Oltre ad aver rappresentato un baluardo costante di democrazia e un argine intellettuale insostituibile alla propaganda di regime e alle controriforme in voga prima con il “sultanato” berlusconiano e poi con Renzi “imbroglione aggressivo” dotato di “grande furbizia” e “totale mancanza di pudore”, Giovanni Sartori aveva spiegato in modo chiaro come avrebbero dovuto essere le primarie.

E soprattutto aveva ribadito che le primarie, per essere una cosa seria e per non diventare “uno strumento abusato e dannosissimo”, non possono essere “aperte” perché si esporrebbero a qualsiasi trucco e maneggio; allo stesso modo, non possono essere usate per rivendicare un consenso sostitutivo del risultato elettorale: qualsiasi riferimento al successo ottenuto da Renzi nel 2013 su Cuperlo e Civati e rivendicato dall’ex premier come un’investitura popolare non sembra casuale.

Già nel 2011 il politologo disse che “le primarie facevano male al Pd” perché “dopo la prima fase salutare che immette aria fresca diventavano preda del frazionismo” delle fondazioni e centri studi che si prestano a fare da travestimento per le correnti. Nel 2012, poi, con la sua caratteristica implacabile ironia, aveva puntualizzato di non vedere la ragione per “fare tre elezioni che poi quando vanno alle elezioni vere le perdono” e “di spendere” in modo secondo lui inutile “le energie di un partito più o meno a pezzi”. E quando Sartori faceva queste considerazioni non si era ancora assistito, tanto per citare i casi più noti, al mercimonio delle tessere e al video delle monetine per favorire la Valente a Napoli o all’infornata dei cinesi mobilitati in massa per Beppe Sala a Milano.

Al momento il dato dell’affluenza al voto nei circoli del Pd, che ha incoronato Renzi alla guida del partito con un distacco molto consistente sui suoi competitori, con il 41% di astenuti, meno di 267.000 votanti su quei 449.434 iscritti di cui un buon numero last minute in vista del congresso, conferma l’avvenuta trasformazione in tesserificio di quelli che dovevano essere i luoghi della partecipazione e del confronto politico.

Quanto siano state rilevanti le iscrizioni “last minute” lo certifica l’anagrafe degli iscritti del partito che in data 6 marzo registrava 296mila iscritti. Ai 449.434 lievitati ai 450.352 del comunicato finale della Commissione congresso si arriva a colpi di deroghe, dopo la chiusura ufficiale prevista il 28 febbraio, a un numero molto consistente di tessere avvolte da un alone di opacità. Su circa 150mila quante sono le tessere “nuove” e dunque abusive e quante quelle “solo” irregolari perché registrate in ritardo?

A propendere per l’ipotesi più inquietante non sono i soliti guastatori dell'”antipolitica“, messi all’indice ancora una volta da un Renzi “esultante” ed  orgoglioso “per le centinaia di migliaia di persone che si sono messe in fila e hanno votato”, quanto mai determinato a “non mollare”.

A pensare male senza mezzi termini questa volta c’è il tesoriere storico del partito Ugo Sposetti che spiega il drastico calo del voto da parte degli iscritti e la natura di molte tessere “tardive” in modo molto semplice e diretto: molti di quei 449.000 non sapevano di essere stati tesserati. Si aspetta però Sposetti imprevedibili sorprese dal voto del 30 aprile, che potrebbe ribaltare i rapporti di forza tra Renzi ed Orlando. Ma la precondizione per un voto realmente contendibile, al di là di qualsiasi altra considerazione, sta in quella trasparenza irrimediabilmente perduta.

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