Vincent Bolloré sceglie Franco Bernabé come futuro consigliere indipendente di Telecom Italia. Nella lista depositata domenica 9 aprile dalla Vivendi di Bolloré in vista del rinnovo del cda, il maggior azionista di Telecom tira fuori a sorpresa il nome dell’ex ad, noto per aver sostenuto in passato il piano di separazione della rete dai servizi di telefonia. Per il resto nell’elenco dei dieci candidati ci sono solo sostanzialmente conferme: in cima alla lista l’ad di Vivendi, Arnaud de Puyfontaine, seguito dal suo braccio destro Hervé Philippe e dal manager francese Frédéric Crepin. Ci sono poi anche gli attuali vertici di Telecom: il presidente Giuseppe Recchi e l’amministratore delegato Flavio Cattaneo. Completano infine l’elenco gli indipendenti Félicité Herzog, Marella Moretti, Camilla Antonini e Anna Jones.

Stando alla disposizione dei nomi in elenco, c’è già chi fa notare che, dopo le indiscrezioni su una possibile uscita di scena del presidente Recchi, la decisione di Vivendi di puntare su Bernabé è un chiaro segnale di cambiamento. Anche perché normalmente la presidenza va al numero uno della lista di maggioranza che in questo caso è de Puyfontaine. Sulla questione ad avere l’ultima parola sarà naturalmente il consiglio del 5 maggio che seguirà l’assemblea prevista il giorno prima per il rinnovo del cda. I giochi sono quindi ancora aperti. Soprattutto perché Vivendi ha schierato Bernabé che ben conosce Telecom Italia per averla gestita in prima persona in due occasioni memorabili (nel 1998-1999 e nel 2007-2013) nella vita dell’azienda.

La prima gestione Bernabé passò alla storia per aver proposto le nozze fra Telecom Italia e Deutsche Telekom con l’obiettivo di sottrarre il gruppo alla scalata di Roberto Colaninno. L’operazione non andò in portò, Colaninno vinse caricando Telecom di debiti e Bernabé se ne andò sbattendo la porta. La seconda volta del banchiere di Vipiteno in Telecom fu ancora più burrascosa. Prima dell’avvento dei francesi, Bernabé tentò di far passare il progetto di separazione dell’infrastruttura di rete dai servizi di telefonia. Il piano, presentato anche all’ex premier Enrico Letta, avrebbe dovuto coinvolgere la Cassa Depositi e Prestiti di Franco Bassanini con un progetto che all’epoca Bernabé definì “rivoluzionario, impegnativo e costoso (…) ma capace di “risolvere finalmente nodi inestricabili da quindici anni”. Nonostante i buoni propositi, il piano non andò in porto perché cambiarono gli equilibri azionari di Telecom con la scalata degli spagnoli di Telefonica alla cassaforte di controllo Telco e l’uscita di scena dei soci italiani. Senza il sostegno del consiglio, Bernabè gettò la spugna e il progetto di separazione della rete finì nel dimenticatoio.

Alla luce degli eventi del passato, è legittimo chiedersi oggi se la terza volta di Bernabé in Telecom possa rispolverare vecchi piani di cessione dell’infrastruttura di rete. La società che l’Enel ha creato per investire nella fibra, Open Fiber, si è sempre detta aperta a nuovi potenziali investitori. L’ad dell’Enel, Francesco Starace, non ha del resto mai chiuso la porta in faccia a Telecom e pochi giorni fa lo stesso Bassanini ha ribadito che sarebbe auspicabile una fusione tra la newco di Telecom impegnata negli investimenti in rete e Open Fiber. Industrialmente l’operazione ha senso, tuttavia il punto dolente resta sempre lo stesso: il prezzo che l’ex monopolista vuole spuntare per dare il via ad un progetto di sviluppo comune.

La sensazione è che la cifra potrebbe essere alta. Anche perché Bolloré pretende di tirar fuori il massimo valore possibile da Telecom, che potrebbe diventare come merce di scambio nella partita in atto con Mediaset. Così per le casse pubbliche si prospetta il rischio concreto che lo scorporo della rete possa costare caro. Senza contare che eventuali nozze fra la newco di Telecom e Open Fiber potrebbero far rallentare ancora i piani di investimento in fibra danneggiando ulteriormente un Paese che è fanalino di coda in Europa nello sviluppo della banda ultralarga.

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