Io non vi capisco proprio. Qui siamo arrivati al triplo salto mortale. Perché capisco, a dire il vero poco, che vi piaccia sempre star lì a lamentarvi di tutto. D’inverno che fa un freddo becco e d’estate che si suda e manca l’aria. Capisco che appena la temperatura si abbassa di un grado correte a tirare fuori la giacca a vento e gli scarponi e per contro, al primo raggio di sole non resistete alla tentazione di infilare pareo e infradito anche se lavorate al centro di Milano. Capisco tutto, poco. Ma tanto fatico a seguire i vostri ragionamenti quando cercate di convincermi che sia cosa buona e giusta lamentarsi delle scollature, dei piedi e le gambe nude, a volerla vedere dall’altra parte, dei bicipiti e degli addominali scolpiti. E non vi seguo proprio per niente quando di colpo diventate tutti esteti esistenzialisti e, alla prima hit tamarra sfornata da Enrique Iglesias o Fonsi di colpo rimpiangete l’inedito mai arrivato della formazione originaria dei Sigur Ros o prospettiate di combattere la musica latina a suon di Joy Division e Bauhaus.
Ora, non voglio dire che la musica latina mi faccia impazzire. Per spiegarvi il livello di sopportazione che nutro per questa musica è lo stesso che provo per i programmi della Perego. Non è questo il punto. Il punto è che, se davvero tutti voi che al primo suono reggaeton o latino che esce dalla cassa della radio ferma di fianco a voi al semaforo scattate indignati manco aveste appena visto una puntata di Report che vi spiega come in effetti dietro la musica latino americana ci sia lo sfruttamento dei bambini di quel determinato paese del terzo mondo o che in realtà sia fatta con sostanze nocivissime per il nostro corpo (oltre che per il nostro spirito), ecco se davvero tutti voi che dimostrate questo odio atavico per la musica di Fonsi (vedi la sua Despacito) e affini vi applicaste con la stessa tenacia con cui ci scassate la minchia nel farci sapere quanto odiate la musica di Fonsi per spingere musica migliore, o addirittura per produrre musica migliore, se le cose andassero realmente così, noi vivremmo probabilmente in un mondo migliore. O almeno in un mondo con una colonna sonora estiva migliore.
E anche con un tasso di noia decisamente più alto. Perché diciamolo apertamente, la musica di Fonsi, Enrique Iglesias, Frank Daddy e affini sarà tamarra, sarà iperleggera, sarà buona solo per l’estate, ma è decisamente capace di metterci di buon umore, cosa che i brani dei già citati Sigur Ros non riuscirebbero a fare neanche volendo. Non è un caso che queste canzoni, fatte a tavolino quanto vi pare, studiate per far levare sulla pruderie e su quella forma neanche troppo celata di eccitamento che l’estate, con le sue scollature e bicipiti scolpiti in bella mostra, porta giocoforza con sé, insomma, costruite per diventare delle hit senza trovare ostacoli sul proprio cammino, ecco, non è un caso che queste canzoni piacciano a così tanta gente. Gente normale, certo, o per dirla con una certa radio, very normal people, ma gente che fa massa, che sposta numeri, che determina il successo o l’insuccesso di un brano.
Non è musica di qualità?
Diamo una definizione di qualità. E se per musica di qualità si intende qualcosa di complicato che necessita un grado di attenzione troppo elevata o che pretende, magari anche legittimamente, che chi la ascolta debba per forza far ricorso alla razionalità oltre che alla pancia, beh, allora gridiamo a gran voce lo slogan di Boris: la qualità ci ha rotto il cazzo. E se volete, se vi piace pensarlo, gridatelo andando a ritmo con una di quelle canzoni tamarre che fanno venire voglia di fare l’amore, di ubriacarsi di birra o più semplicemente di ‘non penare’. La qualità ci ha rotto il cazzo, o meglio i pendejos, claro que sì.