“In questo momento di difficoltà su più fronti deve essere forte il richiamo all’importanza della cultura“. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Sulmona, per partecipare ai lavori del Convegno internazionale di Studi ovidiani nel Bimillenario della morte del poeta sulmonese, usa le parole che ci si aspetta (qui le paginate in latino dedicate dal quotidiano Il Centro alla ricorrenza). Ed infatti aggiunge, in un tripudio di bambini festanti, che “la nostra identità si collega alla cultura, solo così si può affrontare il futuro. Questa straordinaria condizione culturale ci rende forti anche su altri fronti, come quello economico e sociale”.
Nelle stesse ore Renzi era a Napoli, una delle tappe del suo giro “da solo nel profondo del Paese”. “Nel cuore del quartiere Sanità…” ha visitato le Catacombe di San Gennaro passate da ottomila a ottantamila visitatori. Circostanza che, a detta dell’ex Presidente del Consiglio, le cui dichiarazioni, la cui attività politica continuano ad essere riportate con grande ed inusitata attenzione dalla gran parte dei media nazionali, “sono solo la punta dell’iceberg di un appassionate lavoro educativo”. Così, a suo dire “C’è molto di più. C’è l’idea che l’identità culturale sia la chiave del riscatto economico e sociale non solo del Mezzogiorno“.
Insomma l’“identità” di Mattarella e l’“identità culturale” di Renzi si segnalano nei loro interventi come una sorta di tags. Ma a ben guardare sono molto più che semplici parole chiave. Sono a tutti gli effetti degli autentici leitmotiv. Già perché, a ben guardare, non è la prima volta che Presidente della Repubblica e ex segretario del Pd ricorrono all’identità culturale, si affidano al ruolo della cultura.
“La ricostruzione in quei luoghi dei beni culturali e artistici è necessaria, non meno delle case e delle fabbriche, delle scuole e delle piazze, perché fanno parte di un’identità personale e collettiva, e sono moltiplicatori di forza sociale”, ha sostenuto Mattarella, intervenendo nel novembre scorso a Mantova ad un convegno sulle città d’arte. Già, il terremoto del centro Italia. Il sisma che ucciso, e distrutto case e chiese, monumenti e musei. “I danni al patrimonio abitativo, economico, culturale e religioso sono impressionanti. Questi borghi sono l’identità italiana: dovremo ricostruirli tutti, presto e bene. Lo faremo perché noi – tutti noi – siamo l’Italia”, ha scritto Renzi nella sua newsletter Enews lo scorso 1 novembre.
Di fronte ad una serie quasi senza fine di richiami alla nostra identità culturale, che evidentemente diviene identità nazionale, ci sarebbe da pensare che essa sia un caposaldo per il Presidente e l’ex presidente. Verrebbe da pensare che essa sia un elemento fondante. Non solo dei loro discorsi, soprattutto delle loro azioni. Ma non è così, sfortunatamente. Lo raccontano le cronache ufficiali. Mattarella è un impareggiabile presenzialista. Non c’è inaugurazione, ricorrenza, anniversario, esequie, celebrazione religiosa, festività civile e sfilate militari a cui non partecipi. A modo suo, certo. Con quella sua oratoria stentata, quella rigidità corporea che non trasmette pathos. Quel suo sembrare quasi fuori posto. Ma Mattarella è così. Una presenza impalpabile. Insomma un Presidente che l’identità culturale la evoca, ma non sembra una sua priorità.
Se Mattarella agli eventi deve esserci, per il protocollo, Renzi partecipa(va) a prescindere: adora apparire. Gli piace tanto parlare di “cultura”, di “bellezza” e di “identità culturale”. Se il suo governo fosse stato più breve si sarebbe potuto pensare che, con il tempo in più, i tanti annunci si sarebbero trasformati in realtà. Per sua sfortuna non è andata così. Così si è risolto in un nulla di fatto bellezza@governo, il progetto “per recuperare i luoghi culturali dimenticati. Le 139.759 mail arrivate entro il termine stabilito senza risposta. Il motivo? I 150 milioni promessi per interventi di vario tipo non sono mai stati stanziati.
Ma al di là di tutto quel che, forse, più di ogni altra cosa stride con l’identità culturale evocata tante volte da Renzi, è l’idea barbara e antiquata che il patrimonio storico-artistico-archeologico serva a far soldi. Sia il mezzo per fare cassa. Un atteggiamento, una propensione quella dell’ex sindaco di Firenze, ex presidente del Consiglio ed ex segretario del Pd che può trovare sintesi in una vignetta di Staino, su l’Unità del luglio 2013. Protagonisti Bobo e sua figlia Ilaria. Quest’ultima chiedeva al papà: “Babbo, cos’è un cafone?“, e Bobo rispondeva: “Ti faccio due esempi: Montezemolo che vuole il Ponte Vecchio di Firenze per una festa privata, e Renzi che glielo concede”.
Sentir parlare di “identità culturale” da un presidente che ne sottolinea meccanicamente l’importanza, e da un ex segretario per il quale “la storia dell’arte non suscita emozioni”, è davvero poco credibile. Verrebbe da sorridere se non fosse una cosa tremendamente seria.