che cerca ogni pretesto per rinviare il voto. Il Paese infatti si trova in una fase politica delicatissima: il secondo e ultimo mandato del presidente Joseph Kabila è scaduto lo scorso dicembre, ma finora non sono state indette nuove elezioni. Dopo mesi di faticosissime trattative, si era giunti a un accordo fra maggioranza e opposizione, detto l’“accordo di San Silvestro”, che prevedeva un anno di transizione e elezioni entro la fine del 2017. Ma tutte le fasi stabilite dall’accordo non vengono rispettate dal governo. Il Paese è sull’orlo del caos.
Ci sintetizza bene la situazione Rosella Scandella, presidente del COE: “Il Kasai è la regione di origine di Tshisekedi, lo storico oppositore morto da poco (a cui è subentrato il figlio) e lì la gente ha una forte opposizione a Kabila. I soldati sparano senza ritegno sulla popolazione e verrebbe da pensare che il motivo sia quello di far fuori quanti più giovani possibile in una regione scomoda perché si oppone al potere centrale”.