Quando, verso la fine degli Ottanta il rap fa capolino in Italia, in ritardo rispetto al resto del mondo, per Michel Mudimbi, rapper nato a San Benedetto del Tronto da madre italiana e padre zairiano, è come sentire il richiamo della foresta. Inizia così a giocare con melodie immediate, dapprima scrivendo versi semplici e di facile comprensione, talvolta al limite dell’ovvio. Poi evolve, costruendo rime sempre più complesse, caratterizzate da un linguaggio politicamente scorretto, a tratti volgare – la sua prima canzone messa in rete e poi distribuita “a sua insaputa” è Supercalifrigida, un pezzo che parla di fellatio – ma sempre divertenti: “Il mio modo di pormi è naturale, sincero, e quelle nelle canzoni sono le classiche battute che ho sempre fatto con gli amici o coi colleghi di lavoro, perché non c’è una linea di confine tra Michel e Mudimbi”.
Già perché la sua vera forza – dice – è l’onestà, lui canta come parla: “Dopo anni di tentativi in cui scrivevo solamente schifezze, un giorno sono riuscito a scrivere una canzone che mi è sembrata abbastanza decente: da lì è iniziato un percorso che mi ha portato a vivere diverse situazioni e che è culminato con la pubblicazione di questo album”.
Da qualche giorno, infatti, è uscito il suo disco d’esordio, autoprodotto, intitolato Mudimbi: “è un disco a misura di bambino, ma per adulti, pensato in modo da farli divertire come se fossero dei bambini. All’interno del booklet ci sono disegni da colorare e ritagliare, tutti collegati in qualche modo alle canzoni dell’album. Una volta completati i disegni, inviandomi le foto degli stessi, i più bravi vinceranno dei premi, come succedeva all’asilo da bambini”.
Si parte con Scimmie, che per stile, strumenti e ambientazioni, fa venire in mente Caparezza (tra l’altro l’artista pugliese, assieme a Jovanotti, è il suo punto di riferimento) e la frase che chiude il brano, “Scimmia batte uomo, Tarzan glielo suca”, è veramente da brividi. Da ascoltare, Tipi da club, Empatia e SBA con basi ora funky, ora d’m’b o reggae e versi come “Ci sono in giro così tante fighe di legno che ci vorrebbe Geppetto” che strappano un sorriso, perché del resto, lo scopo principale di Mudimbi è quello di far divertire. Non mancano le canzoni sconce (la copertina del disco che raffigura Michel da bambino non deve trarre in inganno) con testi a tratti violenti da far accapponare la pelle.
Ma, laddove in Italia il rap è caratterizzato dal “grande ritornello della sublimazione adolescenziale” (concetto trafugato dal grande Lester Bangs che l’ha coniato e applicato al punk rock), per cui i ragazzini pieni di acne e carichi di ormoni non hanno che un pensiero fisso, il sesso, ben venga uno come Mudimbi che risparmia loro doppi sensi contortissimi e ambigui, optando per un linguaggio schietto, senza fronzoli né orpelli.