Si sta per avverare uno dei sogni dell’umanità: quello di non essere più schiavi del “sudore della fronte”. Alcune proiezioni affermano che in 15 anni circa il 40% delle attuali mansioni sarà svolto da macchine che riusciranno a sostituire in toto l’apporto umano. Come al solito dietro un’opportunità si celano anche rischi. Quello che viene paventato è l’emergere di masse enormi di disoccupati in una società in cui i ricchi, detentori delle licenze sulle macchine, potrebbero divenire sempre più ricchi. Viene prospettato il rischio di un numero sempre maggiore di disoccupati, mantenuti in condizioni di povertà, eventualmente supportati da redditi minimi. Forse per osteggiare questa prospettiva Bill Gates ha proposto di tassare i nuovi macchinari-robot per rendere il loro utilizzo meno conveniente. Tassare i riscuotitori automatici dell’autostrada per favorire l’assunzione di persone che lo facciano manualmente ha un senso? O si tratta di un assurdo antistorico dannoso per chi poi deve pagare il casello?
Ma veramente non ci saranno più lavori? Quali attività alternative per migliorare la vita dell’uomo?
Un industriale mio paziente mi parla di una nuova fabbrica che sta costruendo. Mi racconta che ora per produrre milioni di metri quadrati di pavimenti sono necessarie pochissime maestranze in quanto tutto è automatizzato. Dove prima c’erano 100 lavoratori ora al massimo dieci. La ricerca inoltre è sempre in evoluzione e si può presumere che in pochi decenni anche quei dieci saranno obsoleti. In compenso nelle ditte che si occupano di tecnologia e di ricerca le assunzioni continuano tanto che un altro paziente, giovane ingegnere appena laureato, mi racconta di essere stato preso per un anno assieme a quattro colleghi.
Io mi occupo da quasi quarant’anni di medicina e per circa quindici, da giovane, ho lavorato all’Università in progetti di ricerca in psicosomatica. Le ricerche richiedono un respiro internazionale tanto che negli anni erano sempre più caratterizzate da gruppi ampi europei in cui molti ricercatori, di diversi paesi, collaboravano mettendo assieme numeri elevati di casi clinici e esperienze. Ricordo che eravamo sempre in carenza di ricercatori in quanto i progetti che si sarebbero potuti portare avanti erano superiori alle possibilità. Per questo spesso si doveva lavorare con l’acqua alla gola, anche di notte, per rispettare le scadenze.
Ritengo che la ricerca, in tutti i campi del sapere umano, avrebbe bisogno di milioni di addetti per poter raggiungere risultati meravigliosi in pochi decenni. I tempi e gli obiettivi dell’attività di ricerca sono però impossibili da determinare a priori per cui occorre da parte dei privati e dei governi una certa lungimiranza. Quando i nostri antenati passarono da cacciatori all’attività agricola fu necessaria molta avvedutezza in quanto invece di mangiare subito il grano o i polli si decideva di buttare i chicchi nella terra e allevare gli animali aspettando parecchi mesi per avere un raccolto e nuovi pulcini. Allo stesso modo se vogliamo prospettare la “rivoluzione della ricerca” occorre lungimiranza in quanto su migliaia di progetti solo alcuni porteranno a dei risultati utilizzabili. Spesso la ricerca pura in campi come la fisica, la chimica, la biologia o l’astronomia fornisce risultati che solo in decenni avranno ricadute pratiche sulla vita reale degli individui
Per fare un esempio possiamo citare la ricerca farmacologica in cui partendo da milioni di molecole, nel giro di dieci o più anni, solo qualche migliaio verranno sperimentate e una otterrà dei risultati. Si calcola che occorra un miliardo di dollari per pagare i ricercatori e arrivare a brevettare un nuovo farmaco. Se però questo farmaco, come nel caso dell’anti-epatite recentemente scoperto, salverà milioni di uomini e darà alla ditta svariati miliardi di introiti tutta la grandissima mole della ricerca avrà fornito abbondanza di frutti.
L’attività di ricerca, in tutti i campi del sapere umano, è un ambito in cui il lavoro potrebbe trovare ampio sbocco. Si tratta, tra l’altro, di un settore lavorativo molto congeniale all’essere umano che per sua natura è curioso e desideroso di conoscenze. Accanto a questa ottimistica prospettiva esistono i rischi per una fase contingente in cui milioni di uomini potrebbero essere sottooccupati, spinti ai margini di una società che non offre loro possibilità lavorative.