Il nome della Romeo Gestioni irrompe a sorpresa nello scandalo Affittopoli. Ha preso il via giovedì mattina in Corte dei Conti il processo contabile relativo al primo filone d’inchiesta sul caso degli immobili di proprietà del Comune di Roma, assegnati “senza titolo” a prezzi più che calmierati ad associazioni e onlus di varia natura (oggi sotto sfratto e invitate a “restituire” centinaia di migliaia di euro ciascuna). Un danno erariale complessivo che il viceprocuratore regionale Guido Patti stima in 100 milioni di euro – cinque volte quello quantificato per gli affari Mafia Capitale – con 10 dirigenti capitolini indagati, 78 atti di citazione e ben 100 inviti a dedurre (il corrispettivo dell’avviso di garanzia). La società guidata dall’imprenditore Alfredo Romeo – arrestato il 1 marzo scorso nell’ambito dell’inchiesta su Consip – non era stata coinvolta nell’indagine, nonostante nel 2005 l’ex sindaco Walter Veltroni le avesse affidato la gestione del patrimonio del Comune di Roma con un appalto da circa 10 milioni di euro scaduto nel 2014. Ci hanno pensato gli avvocati difensori dei dirigenti indagati a presentare una memoria dettagliata circa i compiti e i doveri della Romeo Gestioni, allegando stralci del contratto sottoscritto fra la società di servizi e il Campidoglio, accordo non rintracciabile sul sito del Comune. “Se dovessero uscire fuori responsabilità della Romeo, per la Procura sarebbe una notizia di danno”, ha affermato il pm Patti durante l’udienza. E considerando che nel processo contabile non esiste più l’istituto della “citazione in garanzia” (come avviene per quello penale), il pm sarebbe costretto ad aprire un nuovo, ennesimo, fascicolo.
LE CONTESTAZIONI E IL DANNO – Va spiegato che tutto l’impianto dell’inchiesta Affittopoli si basa su alcuni punti comuni. Quel che viene contestato, in generale, è che per ognuna delle assegnazioni effettuate il dipartimento Patrimonio ha realizzato negli anni accordi provvisori con le associazioni a prezzi calmierati pari al 20% di quelli di mercato (come da regolamento comunale, delibera 5625/83), i quali si sarebbero dovuti trasformare in regolari contratti di concessione entro il limite di 120 giorni dalla data di stipula, cosa che nella stragrande maggioranza dei casi non è avvenuta “a causa della disorganizzazione degli uffici”. Il danno erariale starebbe nel fatto che, secondo la lettura degli inquirenti, a termine scaduto o a concessione non rinnovata, l’occupante divenuto “senza titolo” avrebbe dovuto corrispondere una “indennità d’uso” non più pari al 20%, ma al 100% del canone di mercato. Una tesi respinta con varie argomentazioni dagli avvocati (Alessandro Fusillo, Giuseppe Lo Mastro, Emilio Ricci, Maria Vertucci, Stefano Rossi) anche sulla base di una sentenza della Corte dei Conti, la 486/2015, che accoglieva il ricorso di una delle associazioni sfrattate dagli uffici capitolini in seguito alle indagini avviate pochi mesi prima. Inutile dire come nel calderone sia finito di tutto, dalla Comunità di Sant’Egidio alla Capodarco, onlus religiose, scuole di musica, associazioni di volontariato per disabili e malati gravi, ma anche centri sociali, partiti politici, sindacati e “furbetti” che hanno approfittato degli scarsi controlli per aprire bar, ristoranti e discoteche.
