Laila, Salma, Nour. Ci volevano tre giovani donne per rimescolare le carte identitarie di un Medio Oriente dall’anima e dalla vitalità laica sprofondato invece nella zavorra delle tradizioni religiose e patriarcali più oscurantiste. Opera prima della regista palestinese Maysaloun Hamud, Libere disobbedienti innamorate, titolo altrettanto libero nella traduzione italiana di In between, è il ritratto pop, tonico e disinvolto della quotidianità di tre coinquiline a Tel Aviv: l’araba Laila (Mouna Hawa), un’affascinante avvocatessa a cui ronzano attorno mille uomini ma che non trova mai quello giusto un po’ come per la Carrie di Sex and the city; l’altrettanto araba Salma (Sana Jammelieh), dj piena di piercing che la famiglia vuole appioppare a orribili maschi, ma che ama le donne; infine la timida Nour (Shaden Kamboura), studentessa di informatica col velo proveniente da un gruppo fondamentalista musulmano della cittadina di Umm al-Fahm destinata a un matrimonio con un tizio disgustosamente porco. Scontate però subito ogni lezioncina retorica.
L’emancipazione delle tre fanciulle è una questione di vita o di morte, di giustizia universale, di umana logica delle cose. Canne, alcolici, sesso, amici gay e lesbiche, musica underground (l’hip hop dei Dam e le hit electro folk della star libanese Yasmine Hamdan), piatti da lavare nel lavello e baci appassionati sul balcone, in Libere disobbedienti innamorate si respira quell’aria di libertà dei costumi modello anni settanta schiantata come un’onda di uno tsunami alle radicalizzazioni di pensiero e ai muri culturali dell’oggi. “La mia generazione non può convivere ancora a lungo con i codici obsoleti della società patriarcale e dello sciovinismo: è tempo di mettere le carte in tavola. Se continuiamo a nascondere le nostre paure sotto il tappeto, finiremo per inciamparci sopra e sarà troppo tardi”, spiega la regista Hamud al FQMagazine. “I tre personaggi principali rappresentano le donne che mi circondano nella vita di tutti i giorni. Ho come catturato la vita vera per il cinema. Ogni donna del mio film rappresenta tutte quelle donne che vivono fuori dalle regole sociali e allo stesso tempo non possono adattarsi del tutto ad una realtà urbana come quella di Tel Aviv dove vivono, perché sono palestinesi. Ho cercato di raccontare questo complicato dualismo della loro quotidianità, stretto fra la tradizione da cui provengono e la sregolatezza della metropoli in cui abitano, e il prezzo che devono pagare per una condizione che normalmente può apparire scontata: la libertà di lavorare, fare festa, scopare, scegliere”.
Libere innamorate disobbedienti è stato oggetto perfino di una protesta di difesa dei valori arabo-musulmani lanciata dalla municipalità di Umm al-Fahm, la cittadina da dove proviene Nour con il suo codazzo di peccati e impurità varie declamate dal fidanzato ultratradizionalista. “È un film di propaganda che distorce lo stile di vita tradizionale nella società araba, è offensivo per la religione dell’Islam e verso i residenti di Umm al-Fahm in particolare”, hanno scritto dal Comune della cittadina israeliana con l’avallo del locale Concilio Islamico. “Il mio film è ispirato sia nei colori che nelle chiacchiere delle toste protagoniste presenti nelle opere di Almodovar. A lui sono debitrice anche a livello di linguaggio semantico e di sensibilità ed empatia. Inoltre penso che in Libere innamorate disobbedienti ci sia un omaggio anche ai temi forti e realistici del cinema di Ken Loach, proprio in quelle questioni etiche sugli urgenti problemi sociali che affronta da sempre”. Il film, passato all’ultimo Festival di Toronto e alla kermesse di San Sebastian nel 2016, è distribuito dalla friulana Tucker.