L'escalation della violenza jihadista contro i copti, la più grande comunità cristiana del Medio Oriente, era stata promessa già dopo la destituzione di Mohammed Morsi nel 2013, ma si è compiuta negli ultimi mesi. Alessandro Monteduro, direttore della Fondazione 'Aiuto alla Chiesa che soffre': "Situazione degenerata, il governo non riesce a fermare l'estremismo"
Nella Domenica delle Palme due attentati il cuore del cristianesimo in Medio Oriente, dal forte valore simbolico e firmati dallo Stato islamico. Il teatro della nuova strage islamista è l’Egitto, “le cui forze militari non sono neanche lontanamente in grado di garantire la sicurezza dei cristiani”. E’ il giudizio di Alessandro Monteduro, direttore della Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre – organizzazione pontificia impegnata nella denuncia delle violazioni della libertà di religione – che definisce i fatti il frutto di “una barbarie irrefrenabile”. Lo sono la bomba esplosa nella chiesa copta di Tanta, a nord del Cairo, l’esplosione all’esterno di una basilica cristiana ad Alessandria dove il papa copto Tawadris aveva appena detto messa, ma anche la serie di omicidi compiuti nel Sinai tra il gennaio e il febbraio scorso.
L’escalation della violenza jihadista contro i copti, la più grande comunità cristiana del Medio Oriente, era stata promessa già dopo la destituzione del presidente islamista Mohammed Morsi nel 2013, ma si è compiuta negli ultimi mesi. Gli oltre 45 morti dei due attentati della Domenica delle Palme sono vittime “che hanno un precedente recentissimo – spiega Monteduro al FattoQuotidiano.it, riferendosi alla bomba che a dicembre ha fatto 28 morti in una chiesa copta nella capitale – in un Paese in cui il presidente Al-Sisi non riesce a fermare l’estremismo islamico”. Senza dimenticare i copti uccisi e dati alle fiamme nei primi due mesi del 2017 nella provincia del Sinai. Dopo questi omicidi, il 26 febbraio un video degli ex miliziani del gruppo ‘Ansar Beit al- Maqdis’, ora affiliato all’Isis, indicava proprio i copti come la loro “preda preferita”.
La minoranza cristiana copta in Egitto costituisce il 10% della popolazione del Paese: circa 4,2 milioni di persone, spiega ancora Acs, da anni al centro delle persecuzioni. Nonostante le loro antichissime origini, risalenti al IV secolo, e la loro presenza in tutte le categorie sociali, nei decenni hanno sempre pagato con il sangue le follie degli estremisti musulmani. Nel marzo 1992 morirono 15 fedeli per un attacco di un commando ad Assiut, dove due mesi dopo ci furono altre 12 vittime. Ad Alessandria nel 2001 furono uccisi 23 cristiani al termine di una messa. Nell’aprile 2013 ad al-Jusus morirono quattro fedeli durante scontri con i musulmani, che portarono ad altri tre morti nel giorno dei funerali.
Poi le stragi recenti, cominciate da quando i copti sono finite nel mirino delle cellule dell’Isis, “che in Egitto sono tante e molto più strutturate rispetto a quelle presenti in Europa. E ora stanno reagendo alle difficoltà dell’Isis in Iraq e in Siria”, racconta Monteduro. A Mosul come ad Aleppo “negli ultimi mesi si è assistito a un definitivo ridimensionamento delle truppe dello Stato Islamico – afferma il direttore di Acs – ma per i cristiani la situazione è rimasta immutata“. La maggior parte di loro infatti sono fuggiti “dopo il genocidio, le torture e gli stupri” documentati dal report 2016 della Fondazione. Oggi è l’Egitto la nuova frontiera critica, “dove la situazione è degenerata e non c’è più sicurezza”, ammette Monteduro.
Che attribuisce al presidente Al-Sisi una volontà di intenti a cui non ha corrisposto una reazione pratica: “Nel periodo di Morsi la persecuzione dei cristiani avveniva a livello statale, che tollerava per esempio il rapimento di centinaia di donne minorenni date poi in spose a uomini musulmani. Con Al-Sisi sono invece arrivati segnali simbolici importanti, come la partecipazione alla Santa Messa del Natale ortodosso e il finanziamento di una grande Chiesa cristiana alla periferia del Cairo, che sarà per dimensioni identica alla nuova Moschea”. “Segnali apprezzabili – continua Monteduro – ma ora la priorità è la sicurezza. Ci aspettiamo che il governo egiziano dia prova di fermezza e decisione in tal senso”. L’incapacità di controllo delle cellule estremiste è tale “da arrivare a formare e istruire una vigilanza di volontari cristiani per presidiare i luoghi del culto al posto dei militari”, racconta Monteduro.
Questa è la situazione in Egitto a poco più di due settimane dalla visita di papa Francesco, in programma il 28 e il 29 aprile. “Una due giorni in cui il Pontefice tenterà di favorire un dialogo fra le due comunità e affronterà anche il tema delle persecuzioni nel Sinai, ma soprattutto dovrà essere convincente con il governo, per assicurare una maggiore sicurezza dei cristiani”, afferma il direttore di Acs. Di fronte ai pericoli per la sicurezza di Bergoglio, il dirigente di Acs ribatte sottolineando “il valore sostanziale della visita del papa, un segnale importante per rispondere con forza a due attentati che hanno colpito la minoranza cristiana proprio nella Domenica delle Palme, in un Paese in cui i fedeli sono spesso costretti a disegnare una croce su un muro per poter celebrare messa”.