R. mi ha scritto raccontandomi della sua prolungata ed estenuante ricerca per aver un figlio che ancora non arriva. Un viaggio fatto di iniezioni, ormoni, ecografie, prelievi, nel quale scendere a patti con un fisico “biologicamente inutile”, ma soprattutto un viaggio pieno di solitudine anche in mezzo alle amiche. Quelle amiche che “figliano come conigli” e dicono che è solo “questione di rilassarsi”.
Una storia che per chi è già madre è difficile da immaginare e condividere del tutto, nonostante sia comune a tante donne che per età, intoppi fisiologici e forse anche un briciolo di impazienza (il mio ginecologo mi riferisce di essere pieno di pazienti che dopo pochi mesi di tentativi sono già in ambulatorio a chiedere rassicurazioni) hanno più difficoltà di altre.
Se da un lato c’è un universo di future mamme disposte a tutto, anche varcare i confini nazionali o spendere piccoli patrimoni per ottenere quello che in Italia è ancora oggetto di restrizioni e solide barriere etico-morali, dall’altro ci sono situazioni diametralmente opposte. Contesti dove le maternità avvengono come battiti di ciglia, arrivando anche quando non richieste.
S., C. e molte altre donne sono rimaste incinte perché “è capitato”, vuoi perché la retro s’è inceppata, il calcolo dei giorni fertili e della temperatura basale è stato impreciso o la luna non ha collaborato. Per alcuni il piacere si è mischiato all’amore, l’oggi conta più che il domani, facendo dimenticare che “la voglia svanisce e il figlio rimane”. Ma com’è possibile restare incinta “per caso” nel 2017?
Le donne che ho conosciuto, e che nella stragrande maggioranza il figlio hanno poi deciso di tenerlo, hanno un’istruzione media e non vivono in contesti socialmente degradati, dunque a loro la giustificazione risultante “dall’ignoranza” non può essere applicata. Sono diventate madri assolvendo il compito al meglio delle loro possibilità e tutte hanno dovuto fare sacrifici enormi per adattarsi a una situazione improvvisa, a una quotidianità diversa da quella su cui avevano fantasticato.
Non tutte sono convinte o necessariamente felici di aver preso questa decisione (non per il figlio in sé), ma nessuna si sentirà libera di confessarlo al mondo. È possibile definire “masochistica” una scelta che dovrebbe essere sì frutto d’amore, ma anche di valutazione ponderata? Certo, un bambino infonde una dose d’amore capace di farti andare avanti quanto un pieno di benzina, ma credere che tutto questo possa bastare è fuori dal tempo e dalla realtà.
Decidere di averlo non può essere (solo) la conseguenza di un errore di calcolo o di una leggerezza. Perché per le tante mamme di figli “non programmati” che sbandierano al vento la gioia di averli avuti, ce ne sono altrettante che siedono su una panchina, già curve nonostante l’età, già spente nonostante un sorriso sbiadito, che rimuginano sulla strada verso cui la loro vita avrebbe potuto orientarsi “se”.
Nel 2017 bisogna essere più accorte di questo, volersi più bene per volerne al figlio che nascerà. È vero che spesso molti uomini delegano egoisticamente in toto la responsabilità della contraccezione alla donna, ma è altresì vero che il corpo (e la vita) è della donna e nessun altro dovrebbe tenerci più di lei. Perché in prima linea con la vita sconvolta sarà la donna, e optare per metodi contraccettivi sicuri è davvero semplice.
Dire che tutto si aggiusterà e credere che le donne siano ventri che devono figliare ogni volta che si riempiono è voler restare attaccati, nella migliore delle ipotesi, all’ideale di donna-nutrice. Nella peggiore, è l’esempio dell’incapacità a gestire persino il proprio utero.