Una scelta che si annuncia di contrasto con la direttiva europea che vorrebbe il trasporto pubblico locale messo a gara entro il 2019 e la scalata di Ferrovie dello Stato nelle grandi città. Il gruppo – a partecipazione totale del Ministero Economia e Finanze – ha inserito nell’ultimo piano industriale l’obiettivo di passare di salire dal 6% al 25% dei km su gomma percorsi in Italia, scommettendo sulla gara dei grandi centri metropolitani
Un “uomo forte” per mantenere Atac pubblica, anche a dispetto della direttiva europea che vorrebbe il trasporto pubblico locale messo a gara entro il 2019. Una scelta che si annuncia di contrasto con la scalata di Ferrovie dello Stato all’acquisizione di chilometri di ferro e gomma nelle grandi città. Ovviamente se l’Assemblea dei Soci – quindi la sindaca Virginia Raggi – ratificherà la nomina di Bruno Rota a direttore generale dell’azienda dei trasporti della Capitale. Il manager fin qui deus ex-machina dell’Atm di Milano ha infatti vinto il bando pubblico emesso dalla società romana, dopo aver sbattuto la porta in faccia al sindaco meneghino Giuseppe Sala, ed ora si appresta a superare l’ultimo ostacolo prima di varcare la soglia di via Prenestina.
Le cronache milanesi raccontano di rapporti logorati dopo il passaggio della gestione della nuovissima Metro 5 alle Fs – previo accordo con Astaldi – si dice con la regia del primo cittadino dem. Un affronto per Rota, che dopo aver ottenuto risultati confortanti sia con Letizia Moratti che con Giuliano Pisapia e aver raddoppiato i titoli di viaggio venduti grazie all’Expo 2015, sarebbe stato pronto a guidare Atm verso la possibile “elusione” del regolamento comunitario 1370/2007, che impone di mettere a gara il trasporto pubblico locale.
La stressa normativa europea, infatti, permette alle grandi aree metropolitane – come lo sono Milano, Roma o Napoli – di procedere ad affidamento diretto del servizio pubblico soltanto se in house. Una prospettiva che invece piace tantissimo a Virginia Raggi, ma che trova ovviamente ostacolo alle fronde politico-tecniche legate alle Fs e ad altri grandi gruppi industriali del settore (Ratp, Arriva, ecc) presenti anche nella stessa maggioranza pentastellata.
LA MISSION E IL DIMAGRIMENTO
A differenza del capoluogo lombardo, dove ricopriva il doppio incarico di presidente del cda e direttore generale, Bruno Rota nella Capitale avrà soltanto un ruolo operativo, in attesa che l’amministrazione Raggi individui i due consiglieri da affiancare all’attuale amministratore unico Manuel Fantasia. “Non sarà facile contenerlo, è un ottimo manager ma molto indipendente”, assicurano a IlFattoQuotidiano.it fonti interne alla società milanese. Tuttavia gli obiettivi da raggiungere entro il 2019 gli sono già stati imposti dall’assessore alle Partecipate, Massimo Colomban, suo “sponsor” durante la fase di scouting: aumento dei bus per 565 unità, aumento della produzione chilometrica del 12,3%, aumento dei ricavi da mercato per oltre 300 milioni di euro e, soprattutto, pareggio di bilancio.
Una sfida epocale per una società che ha attuato negli anni un progressivo risanamento nominale, ma che fa fatica ad assicurare i chilometri imposti dai contratti di servizio e brucia almeno 370 milioni di euro solo sul costo del personale senza riuscire ad incrementare i ricavi attraverso le attività di verifiche. Dai primi rumors che giungono dal Campidoglio, pare che la mission di Rota sia quella di proporre un forte dimagrimento della struttura dirigenziale e di una riorganizzazione totale del personale operativo. Al vaglio, anche la possibilità di esternalizzare le attività di verifica, essenziali per abbattere l’evasione tariffaria e riportare sostenibilità economica anche sulla gomma.
LA SFIDA LASCIATA A FS
Dunque, il quadro che i cittadini romani potrebbero ritrovarsi fra un paio d’anni è una Atac con le ossa rotte ma (forse) risanata e una sindaca che sposa la linea della pubblicità dei servizi e mantiene in house il 100% del tpl locale. Uno scenario che potrebbe però apparire catastrofico per Ferrovie dello Stato. Il gruppo guidato da Renato Mazzoncini – a partecipazione totale del Ministero Economia e Finanze – ha inserito nell’ultimo piano industriale l’obiettivo di passare di salire dal 6% al 25% dei chilometri su gomma percorsi in Italia, scommettendo di fatto sulla gara dei grandi centri metropolitani.
In una recente intervista rilasciata ad Autobusweb.com, l’ad di Busitalia, Stefano Rossi, ha affermato che “non siamo interessati ad Atac, ma al mercato della mobilità di Roma”: la stessa Busitalia ha già avviato una gara per l’acquisto di oltre 1.000 autobus. Cosa succederà, dunque, se questa mission industriale dovesse essere vanificata dalla politica della sindaca Raggi? E se davvero il M5S andrà al governo nazionale entro il 2018, l’opposizione al “commissariamento” ipotizzato in una recente mozione della Commissione trasporti del Senato verrà mantenuta o gli interessi locali e nazionali confliggeranno? Un “sentore antiliberale” percepito anche dai Radicali Italiani, che attraverso il loro segretario Riccardo Magi stanno raccogliendo firme per la loro proposta di referendum in favore della messa a bando del servizio.
LE FRONDE INTERNE E L’OMBRA DI TOSTI
Nel frattempo, in Campidoglio arrivano segnali di malumori dopo la comunicazione ufficiale, da parte di Atac, del vincitore del bando per il nuovo direttore generale. Una parte della maggioranza grillina, legata alla parlamentare Roberta Lombardi e guidata dal presidente dell’Assemblea Capitolina, Marcello De Vito, avrebbe preferito che a passare fosse stata la candidatura di Carlo Tosti, già amministratore delegato ai tempi di Gianni Alemanno. A quanto trapela da via Prenestina, infatti, pare che Tosti sia legato a doppio filo con il sindacato Cambia-Menti di Micaela Quintavalle, l’autista pasionaria poi divenuta militante grillina che ha un forte seguito fra i conducenti romani e un anno fa ha prodotto ottimi risultati facendo incetta di voti che si sono trasferiti poi in consensi per il numero uno dell’Aula Giulio Cesare.
Il problema è che l’ex ad viene visto come un nome poco spendibile da Virginia Raggi, in quanto “minestra riscaldata” per giunta riconducibile a un periodo piuttosto buio per l’azienda capitolina, per non parlare dei legami con imprese tutt’oggi presenti nell’albo dei fornitori della stessa Atac. Altro nome fra i papabili era quello di Filippo Allegra, anche lui vecchia conoscenza delle aziende di trasporto pubblico della Capitale e oggi consulente di spicco presso la francese Ratp, la stessa che sperava (e spera ancora) di ottenere la gestione della ferrovia Roma-Lido.