LA PROCURA DI VELTRONI – Al di là dei singoli casi, la domanda è: chi avrebbe dovuto vigilare in quegli anni sulla corretta gestione del patrimonio capitolino? Ad essere chiamati in giudizio sono stati i dirigenti che hanno via via ricoperto ruoli di responsabilità e firmato atti negli uffici capitolini, perennemente in sotto organico. Ma dal contratto fra il Comune e la Romeo – allegato nella memoria difensiva – si evince che la società napoletana avrebbe dovuto svolgere un ruolo di supporto determinante. Nella procura generale (repertorio 8559) conferita dal sindaco Veltroni alla Romeo, oltre al “censimento dei beni patrimoniali” e dei “beni in concessione”, si parla al punto 3 di “censimento dell’utenza dei cespiti e regolarizzazione delle relative posizioni amministrative”, la cui attività era “finalizzata a determinare le condizioni amministrative di corretto svolgimento del rapporto di utilizzazione dell’immobile”, da espletare “per le posizioni sia riconducibili che non riconducibili a valido titolo giuridico”. Non solo. Al punto 6 si parla di “gestione amministrativa dei rapporti concessori”, per “assicurare la piena attuazione delle facoltà nonché l’esatto adempimento degli obblighi ed oneri che derivano dalle concessioni a terzi dei cespiti comunali”
PIENI POTERI ALLA ROMEO – Secondo il “contratto di rogito”, la Romeo Gestioni aveva titolo di “legittimazione rappresentativa” da riconnettere “alla finalità di assicurare una corretta instaurazione, nonché un regolare svolgimento dei rapporti di utenza” anche come “valenza funzionale rispetto alla posizione contrattuale dell’Amministrazione nell’ambito dei contratti e delle concessioni”. Insomma “i più ampi poteri di rappresentanza e firma”, come si legge nella parte del conferimento da parte del sindaco in persona, “affinché svolga tutte le attività affidate in appalto, nonché ogni altra attività con valenza accessoria per un più efficace espletamento delle prime”. Un contratto molto dettagliato, che secondo i legali determinava quasi una sorta di esternalizzazione della gestione del patrimonio, svuotando il Dipartimento capitolino che infatti “aveva subito una riduzione da 22 a 8 elementi”. La Romeo, secondo quell’accordo, poteva e doveva seguire la regolarità delle assegnazioni e dei rapporti con i concessionari, dall’inizio alla fine. Senza tra l’altro che questo contratto prevedesse alcuna penale, se non la rescissione in danno del contratto in caso di violazioni gravi.
LA REPLICA A MARINO: “MAI AUTORIZZATI” – Arriviamo al 2013. Con il suo arrivo in Campidoglio, Ignazio Marino tenta un’operazione già fallita dal suo predecessore, Gianni Alemanno: mettere in vendita una serie di immobili e risanare il bilancio del Comune. Per farlo, crea task-force ad hoc che smuovono le acque. Nel 2015 partono le inchieste giornalistiche su cui la Corte dei Conti inizia a lavorare. Dopo i sigilli apposti al noto live-club Il Circolo degli Artisti, è per primo il quotidiano Il Tempo a stilare un primo elenco di 50 assegnazioni “sospette”, a cui segue in un secondo momento Repubblica, con i due organi di stampa che intervistano l’allora assessore Alessandra Cattoi. Sulla base di questi articoli, Marino chiede conto del lavoro svolto alla Romeo la quale, minacciando querele, attraverso il suo legale Stefano Cianci il 13 febbraio 2015 scrive che “la Romeo Gestioni Spa non ha mai potuto procedere al rinnovo dei contratti e al conseguente aggiornamento dei canoni per gli immobili del patrimonio disponibile in quanto a ciò non autorizzata dalla Amministrazione che, solo a distanza di 16 anni dalla emanazione della legge 431/1996, con la delibera 165/2014 di approvazione delle modalità e dei criteri di applicazione di tale norma, ne ha avviato l’iter attuativo nel mese di settembre 2014 a pochi giorni dalla scadenza del rapporto contrattuale con Romeo Gestioni”. Concetto ribadito in un’altra lettera, inviata ad Alessandra Cattoi e Luigi Fucito (allora assessore al Patrimonio e Capo di Gabinetto del sindaco), e ai direttori dei due giornali: “In merito all’aggiornamento dei canoni – si legge – è da precisare che la scrivente non ha mai potuto procedere con il rinnovo dei contratti in quanto a ciò non autorizzata dall’amministrazione”. Due domande: la procura “con pieni poteri” di Veltroni allora non era valida? E se davvero la Romeo non ha avuto la possibilità di operare, di chi è la responsabilità, dei funzionari indagati?
LA SITUAZIONE ATTUALE – Aspettando di capire se la memoria dei difensori determinerà una “notizia di danno” per gli inquirenti, valida a tirare in ballo la società di Alfredo Romeo, il processo va avanti. Il pm Patti in aula ha parlato di “meccanismo perverso”, arrivando allo scontro con Lo Mastro, il quale ha affermato che “un magistrato non può inviare una lettera di minacce ai nuovi dirigenti, prospettando un’indagine a loro carico in caso di inadempienza”. Intanto, in attesa del nuovo regolamento annunciato dal gruppo consiliare del M5S – ma che tarda ad arrivare, nonostante le sollecitazioni dell’assessore Andrea Mazzillo – stanno continuando gli sfratti a danno di tutte le associazioni. “Negli anni passati – rivela una fonte di Risorse per Roma, società capitolina che oggi ha preso il posto di Prelios Spa, a sua volta subentrata a Romeo Gestioni nel 2015 – si incassavano circa 10 milioni di euro l’anno, ma da quando è iniziato questo giro di vite, siamo scesi a 2 milioni. Non paga più nessuno”.