Ritorniamo sull’argomento del consumo di televisione in rapporto ai target; in questo caso si prende a riferimento il livello d’istruzione, dove si registrano interessanti novità.
È noto che le donne consumano più tv degli uomini, i ceti sociali ed economici bassi più di quelli alti, il consumo è superiore al sud rispetto al centro e al nord. L’utilizzo della Tv aumenta con l’età, all’incirca dai 45anni, che corrisponde fra l’altro all’età media della popolazione. In un precedente elaborato, abbiamo rilevato come questa tendenza si stia in parte attenuando: gli anziani diminuiscono la loro presenza davanti al video pur rimanendo su livelli elevati (il consumo medio giornaliero degli over 65 è pari a ben 369 minuti, contro 248 minuti della media generale).
Nel primo grafico si evidenzia che gli ascoltatori medi giornalieri, nel prime time, in possesso del titolo di laurea (i laureati in Italia sono l’11% dell’intera popolazione) sono passati dal 2010 al 2016 da 1,6 a 2 milioni (+29%), i diplomati (38% della popolazione) aumentano di +10%. I possessori della sola istruzione elementare (19% della popolazione) diminuiscono di -21%, mentre chi ha il livello medio/inferiore (32% della popolazione) registra -3 %. Insomma la piramide si sta come rovesciando.
Per completezza d’informazione riportiamo, nel secondo grafico, la composizione percentuale per livello d’istruzione degli ascoltatori medi giornalieri, sempre nella prima serata, del totale mezzo e dei tre principali poli televisivi. Rai e Mediaset hanno la capacità, derivante dalla loro storia, di “adattarsi” alla società; in particolare la Rai favorisce un po’ più gli estremi e Mediaset gli ascoltatori “di centro”, in particolare quelli che hanno un’istruzione media/bassa; Sky invece predomina sui livelli d’istruzione superiore.
Per aiutare a capire i motivi di questo cambiamento riporto due considerazioni che riflettono posizioni opposte.
La programmazione televisiva è migliorata e attrae maggiormente le persone di livelli d’istruzione più alti in quanto, tesi peraltro tutta da dimostrare, maggiormente predisposti alla qualità?
In effetti, se rapportiamo la programmazione di qualche decennio fa, rispetto all’attuale non si può non convenire al momento la tv sia molto più ricca, nel numero di emittenti e nella qualità media della programmazione. Vi sono circa 90 televisioni free nazionali sul digitale terrestre (solo 15 anni fa ve ne erano una decina), c’è il satellite, la pay e Netflix, mentre sul web si può rivedere tutto ciò che si vuole. Le serie tv affascinano innumerevoli fan. Le stesse fiction della Rai, più popolari nei contenuti, hanno un ampio consenso fra tutti i target, dal solito Montalbano a I Medici, Rocco Schiavone, I Bastardi di Pizzofalcone, La Porta Rossa; lo stesso successo trasversale si è registrato anche per alcuni spettacoli, come, ad esempio, Stasera a casa Mika, Roberto Bolle la mia danza libera, o programmi culturali come Stanotte a San Pietro. Il grosso problema della Rai (e della tv in generale) è l’informazione non equilibrata, sono gli scadenti programmi della fascia meridiana, quelli del pomeriggio, in particolare la domenica; sono i compensi faraonici delle star, le rendite dei vecchi inamovibili conduttori: tutto questo oscura quel che c’è di buono.
Su un altro versante, si deve forse ridimensionare il valore del titolo di studio che, per chi ha una certa età, rimane un fattore qualificante. Durante il dibattito sul referendum costituzionale, per esempio, si sono ascoltate in Tv dai cosiddetti “esperti” delle vere e proprie cialtronerie. La tv è lo specchio del paese, e il paese si specchia nella tv. Umberto Eco sostenne che “la tv danneggia più le élite che le masse”. Quelli che non avevano cultura hanno fatto progressi con la tv. I colti, invece, hanno fatto enormi passi indietro. La spiegazione del fenomeno sta anche in queste amare considerazioni.