Giù le mani dal divieto di perforazioni entro le 12 miglia. Ha suscitato una serie di reazioni il decreto ministeriale pubblicato dal Ministero dello Sviluppo economico in Gazzetta Ufficiale che permette alle compagnie petrolifere di modificare in corsa il programma di sviluppo previsto al momento del rilascio della concessione. Consentendo, secondo i No Triv, anche di aggirare la legge dando il via libera a nuovi pozzi non previsti dal programma. Dall’interrogazione diretta al ministro Carlo Calenda dei deputati che aderiscono al ‘Fronte democratico’, l’associazione che sostiene Michele Emiliano nella candidatura alla segreteria nazionale del Pd, fino alle richieste di chiarimenti del presidenti delle Commissioni Ambiente al Senato e alla Camera, Giuseppe Marinello ed Ermete Realacci. Il Mise ha diramato una nota ufficiale per chiarire alcuni punti. Il succo del discorso? Il decreto in questione, che aggiorna le modalità operative per la ricerca e la produzione di idrocarburi “non modifica in alcun modo – scrive il ministero – le limitazioni per le attività consentite dal Codice Ambiente nelle aree marine comprese nelle 12 miglia dalla costa e dalle aree protette”. Ma i No Triv non ci stanno e rispondono punto per punto, analizzando i tre commi dell’articolo 15 del decreto contestato. “Proprio il testo del decreto fornisce l’evidenza di quanto sosteniamo, ossia che si elude il divieto di legge” spiega a ilfattoquotidiano.it il costituzionalista Enzo Di Salvatore.
LE REAZIONI AL DECRETO – Tra le prime reazioni al nuovo Disciplinare-tipo per il rilascio e l’esercizio dei titoli minerari quella dello scrittore Erri De Luca che ha commentato su Twitter: “C’è criminale volontà di sfregio e di disprezzo verso mare, suolo, aria”. I deputati del ‘Fronte democratico’, Dario Ginefra, Francesco Boccia, Antonio Castricone, Khalid Chaouki, Gerolamo Grassi, Umberto Marroni, Colomba Mongiello, Michele Pelillo, Luigi Taranto e Simone Valiante hanno firmato un’interrogazione al ministro dello Sviluppo Economico chiedendo “se non ritenga opportuno un repentino ritiro del decreto” e l’avvio “in seno alle Commissioni parlamentari competenti e nella Conferenza Stato-Regioni di un’ampia consultazione anche al fine di recepire gli indirizzi del legislatore e degli attori locali”. Il presidente della Commissione Ambiente alla Camera, Ermete Riallacci, ha chiesto agli uffici dell’organo parlamentare “di verificare se in punta di diritto è fondata l’interpretazione delle strutture del Mise”. Interpretazione che, secondo il deputato, non rispecchia “quanto è stato detto durante la campagna referendaria, non è utile all’economia del Paese, contrasta con la volontà di larga parte dei cittadini”. Il presidente della Commissione in Senato, Giuseppe Marinello, invece, ha annunciato la convocazione del Governo in Commissione “per riferire sulle ragioni che hanno indotto a questa decisione”.
IL COMUNICATO DEL MISE – Tutte reazioni che hanno imposto un chiarimento, affidato a un comunicato ufficiale, nel quale il Mise sostiene che nel decreto si regolamentano solamente le attività già consentite dalla legge all’interno delle aree marine comprese nelle 12 miglia dalla costa e dalle aree protette. “E cioè – spiega il Mise – le attività funzionali a garantire l’esercizio e il recupero delle riserve di idrocarburi accertate per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e salvaguardia ambientale”. Il ministero sottolinea che “sono escluse altre attività, quali in particolare quelle di sviluppo e coltivazione di eventuali nuovi giacimenti”. E la modifica dei programmi di lavoro che ha fatto sobbalzare gli ambientalisti? “È finalizzata unicamente a consentire sia interventi di manutenzione e aggiornamento delle infrastrutture, sia – al termine della coltivazione – la chiusura mineraria dei pozzi e la rimozione delle piattaforme”.
LA RISPOSTA PUNTO PER PUNTO – Secondo il costituzionalista Enzo Di Salvatore, invece, la risposta è tutta nel testo. “Nel primo comma dell’articolo – spiega – si scrive che si possono apportare modifiche al programma di lavori originariamente approvato, funzionali a consentire il recupero delle riserve accertate, per la durata di vita utile del giacimento e fino al completamento della coltivazione. Fino a prova contraria la decommissioning e il ripristino ambientali appartengono a fasi successive a quelle della coltivazione”. E giacché nel secondo comma dell’articolo 15 si specifica che ‘sono sempre consentite – si legge nel testo – le attività di manutenzione finalizzate all’adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell’ambiente e le operazioni finali di ripristino ambientale” il costituzionalista si domanda “quale bisogno ci fosse, dato che si tratta di operazioni ‘sempre consentite’, di garantirne l’esecuzione con variazioni ai programmi di sviluppo”. La risposta? Per Di Salvatore è anche nel terzo comma che autorizza in realtà le attività funzionali alla coltivazione “fino ad esaurimento del giacimento e all’esecuzione dei programmi di lavoro approvati in sede di conferimento o di proroga del titolo minerario, compresa la costruzione di infrastrutture e di opere di sviluppo e coltivazione necessarie all’esercizio”.
Secondo i No Triv non c’è dubbio sul fatto che le modifiche al programma originario non sono autorizzate pensando alle attività di decomissioning “che, peraltro – sottolinea a ilfattoquotidiano.it Enrico Gagliano, fondatore del Coordinamento – già in base alla legge vigente sono soggette alla Valutazione di impatto ambientale e all’autorizzazione da parte del Mise”. Per Gagliano il decreto vuole dare il via libero ad altro, ossia l’implementazione di programmi per amplificarne la portata: “Questo contrasta con quanto è stato garantito dal Governo in sede di approvazione degli emendamenti alla legge Stabilità 2016 e cioè che non sarebbero state consentite nuove estrazioni oltre a quelle già previste nel programma di sviluppo”. Anche perché così ha stabilito anche il Consiglio di Stato. “Due le strade – conclude Gagliano – O si specifica che le variazioni ai programmi sono consentite solo in un’ottica di miglioramento delle attività di ripristino o si ritiri il disciplinare, perché così com’è è in contrasto con la legge”.