Identifica male la platea dei giovani inattivi (Neet), costringendo gli under 30 che non studiano e non lavorano a registrarsi più volte su database diversi. Punta troppo su tirocini che poi, peraltro, paga in ritardo. Non riesce a offrire una proposta di lavoro di buona qualità in tempi ragionevoli agli iscritti al programma. Sono questi, in estrema sintesi, i rimproveri più significativi che la Corte dei conti europea muove all’Italia per quanto riguarda l’attuazione di Garanzia giovani. Un programma varato dall’Ue nel 2014 a sostegno degli under 30 inattivi e che, a distanza di oltre tre anni, mostra più inefficienze che virtù. “Ha compiuto progressi limitati e conseguito risultati che non rispecchiano le aspettative iniziali”, si legge infatti nel report appena pubblicato dalla Corte sulla base di uno studio effettuato in 7 Stati membri, tra cui l’Italia. Si tratta, in sostanza, della constatazione di un fallimento che arriva alla vigilia del varo della “fase 2” di Garanzia giovani, che dovrebbe partire l’estate prossima.
Irlanda, Spagna, Francia, Croazia e Portogallo sono gli Stati membri che, insieme all’Italia, sono stati oggetto dell’analisi della Corte dei conti. L’esito delle loro ricerche lo sintetizza Iliana Ivanova, una delle responsabili del report: “Al termine del primo semestre 2016, oltre quattro milioni di giovani europei sotto i 25 anni erano ancora disoccupati. I responsabili delle politiche dovrebbero fare in modo che i programmi volti ad aiutare i giovani non suscitino aspettative che non possono essere soddisfatte”.
La mancata riduzione dei Neet. Calano nelle statistiche, ma solo perché la popolazione invecchia – Venendo più nel dettaglio agli effetti – molto limitati – prodotti da Garanzia giovani, è proprio nel mancato abbattimento del tasso dei Neet che il programma evidenzia i suoi limiti. “L’analisi della Corte mostra che questa riduzione della popolazione Neet non è stata dovuta ad un aumento dei giovani occupati. Anche se i tassi di disoccupazione giovanile sono diminuiti nell’insieme dei 7 Stati membri visitati, il numero di giovani occupati è in realtà diminuito di 40mila unità tra il primo trimestre 2013 e lo stesso periodo del 2016”. Sembra un paradosso, ma non lo è. La riduzione del numero totale dei Neet è dovuta infatti, spiegano i revisori dei conti europei, a fattori demografici che nulla hanno a che vedere con le misure di sostegno adottate dall’Ue. L’Italia è un esempio paradigmatico. Tra il marzo del 2013 e lo stesso mese del 2016, i giovani italiani senza lavoro né studi in corso sono diminuiti di 32mila unità (da 2 milioni e 289mila a 2 milioni e 258mila), a fronte, però, di una riduzione della popolazione giovanile di 120mila persone (da 9 milioni e 286mila a 9 milioni e 165mila). Insomma, se i Neet scendono nelle statistiche, è solo perché nel frattempo l’Italia invecchia.
“L’Italia punta troppo sui tirocini. E li paga con un ritardo medio di 64 giorni” – “Alla fine del 2015 – si legge a pagina 30 del report – la quota di ‘uscite positive’ variava notevolmente da un Paese all’altro, oscillando tra il 58 % in Spagna e il 99% in Italia”. Sembra un dato positivo, ma la virtù del sistema italiano è solo apparente, perché molte di quelle “uscite positive” sono di scarsa qualità, dal momento che nel 54% dei casi si tratta di semplici tirocini. Se si prendono in esame solo le “uscite verso un’occupazione”, ecco che l’asticella dell’Italia si abbassa fino al 31% del totale, a fronte del 64% in Irlanda e del 90% in Francia. Insomma, l’Italia ha puntato troppo sui tirocini. Che, peraltro, sono stati pagati solo al termine di “ritardi significativi”, quantificati in una media “di 64 giorni”, come ribadisce la Corte.
Registrazione dei Neet: la strategia dell’Italia giudicata sbagliata – Prima ancora della proposta di una misura per l’accompagnamento al lavoro, però, servirebbe una registrazione efficace dei Neet, così da avere un quadro chiaro della platea dei giovani che chiedono un aiuto. Su questo settore, però, la Corte spiega che sono stati fatti scarsi progressi in tutti i 7 Stati presi in esame. E particolarmente negativa, in questo contesto, viene giudicata la strategia adottata dall’Italia, che ha deciso di non trasferire automaticamente i Neet registrati ai vari servizi pubblici per l’impiego nell’elenco generale di Garanzia giovani, chiedendo loro, invece, di compilare una nuova procedura di accredito. Costruendo, di fatto, un database ex novo. “Questa scelta deliberata da parte delle autorità nazionali – si legge nel report – ha comportato un ulteriore onere per i Neet e un tasso di registrazione molto basso”.
A quattro mesi di distanza dall’iscrizione al programma, pochi i Neet a cui viene fatta un’offerta qualitativamente valida – Per valutare la reale efficacia del programma, la Corte ha deciso di analizzare la capacità dei vari Stati di garantire un’offerta di lavoro ai Neet a distanza di 4 mesi dal loro ingresso nel sistema di Garanzia giovani. Nessuno dei Paesi, rilevano i ricercatori, ha dato la possibilità a tutti i giovani di uscire dal loro stato di inattività: nel 2015 ci si è fermati alla soglia del 59%. L’Italia, in particolare, è passata da una quota del 95% (percentuale gonfiata, è bene ribadirlo, dall’altissimo numero di tirocini proposti) nel 2014 ad un tasso del 72% nel 2015. Dati non esaltanti, soprattutto se si considera, come in effetti la Corte evidenzia, che l’Italia bara un po’: i tecnici di Roma calcolano infatti “il periodo di quattro mesi entro cui presentare un’offerta ai Neet” dal momento in cui “un Neet viene valutato e ne viene definito il profilo”, e non dal “momento in cui si registra nel sistema della Garanzia per i giovani. Il che significa – conclude la Corte – che il tempo effettivo di attesa per il giovane è addirittura più lungo”.