Renzi “ha tradito le speranze dei giovani” e non si è chiesto perché “hanno voltato le spalle al governo più giovane della storia”. E ancora: “Il 40% ci ha dato alla testa, lo dicevo io a chi tesseva le lodi del capo”. Andrea Orlando si presenta a Napoli in una versione quasi inedita, abbandona i toni riflessivi e passa all’attacco del suo rivale alla segreteria nazionale del Pd. L’occasione è la conferenza programmatica della sua mozione, in scena nella sala della Mostra d’Oltremare, dove il ministro della Giustizia boccia definitamente i tre anni al fianco di Matteo Renzi: la sua gestione del partito e del governo. Il rivale si trova a meno di 300 km di distanza, sul palco di una manifestazione a Bari molto più nel suo stile: maniche della camicia tirate su, operai e giovani al suo fianco. L’ex premier non replica, ma punzecchia: “I Cinquestelle qualsiasi cosa accada si chiudono a testuggine, mentre da noi il primo che ti pugnala alle spalle è il tuo compagno di partito”. E torna a giocare la carta del consenso: “Se torno lo faccio perché me lo chiedete voi, perché mi votate”.
Orlando parla da uno dei suoi fortini, nel capoluogo di quella Campania di cui è originaria la sua famiglia (il padre è nato a Santa Maria Capua Vetere). Le considerazioni sul programma trovano spazio a margine, dall'”ascoltare di più la base” a “ricostruire un rapporto con il mondo della scuola“. L’intervento invece è tutto diretto a scaricare definitivamente il suo sfidante. A partire dalla promessa di Renzi di usare il lanciafiamme dopo i risultati deludenti del voto amministrativo: “Il lanciafiamme? A Napoli, dove il Pd è all’11% e dove aumentano gli iscritti e diminuiscono gli elettori, non si è visto. In compenso, coloro che dovevano essere colpiti sono al sicuro nella maggioranza del partito”.
È la prima stoccata del ministro della Giustizia, che poi riparte proprio dal 40% alle Europee: “Ci ha dato alla testa. Io l’avevo detto il giorno dopo, quando tutti tessevano le lodi del capo”. “Avevo detto lasciamo perdere il partito della nazione – ha spiegato Orlando – ma costruiamo il partito, mentre non è stata nemmeno riunita la segreteria: due anni senza riunirsi, qualche messaggio su whatsapp e poi facciamo battute sui messaggi degli altri”. Il Pd “deve toccare i centri di potere che in Italia sono forti con i deboli e deboli con i forti. Questo è l’establishment italiano con cui veniamo identificati”, ha aggiunto.
Quando dici che tutto va bene, che ce l’abbiamo fatta, “in una famiglia dove un figlio non trova lavoro e un altro non può andare all’università perché non può permetterselo, non solo ti sentono distante ma finiscono anche leggermente per incazzarsi…”, ha attaccato Orlando rivolgendosi direttamente al suo rivale: “Dove ti sei rintanato, Matteo? Esci fuori, confrontiamoci. Torniamo a parlare alle persone, torniamo nelle fabbriche“.
Poi il passaggio più duro, quello sui giovani che “ci hanno voltato le spalle al referendum” del 4 dicembre. “Renzi aveva detto di voler far saltare il tappo e un pezzo di generazione si è identificata con lui, poi però si è sentita tradita“. “E qual è stata la risposta del Pd? – ha incalzato Orlando – Un complotto dell’establishment contro di noi. Feci notare che si tratterebbe del primo autocomplotto della storia”. “Dal vuoto di politica nasce l’arroganza del #ciaone, che prima o poi ti torna indietro con gli interessi. Questo non fa male all’Italia, a noi”, ha aggiunto il ministro della Giustizia. “La sfida del congresso non è quella di trovare l’anti-Renzi, ma uscire dall’isolamento politico nel quale ci siamo cacciati”, ha infine concluso Orlando.
La prima risposta dei renziani è in un tweet della deputata Alessia Morani: “Caro Orlando, non si costruisce il futuro del Pd attaccando il passato e le cose buone: scuola, lavoro, diritti”. Non replica dal palco di Bari invece il diretto interessato. Renzi ha sottolineato però che a suo parere occorre ritrovare una “generosità tra di noi”, perché “l’obiettivo nel Pd non deve essere sparare a quello accanto: se non facciamo questo – ha concluso – i giovani non verranno mai“. “Se torno lo faccio perché me lo chiedete voi, perché mi votate, non perché lo decido io. Io non dico ‘non abbiamo perso’. Nel 2013 è andata male e il Pd in Parlamento non ha i voti”, ha poi aggiunto.
Accanto all’ex premier un operaio dell’Ilva di Taranto, il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, e il sindaco di Bari e presidente Anci, Antonio Decaro. Poi una studentessa scout, anche lei a fare domande insieme alla platea, mentre Renzi prende appunti. “Perché non facciamo la legge elettorale? Non abbiamo i numeri – ha risposto – il sistema istituzionale vuole la palude, vuole tutti fermi, perché in Italia sono più abituati a contare i veti e non i voti”. “Il governo però va avanti, va bene – ha aggiunto – e noi siamo tutti a lavorare, perché dopo il 4 dicembre il rischio era proprio quello della palude. Ma non possiamo permetterci che ci sia anche a livello del governo e delle misure economiche, culturali e sociali”. Renzi è casa dell’altro rivale, Michele Emiliano, che saluta con una battuta dopo l’incidente al tendine di Achille: “Io ho un alibi di ferro, ero a distanza centinaia di chilometri”.