Più che di una decisione tecnica ha il sapore di una scelta politica il via libera della Bce alla ricapitalizzazione preventiva di Popolare Vicenza e Veneto Banca fissando in 6,4 miliardi il fabbisogno complessivo di capitale per le due banche (3,3 miliardi Vicenza e 3,1 miliardi Montebelluna). Tecnicamente, infatti, le due ex popolari venete sono decotte: oltre a non rispettare i requisiti minimi di capitale, ad aver accumulato negli anni miliardi di euro di perdite ed essere costrette a emettere a getto continuo bond con la garanzia statale per far fronte alle esigenze di liquidità, i due istituti si trovano ad aver perso la fiducia dei clienti e gran parte del business a favore della concorrenza.
In questo contesto le prospettive di una ripresa, di un ritorno alla redditività non per effetto di operazioni straordinarie ma per il sano ed equilibrato andamento dell’attività caratteristica, paiono un miraggio. Ma Francoforte non se l’è sentita di alzare la bandierina rossa condannando le due banche al bail-in e ha preferito scaricare la palla su Bruxelles, cioè sulla Commissione europea che dovrà valutare se l’operazione è ammissibile e non è in contrasto con la normativa sugli aiuti di Stato. Una possibile ragione di questa scelta è il timore di una reazione a catena in caso di bail-in: il sistema bancario italiano è ancora estremamente fragile e – secondo un recente studio pubblicato da Mediobanca – sono ben 114 gli istituti (tra cui alcune grandi banche) il cui livello di sofferenze supera la somma tra patrimonio tangibile e accantonamenti (il cosiddetto Texas ratio).
Nel caso delle due banche venete i crediti deteriorati doppiano ampiamente il patrimonio (Vicenza ha un rapporto di 210, Montebelluna di 238), ma peggio di loro vi sono diversi istituti di credito cooperativo, casse di risparmio, banche popolari (oltre naturalmente a Mps che viaggia su un rapporto di 262), senza contare quelle che stanno immediatamente sotto o di fianco, come il Banco Popolare fresco di fusione con la Popolare di Milano che ha un rapporto sofferenze/patrimonio di 217,9 contro il 210 di Vicenza. Insomma, è possibile che l’autorità di vigilanza, tra le altre considerazioni, tema che staccare la spina alle due venete possa produrre effetti di gran lunga più negativi della già dolorosa risoluzione delle due banche.
Al momento, anche la Commissione Ue sembra aver assunto un atteggiamento possibilista nei confronti della richiesta italiana, o perlomeno non pregiudizialmente contrario. Poi bisognerà vedere nel concreto cosa Bruxelles sarà disposta a concedere e a quali condizioni, ammesso e non concesso che il via libera arrivi davvero. Per ora sembra essere il governo italiano a non saper bene che pesci pigliare, come conferma la commissaria alla Concorrenza Margrethe Vestager osservando che “da parte delle autorità italiane si riflette ancora sul cosa fare dei due istituti”. Tuttavia, ammonisce la Vestager, il sentiero è molto stretto: “Ci sono condizioni da rispettare: le banche devono essere solvibili, il capitale pubblico non può coprire perdite e si deve applicare il burden sharing”. Vale a dire che azionisti e possessori di obbligazioni subordinate verranno comunque azzerati. La trattativa in sede europea non sarà dunque semplice, tanto più che le due banche venete – a differenza di MontePaschi per il cui salvataggio non vi è comunque ancora un calendario definito – rappresentano meno del 2% del mercato e non hanno alcuna valenza sistemica. Un eventuale salvataggio pubblico, inoltre, apre un fronte interno particolarmente delicato: per Siena il governo intenderebbe varare un meccanismo di ristoro totale per i possessori di obbligazioni subordinate. Cosa che non è stata fatta per le quattro banche finite in risoluzione nel novembre 2015. Verranno rimborsati anche gli obbligazionisti di Popolare Vicenza e Veneto Banca oppure no? E se sì, con quali soldi?
Fallita l’esperienza del fondo Atlante che nelle due banche ha iniettato la bellezza di 3,5 miliardi bruciati in meno di un anno, ora lo Stato dovrebbe “salvarle” versando altri 6,4 miliardi, senza contare le garanzie per miliardi che sono già state fornite alle emissioni dei due istituti. E non è che l’antipasto: come per Mps, anche le due venete hanno la questione delle sofferenze da sistemare al più presto, questione che rischia di aprire un’ulteriore voragine nei già traballanti conti. Chi si farà carico di queste nuove, prevedibili perdite? Lo Stato azionista? E quanto tempo ci vorrà prima di poter uscire dal capitale e di rientrare almeno in parte di quella che si prospetta già oggi come una perdita secca a carico della collettività? Domande che dovranno trovare una risposta nei prossimi difficili mesi di trattative con Bruxelles.
Intanto, sotto gli occhi di tutti uno dei massimi responsabili di questa situazione, l’ex presidente della Popolare di Vicenza Gianni Zonin, continua a fare indisturbato gli affari suoi e anzi, proprio grazie alla decisione della Bce di dichiarare solvibili le due banche venete, non verrà mai chiamato a rispondere di bancarotta e, soprattutto, a risarcire coloro che hanno subito sulla propria pelle e sul proprio portafoglio i danni della sua gestione.
Quello dei risarcimenti, assieme alla velocizzazione dell’iter della giustizia, è un problema davvero pressante anche alla luce dell’introduzione della normativa sul bail-in: chiedere sacrifici a risparmiatori e correntisti senza punire effettivamente ed efficacemente i responsabili dei dissesti bancari rende del tutto iniquo il sistema. L’intero impianto sanzionatorio andrebbe urgentemente rivisto e riformato perché il problema in Italia, come sottolineato da molti osservatori, non è tanto quello di inasprire le pene, quanto piuttosto quello di far pagare i danni ai responsabili.