Centinaia di civili sono stati uccisi da attacchi aerei all’interno delle loro case dopo che il governo iracheno aveva detto di non lasciare Mosul durante l’offensiva, per strapparla allo Stato islamico. Si sono fidati dei proclami alla radio e dei volantini che piovevano dal cielo. E sono morti, bombardati nelle loro abitazioni dalla coalizione a guida statunitense. Centinaia, già prima di uno dei più sanguinosi attacchi degli ultimi anni, quello del 17 marzo sul quartiere di Jadida: oltre 150 vittime.
Stiamo parlando di crimini di guerra.
Intere famiglie sono state eliminate nelle loro case, sbriciolate dagli attacchi aerei della coalizione. Coalizione che, avendo le autorità irachene ripetutamente invitato la popolazione civile a rimanere in casa anziché a fuggire, avrebbe dovuto sapere che gli attacchi avrebbero probabilmente causato un alto numero di vittime. Lasciare Mosul prima dei combattimenti era già stato estremamente difficile per la popolazione civile, a causa delle punizioni che lo Stato islamico infliggeva a chi provava a farlo.
Wa’ad Ahmad al-Tai, un abitante del quartiere di al-Zahra a Mosul Est, è tra i tanti civili che hanno seguito l’indicazione del governo iracheno di rimanere:
“Abbiamo seguito le istruzioni del governo: ‘restate in casa ed evitate lo sfollamento’. Secondo queste istruzioni, chi non aveva niente a che fare con Daesh [il nome arabo dello Stato islamico] doveva rimanere a casa. Lo hanno detto alla radio e poi hanno anche lanciato dei volantini”.
A causa dell’intensificarsi dei bombardamenti, Wa’ad Ahmad al-Tai, suo fratello Mahmoud e le loro famiglie si sono trasferiti nell’abitazione a due piani di un terzo fratello pensando che sarebbe stata più sicura.
“Eravamo tutti quanti in una stanza sul retro, tre famiglie per un totale di diciotto persone. La casa accanto è stata bombardata ed è crollata sulla nostra, esattamente nella stanza dove ci eravamo riparati. Sono morti mio figlio Yusef di nove anni, mia figlia Shahad di tre, mio fratello Mahmoud, sua moglie Manaya, il loro figlio Aws di nove anni e mia nipote Hanan che ha protetto col corpo la sua figlia di cinque mesi che, grazie a Dio, è sopravvissuta”.
Hind Amir Ahmad, una donna di 23 anni, ha perso undici parenti in un attacco aereo della coalizione risalente al 13 dicembre:
“La casa ci è crollata letteralmente addosso mentre stavamo dormendo e per miracolo nessuno di noi è rimasto ucciso. Allora siamo corsi a casa di mio zio. Alle 2 di notte hanno bombardato anche quella e quasi tutti quelli che c’erano dentro, 11 persone, sono stati uccisi. Ci sono voluti sei giorni per rimettere insieme i corpi. Non so perché ci hanno bombardato. So solo che hanno ucciso praticamente tutte le persone che amavo”.
Il 6 gennaio sedici persone sono rimaste uccise in un attacco aereo nel quartiere di Hay al-Mazaraa a Mosul Est. Testimoni oculari e abitanti del quartiere hanno confermato che né nelle tre case colpite né nelle adiacenze c’erano combattenti dello Stato islamico. Tra le vittime, tre bambini e la madre di Shaima’ Qadhem, che un anno prima era stata arrestata e uccisa dallo Stato islamico. Questa è la testimonianza di Ahmad, un parente delle vittime:
“Quella famiglia è stata presa di mira da tutti. L’anno scorso Daesh ha arrestato e ucciso la madre dei tre bambini che ora sono stati uccisi dalla coalizione [insieme alla nonna]. Siamo tutti intrappolati in questo conflitto e nessuno ci aiuta. Quando ho cercato di lasciare Mosul con la mia famiglia, siano stati fermati da Daesh. Hanno minacciato di versarci sopra della benzina e darci fuoco. Poi abbiamo pagato una multa salatissima e siamo riusciti ad andare via. Altri, meno fortunati, sono stati messi a morte. Mi chiedo: il governo e la coalizione hanno pensato a come proteggere i civili in questa guerra? Direi decisamente di no”.
In molti dei casi in cui civili sono stati uccisi dagli attacchi della coalizione a guida Usa, gli abitanti sopravvissuti e i testimoni oculari hanno riferito che combattenti dello Stato islamico erano presenti all’interno (di solito, sul tetto o nel giardino) o nei pressi delle abitazioni colpite, così come di abitazioni risparmiate. Ma il diritto internazionale umanitario parla chiaro e le forze della coalizione a guida Usa dovrebbero conoscerlo: usare i civili come scudi umani, come ripetutamente fatto dallo Stato islamico, è un crimine di guerra che tuttavia non assolve il governo iracheno e la coalizione dall’obbligo di evitare attacchi sproporzionati.
Leggete cosa dice Mohammed, un abitante del quartiere di Hay el-Dhubbat a Mosul Est, che ha perso numerosi parenti in un attacco aereo:
“I Dawa’ish [i combattenti dello Stato islamico] erano ovunque e non potevamo farci veramente niente. Se protestavi, minacciavano di ucciderti. Hanno comandato in questa città per due anni e mezzo e non li hanno quasi mai colpiti. Perché adesso quelli distruggono le nostre case con le famiglie all’interno, e tutto questo solo per fare fuori due o tre Dawa’ish che stanno sul tetto?”
Il 5 gennaio, tre case del quartiere di Hay al-Salam a Mosul Est sono state distrutte dagli attacchi della coalizione: cinque membri di una famiglia e un vicino di casa sono morti e altre persone sono rimaste ferite. In una stanza di una casa si erano rintanati alcuni combattenti dello Stato islamico, rimasti illesi e poi catturati dalle forze irachene.
E, infine, Na’el Tawfiq Abdelhafez, che nell’attacco contro tre case del quartiere di Hay al-Saman a Mosul Est ha perso il figlio Mos’ab di 23 anni. Da mesi il quartiere era al centro dei combattimenti tra cecchini dello Stato islamico sui tetti e i soldati iracheni che sparavano colpi di mortaio verso le case:
“Che potevamo fare noi civili? Fermare Daesh? Quando mi sono entrati in casa, poco prima dell’attacco, li ho pregati di uscire, gli ho detto che c’era una famiglia. Hanno accettato, stavano per uscire quando è arrivato l’attacco. Mio figlio è stato ucciso, il resto della famiglia ferito, mia figlia Bara’ ha perso un occhio e i Dawa’ish sono ancora vivi”.